Siamo entrati nella fabbrica per i sopralluoghi e più che la parte bruciata mi ha colpito il resto, lo squallore, la tristezza, la morte che il luogo in sé, la fabbrica appunto, emanava. Il mio viaggio dentro la fabbrica è cominciato da lì. Sentivo il bisogno di partire da quel dolore cercando di entrare nella sua profondità, evitando il pietismo che è solo prodotto dall’ipocrisia.
Pippo Delbono
La menzogna, ultima creazione di Pippo Delbono, parte dal tragico episodio dell’incendio alla Thyssen Krupp costato la vita a sette operai, ma non riguarda solo quella fabbrica col suo bagaglio di dolore o lo stillicidio continuo delle morti bianche. Come dichiara il titolo, lo spettacolo svela, alla maniera visionaria e poetica dell’artista ligure, la menzogna come un male diffuso in maniera capillare, al quale è difficile, se non impossibile, sottrarsi. Ed è di nuovo la presa di coscienza del dolore il nucleo centrale di questo, come già di altri lavori di Delbono.
La menzogna si apre nel silenzio. Quel silenzio, quella memoria, sono il suo punto di partenza. Vengono però poi evocate altre memorie, altri corpi bruciati, reclusi, abbandonati, mentre emerge il desiderio dell’autore di andare a fondo, guardarsi in faccia, andare oltre le menzogne politiche, ma anche teatrali.
Il Teatro Stabile di Torino, affidato all’impegno sociale del direttore artistico Mario Martone, ha prodotto questo lavoro scritto e diretto dall’artista ligure, che si china riverente di fronte a questi morti, per poi allargare il punto di vista a macchia d'olio prendendo a protagonista la morte: quella fisica, reale e ingiusta di chi fatica giorno e notte nel suo lavoro spesso senza alcuna sicurezza e quella civile, morale di chi appunto vive queste morti con indifferenza, quasi appartenessero ad una statistica di impreviste casualità.
L’atto di accusa di Delbono, intessuto di forti immagini, simbolicamente parte col ‘rito della vestizione con la tuta di lavoro’ degli operai per poi svilupparsi in un percorso di vita che arriva, in dieci fulminanti minuti, fino alla bara.
Accanto al tema che fa da filo conduttore, si intersecano intanto altre morti, altre prepotenze, altri abusi da parte del datore di lavoro. E la tormentata confessione delle vittime, si conclude alla fine con operai bruciati vivi, martiri quotidiani di una vita senza qualità e ben lontana da qualsiasi doverosa, imprescindibile e onesta rettitudine.
La scena è costruita con praticabili e pedane usate dai personaggi come tante ribalte di vita e di morte, mentre sullo sfondo echeggia una colonna musicale che va da Zarah Leander a Stravinskij e Wagner.
Intanto vanno e vengono in lungo e in largo impomatati borghesi con gli occhiali scuri, ragazze vestite di cuoio nero pronte a denudarsi, preti ambigui, violenti razzisti. Infine si scorge e ci si sofferma sull’impressionante saluto di Bobò (il microcefalo sordomuto che ha passato 45 anni della sua vita in manicomio e che da tempo segue il drammaturgo nei suoi spettacoli), che accarezzando gli armadietti di ferro, simbolo della quotidianità di una vita operaia. Si chiude qui la spietata cronachistica narrazione, in un palpitante, intenso addio.
Una storia intessuta di genio poetico e umanità; la storia di un uomo come Delbono, che con la sua compagnia teatrale ha superato pregiudizi e frontiere, dedicando il proprio impegno a chiunque crede che l'arte può cambiare il mondo.
La menzogna muove da un bisogno di verità, di spogliarsi delle menzogne di cui è intessuta la vita di ciascuno, di smascherare il finto gioco della rappresentazione, per essere spettacolo politico attraverso la poesia e mettere in guardia contro il razzismo e il fascismo strisciante, contro la violenza e la stupidità.
«Perché non ne posso più», dice l’artista «non mi controllo più, ne ho piene le palle di tutta quella gente, ciascuno con la sua storia, nel suo angolino, e di tutte quelle facce, ne ho piene le palle di tutto, mi viene voglia di picchiare, ho voglia di picchiare la donna attaccata alla ringhiera, l’arabo che canterella la sua tiritera tutta per sé, quello che suona alle mie spalle in fondo al corridoio, la vecchia pazza, ne ho abbastanza delle loro facce e di tutto questo bordello e io ho bisogno di picchiare, ho voglia di picchiare le vecchie, gli arabi, i mendicanti, le mattonelle dei muri, i vagoni, i controllori, i poliziotti, picchiare sulle macchinette, i manifesti, le luci, questo schifo di odori, questo schifo di rumore, le puttane e i cimiteri...»
Questo ed altri materiali letterari costruiscono man mano il discorso dell’autore intorno al suo tema, insieme ad immagini surreali, oniriche, brani da Shakespeare non interpretati ma che emergono come urli dell’anima, un tessuto sonoro emotivo che va dall’opera al tango, da Stravinskij a Wagner, fino alla voce di Juliette Gréco.
Teatro: Argentina
Città: Roma
Titolo: La Menzogna
Ideazione e regia: Pippo Delbono
Interpreti: Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Antonella De Sarno, Pippo Delbono, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Claudio Gasparotto, Gustavo Giacosa, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Mr. Puma, Pepe Robledo, Grazia Spinella
Scene: Claude Santerre
Luci: Robert John Resteghini
Costumi: Antonella Cannarozzi
Produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione (Progetto Prospero), Fondazione del Teatro Stabile di Torino, Teatro di Roma, Théâtre du Rond Point, Maison de la Culture d’Amiens, Malta Festival Poznan
Periodo: fino al 22 marzo
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 12 marzo 2009)