Sono stato per circa un anno e mezzo come volontario counselor nel carcere “don Bosco” di Pisa. Ora, da alcuni mesi non ci vado più. Era il mio impegno del sabato. Incontravo i detenuti dell’isolamento e parlavo con i casi a rischio, suicidio. Ci passavo diverse ore, dalle 9 alle 16 del pomeriggio. Con me c’erano altre decine di operatori volontari oltre a quelli istituzionali pagati regolarmente dal Ministero della Giustizia. Sono riuscito a fare anche alcune sedute di rilassamento-meditazione con le detenute del ‘femminile’ con buoni risultati almeno di partecipazione.
Eppure, dopo questo tempo mi sono accorto che qui in Italia occorre ben altro per i carcerati: l’accoglienza ‘fuori’ dal carcere quando escono definitivamente ed anche periodicamente per aiutarli a riprendere confidenza con la vita-fuori. Nel frattempo da circa due anni e mezzo avevo preso contatti epistolari con una detenuto italiano aretino ristretto a Sollicciano (Fi) tramite l'associazione “Pantagruel” che lavora nel mondo del carcere. E casualmente, scrivendo, Franco mi ha risposto e così è iniziato un conoscersi per lettera fino al Natale 2008. Quando, ha avuto il permesso premio e ci siamo incontrati per la prima volta a Lucca nella casa san Frncesco dove un gruppo di volontari accoglie e organizza il soggiorno dei carcerati che vogliono trascorrere lì le loro ore di libertà o di arresti domiciliari. Così è stato con Franco. Dal carcere di Massa è arrivato a Lucca e lì sulla porta della Casa san Francesco ci siamo conosciuti. Era il pomeriggio del 24 dicembre. Avevo per lui una sorpresa, portarlo in collina a san Martino in Vignale, una parrocchia sita nella bellissima campagna lucchese a due passi dalla città. Volevo che incontrasse fratel Arturo Paoli, uno degli ultimi testimoni e profeti di un cristianesimo e di una chiesa che non perde né la Speranza né l’ardore per la Vita e per l’Amore. Ha compiuto 97 anni il 30 novembre scorso e l’ha festeggiati con estrema umiltà e timidezza, nella più piena consapevolezza di chiedere a Dio uno ‘sconto’ del tempo che li rimane ancora di vivere su questa terra: vuole incontrare l’Eterno! È lì, nella casa-canonica di san Martino in Vignale che Franco ha conosciuto Arturo. Abbiamo preso insieme un tè e poi siamo rimasti a cena lì in quella casa che è un centro di raccolta per tutte le anime del mondo. Di lì passa un gran numero di persone soprattutto per incontrare Arturo e raccogliere da lui una parola di conforto e di spinta ad andare avanti o a cambiare vita secondo l’amore.
Sì, perché fratel Arturo, della comunità di Charle de Foucold, porta nel mondo il grande suo messaggio che ha mutuato dal grande padre gesuita Telhiard de Chardin: «amoreggiare il mondo!». Cioè portare l’amore nel mondo dovunque siamo qualunque cosa facciamo. Non c’è un posto migliore di un altro, non c’è un mestiere e una collocazione più prestigiosa di un’altra. No. C’è solo quello che ci viene dato continuamente e senza risparmio dalla Vita. Ma ci viene dato senza nemmeno chiedere nulla. E quando ci viene tolto qualcosa noi riceviamo lo stesso ugualmente. Lo capiamo dopo, solo dopo. E lo ha capito anche il mio amico Franco.
Quando ha visto la sua libertà finire dietro le sbarre di un carcere dopo aver rapinato e portato via soldi alle banche per una donna che poi lo ha ‘tradito’ mentre lui aveva tutto, la casa, i soldi, la moglie come un figlio. Lo ha fatto per ben due volte. Perdonato è ritornato sul ‘luogo del delitto’. Troppo. Ma ora l’ha capito. Speriamo. Lui dice di sì. «Piero», mi dice «tu sapessi se l’ho capito!!». Dopo aver parlato con Arturo e aver passato con altri improvvisati amici, ma non improvvisati nella generosità di ciascuno, la cena in un bel numero di una ventina di persone, siamo andati insieme alla Messa di Natale. Poi l’ho riaccompagnato al suo luogo di recapito. Alla fine del suo soggiorno lucchese, prima di tornare in carcere mi ha telefonato per dirmi che vorrà tornare da Arturo, in quella casa dove ha assaporato la gioia dell’accoglienza senza occhiali moralistici, senza pregiudizi ingiusti. Si è sentito uno tra i tanti, uguale tra diseguali, insieme senza sapere più cosa sia la solitudine di una cella di pochi metri abitata in più persone. Gliel’ho promesso, ce lo riporterò presto, lì dove ha sentito battere un cuore umano per accoglierlo così com’è, così come si sente di essere. In un’ultima lettera che mi ha spedito mi ha allegato Il Ponte, il periodico dei detenuti della casa di reclusione di Massa, perché hanno pubblicato una sua breve riflessione sul “Silenzio” che vive in carcere. È con questo messaggio di Franco che vi domando di riflettere sulla nostra Libertà e cosa voglia dire perderla… in silenzio…!
“Silenzio”
«Questo rumoroso silenzio che ti rode, t’uccide, che t’invecchia la speranza fermando il tempo che non viene mai! Questo silenzio che dice tutto, che chiede aiuto, pietà, grazie, perdono! In questo silenzio di pentimenti per l’indelebile passato che non muore mai! Il silenzio solo interno di codesto luogo, dove non ci sono vetrine, cabine, bambini; questo silenzio di carne e ossa, dove ogni tanto si rompe. Questo colpevole silenzio rassegnato a pagare ciò che palesemente si è errato!
Il silenzio dell’indifferenza, il silenzio obbligato, il silenzio per non continuare ad errare, il silenzio tutto, amore, speranza, umiltà per sopportare, il silenzio per amare, seppur da lontano, il silenzio di un anno fatto di 730 giorni, silenzio per una lettera cara ricevuta, silenzio per la sventura del tuo nuovo compagno che piange al buio per i propri cari, silenzio per lo sbarbato non ancora ventenne, terrorizzato da brutte figure che lo guardano e di vecchie bugie leggendarie, silenzio per il sieropositivo che aspetta la morte per essere libero, silenzio per il disabile, per il vecchio, per l’innocente, silenzio c’è la conta, silenzio è notte. Silenzio pensando ancora al domani uguale. Silenzio!
Sì, perché qui non è come fuori; qui i nostri problemi diventano doppi spesso anche tripli, sino al punto di rompere questo maledetto silenzio, rischiando di perdere tutto… Silenzio devo riflettere!» (Franco C. – Carcere di Massa)
Piero Cappelli