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Piero Cappelli: È la fine di un mondo ‘capitalista’?
15 Marzo 2009
 

In un documento riservatissimo della Commissione europea si è scritto che le banche del Vecchio continente sono infettate da titoli tossici per la rocambolesca cifra di circa 18.000.000.000.000 di euro. Che in dollari significa 18 trilioni, un po’ di più dello stesso prodotto lordo Usa. Vi rendete conto? Questo è la cifra che i ministri delle finanze europei hanno inserito in questo documento discusso in sede Ecofin. Cosa vuol dire tutto questo?

Vuol dire che c’è tanta di quella robaccia finanziaria dentro i caveau delle nostre banche europee che non sa ancora nessuno come fare per smaltirla e renderla impotente e quindi liquidarla dal mercato finanziario. Purtroppo è così e nessuno lo sa. C’è chi addirittura pensa di creare una banca ad hoc la quale possa accogliere e raccogliere tutta questa immondizia americana e piano piano farla digerire al sistema. Ma la forma non può essere né parziale, né indolore. Chi dovrà togliere dal proprio portafoglio questi valori dovrà anche chiudere i bilanci in rosso. Significa rischiare la bancarotta e quindi il fallimento.

Se ce ne fossero solo alcune di banche così malmesse da questo patrimonio finanziario, non sarebbe un problema grave. Perché quelle banche, se non sapessero come fare a sopravvivere, verrebbero d'altronde incorporate da altre che stanno meno peggio e con l’aiuto delle Stato – se ce la facesse – riuscirebbe a ripartire con un carico da 90 sulle fragili spalli, in un momento storico difficilissimo e con una prospettiva che non sembra far vedere la luce se non dopo il 2010. Pessimisti? Terroristi? Realisti, purtroppo.

In America del nord continuano a fallire banche infettate da quella specie di paccottiglia finanziaria che non riescono a far digerire a nessuno e quindi sta lì a far impoverire giorno dopo giorno il patrimonio e quindi la capacità di movimento e la capacità di liquidità per operare sul mercato finanziario. L’imbarazzo è grande. La paura altrettanto. Intanto Obama cerca di finanziare le case costruttrici di automobili e statalizzare le banche in fallimento, pensando di risollevare l’economia. Glielo auguriamo. Ma secondo noi il passo dovrebbe essere combinato ad una logica di impegno pubblico non indifferente: rendere trasparente gli impegni di tutti, dello Stato come pure degli imprenditori. Sapere cosa si deve fare con quei soldi e renderne conto al fine di vedere se i dollari sono serviti per ripianare solo le perdite oppure sono stati investiti per dare lavoro ai dipendenti e far ripartire piano piano il circuito virtuoso dei consumi. Se non si chiude il cerchio degli aiuti statali diventa difficile avere risultati sull’economia. Perché sono i cittadini-consumatori a permettere la produzione grazie ai loro acquisti. Ma se la gente non ha in tasca i soldi chi è che compra le merci?

Come vedete il ragionamento si sposta da un posto per approdare ad un altro ma il problema è più a monte: questo sistema del ‘mercato libero’ non regge più così come è stato congegnato perché troppo attaccato dall’infezione dei titoli tossici e dai banditi della finanza senza scrupoli di cui se ne scopre sempre più le malefatte sia in America, sia in Europa. Mancanza di controlli, spregiudicatezza imprenditoriale, consulenze artefatte e manipolabili. Tutti soggetti deleteri ma utili ad un sistema che non ha mai voluto ‘controllare’ i meccanismi e i ‘prodotti’ messi sul mercato. E ora se ne pagano le spese. Chi paga però è la gente – e lo sarà sempre più – specialmente quella dei paesi più poveri come l’Africa e l’America del sud i quali si prendono tutti i contraccolpi a livello internazionale fino all’ultimo.

Questo nostro sistema economico-finanziario che i grandi del mondo hanno instaurato non può più andare avanti. E come scrivemmo diversi mesi fa su queste pagine di I Care, il problema altro è che l’Internazionale Socialista, il mondo della sinistra mondiale, non ha creato un’alternativa dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’URSS. Si è messa alla stregua del capitalismo pensando di riformarlo. Non ci sono riusciti ed oggi siamo qui a subirne le conseguenze senza vedere niente di alternativo all’orizzonte che valga per poter scommettere una convivenza civile, pacifica e fruttuosa.

Intanto però nessuno parla di ridurre dell’80% le spese degli armamenti ed investirle in ambiti più necessari in questo momento sempre più drammatico per i cittadini del pianeta terra.

 

Piero Cappelli


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