L’ho messa da parte. Lì, nascosta insieme ad altri file. L’ho letta e riletta e mi sono spuntate delle lacrime che ho cercato di ritirare quasi subito benché fossi solo.
Non vi voglio rattristire, ma porvi il problema sì. Sto parlando della lettera, l’ultima, forse l’unica, che Eluana Englaro ha scritto ai suoi genitori pochi giorni prima di schiantarsi in auto e finire in coma per più di sedici anni. Una lettera scritta nel Natale del 1991. Scritta ai suoi genitori e che ha come esordio un appellativo che già dice tutto: “Ciao grandi”.
«Vi volevo ringraziare per tutto quello che mi avete donato, insegnato e trasmesso in questi lunghi ventun'anni trascorsi insieme», scrive Eluana. «Sì perché abbiamo avuto tante divergenze e tanti piccoli grossi problemi, ma li abbiamo superati grazie al bene che ci vogliamo».
Si riconosce qui quale tipo di rapporto potesse esistere in quella famiglia. Niente di smielato che non poteva, altrimenti, produrre niente di simile di quello che Beppino, il padre, ha poi manifestato lungo tutto il periodo di quel calvario e soprattutto negli ultimi momenti.
«Sai tu papi, ogni tanto dici» scrive Eluana «che non siamo una famiglia perfetta e hai ragione perché siamo super. Perfetto è un aggettivo che sminuisce la nostra unione. Voglio vedere quali altre famiglie dopo grosse “tempeste e bufere”, come accade ogni tanto tra noi, subito dopo torna il cielo sereno e splende un sole così forte da scaldarci sino in fondo, come simbolo della pace ritrovata».
Che dire. È la testimonianza di una figlia per niente ‘mammona’ o ‘babbona’ come si dice da noi in Toscana, cioè attaccata alle gonnelle della mamma o ai pantaloni del papà. No. Una ragazza che sapeva il fatto suo, ma nello stesso momento serena e appagata di un amore familiare – sì dobbiamo chiamarlo così – che ha prodotto quello che tutti abbiamo visto: un grande senso della Vita e una grande ed alta dignità, e proprio al di là delle convenzioni sociali e delle morali religiose e cattoliche in particolare.
«Non vi scambierei per nulla al mondo» prosegue la lettera «perché Dio quando vi ha creato ha buttato lo stampino. Come al solito la più fortunata sono stata io, perché ho ricevuto da Dio voi. Il più bel regalo del mondo. Quindi vi sbagliate di grosso quando pensate di non essere dei buoni genitori. Penso che finalmente il tempo ve ne ha dato una dimostrazione».
Eccolo il punto cruciale di fronte al quale tanti uomini di chiesa dovrebbero meditare in silenzio senza proclami e senza falsi moralismi. Ma imparare dove sta’ il senso della Vita, quella vera, quella fatta di autentica vocazione all’eternità.
«Io» scrive Eluana ai suoi “grandi” «ci tengo molto a voi, siete gli unici punti fermi della mia vita ‘spericolata’! Spero di non deludervi mai, perché vi posso assicurare che ne soffrirei io più di voi, poiché per voi oltre a provare un grande amore nutro anche una grande stima. Sì, voi due oltre ad essere dei perfetti genitori, siete anche due buone persone, mi avete insegnato la bontà e la generosità, ma soprattutto dei grandi valori, quali il rispetto verso se stessi e gli altri e il piacere di avere una famiglia salda, calda, affettuosa sulla quale si può sempre contare. Sì, perché noi tre assieme formiamo un nucleo molto forte basato sul rispetto e l'aiuto reciproco. Bravi! L'unica cosa che vi posso dire è che vi voglio un mondo di bene e che siete due persone veramente in gamba e... spero un giorno di diventare brava come voi. Con affetto, la vostra bambina! Eluana».
La Repubblica, nel pubblicare il 13 febbraio scorso questa missiva, ha però ammesso che non condivide il disinteresse che papà Beppino ha dimostrato per questa lettera quando è saltata fuori per caso dagli atti giudiziari. Voleva che venisse buttata via ritenendola non interessante per i giornalisti. Come scriveva Colaprico c’è ragione e torto per il papà di Eluana, un po’ perché, forse, voleva portare in pubblico certe tenerezze ed intimità familiari. Un po’ perché non voleva, sempre forse, far commuovere l’opinione pubblica dandogli in pasto una lettera così dolce e affettuosa. E la sua notevole forza di uomo, di padre, di marito non l’ha fatto flettere,né cedere ad immettere nel circuito comunicativo una trappola strumentale come poteva essere una lettera di questo tipo. La lettera è uscita, ma la dignità è rimasta. Per lui. Per lei. Non solo. Eluana ne esce tremendamente ben ancorata: di fronte al mondo è la storia tristissima di una ragazza che aveva compiuto l’atto più bello – con questa lettera – e cioè di dare senso e valore alla famiglia, alla relazione genitoriale e filiale, in questo mondo così colmo di contraddizioni vissute e consumate all’insegna della possessività, degli attaccamenti sbagliati, delle gelosie. Con tutte le conseguenze che ne conseguono.
E in margine a questo voglio aggiungere la segnalazione del libro di Daria Bignardi Non vi lascerò orfani (Mondadori, 2009). Che vi consiglio di leggere perché Daria – benché a me non piaccia molto in tv –, come scrittrice mi ha preso e mia ha entusiasmato e in poche ore me lo sono divorato. È la storia della relazione sua, di figlia, con sua madre e non solo, ma soprattutto con lei. Ed è bello sentire oggi, dopo la morte della mamma, come questa figlia si ‘accorga’ di cosa è stata sua madre e di cosa le ricorda oggi di bello nonostante non ci sia più. Rende bene l’idea di come non dobbiamo abbandonare le relazioni familiari a se stesse perché un giorno, un giorno qualunque, qualcosa scatterà dentro di noi a tal punto da farci fare il punto della situazione. Non parlo dei sensi di colpa. Né di vittimismi o pietismi. Parlo della vita che scorre e a volte trova ostacoli. Allora occorre ripensare a cosa vuol dire essere genitori ed essere figli e viceversa. Perché se anche genitori non lo sei mai stato, figlio lo sei sempre!
Lì, una figlia scomparsa che racconta la bellezza della relazione familiare con i suoi genitori viventi. Qui, una figlia vivente che racconta di una madre scomparsa. Tutte e due belle storie che ci debbono far riflettere in questo caos così generale e particolare allo stesso momento.
Anch’io rileggendo queste storie di vita non ho potuto che risalire alle mie esperienze con la mia cara mamma Rina, quando ho passato con lei – un gran dono! – ben 99 giorni, accanto a lei, in ospedale. Per poi vederla e sentirla morire tra le mie braccia silenziosamente e dolcemente.
È anche da qui che passano i momenti importanti della vita, il saper essere genitori e figli, ma solo perché siamo stati tutti ‘figli’ e lo siamo ancora nonostante le età e i ruoli. E l’essere figli ci richiama al senso profondo della vita, quella che ci è stata donata per farci sentire che abbiamo ‘sempre’ bisogno di qualcuno da amare e da farci amare, profondamente, teneramente, inevitabilmente. E questi sono per primi i nostri cari genitori, ai quali dovremmo dire sempre “Grazie grandi”!
Piero Cappelli