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Marina Pizzi: Miserere asfalto (afasie dell’attitudine). Quarta parte
Georges Rouault.: Volto Santo, 1946
Georges Rouault.: Volto Santo, 1946 
03 Marzo 2009
 

251.

la culla è in un angolo, ora serve da fioriera, è più allegra di prima quando il piccolo la occupava.

252.

con un fraseggio che ricorda gli scatti del panico, va alla cattedra per l'interrogazione. da seduto, al banco, si accorge di avere i capelli un po' più chiari, tendenti al bianco, la paura li ha stinti.

253.

si dà ad arginare di continuo il pianto dacché nessuno può sopportare di vederla piangere, la resistenza è un clamore silenzioso e solitario senza patriottismo. un argine per fingere lo stato di stasi, la pazienza enorme del furetto che si lega alla sedia per fingersi tranquillo!

254.

al lutto non si fa stendardo, il dado a sorte è nell’intromissione, chi vuole non può, chi può non vuole e lo scudiscio dell’esule è la malinconia di un selciato nemico, di un martirio lentissimo e civile come è in uso nella città capitale.

255.

si veste di nero perché è grassoccia, vecchiotta ma teneramente infantile: così si illude un po' appena un po' di essere un po' più bella, giovanile, forte contro l'angolo che la perseguita. nell'angolo c'è uno spiraglio di luce che innamora così seduta stante!

256.

il banco di scuola è tutto intarsiato da graffiti: la farfalla si accosta alla svastica, la scossa elettrica del segno e del colore al cuore spezzato dalla freccia ti amo. il modulo da riempire per l'ammissione agli esami è velinato, permeabile al caos del banco, resta l'impronta.

257.

a Roma c'è un quartiere che si chiama Trullo di case popolari d'epoca fascista con ballatoi comuni e appartamentini con soffitti bassi bassi che ricordano le tombe colombarie, alzando le braccia una persona di media altezza arriva quasi a toccarli. da pochi anni il viale è alberato con platani che donano dignità.

258.

in un cuore gotico ho visto l'alba

in un petto panico ho sentito il crollo del cipresso

in uno sguardo fisso ho sospirato il gusto dell'abbandono

in una nuca cava la genia del vento dava vortice

in un polso sono apparse le vene del tepore

259.

l'oggetto è un trittico dell'ombra, una maternità mancata, uno sciame senza miele, un mare senza sale. pare un rompicapo gemello con l’enigma.

260.

i gusci delle noci, le bucce dei mandarini sono sulla tovaglia natalizia. solo che il posto a tavola fu di uno solo. una macula accanto al tovagliolo rivela chissà, forse, una lacrima o solo una goccia di acqua. non è dato saperlo.

261.

al dì d'oggi si crepa d'empatia. il distacco più totale pur nella piena compartecipazione. so di mille morti, li conto ad uno ad uno, ne soffro: sono illesa!

262.

nella contumacia del sanatorio trascorsi molti giorni. la mia gemella giocava nel cortile e la osservavo dalla finestra partecipandola d’affetto. provavo il dolore di esserle separata. tra un gioco e l'altro mi chiamava. di sicuro aveva pena per me e ciò un po' mi offendeva e un po' mi consolava. poi il tempo trascorse e lei mi ospitò in cortile, in camerata, al refettorio vicino a lei.

263.

oro e contanti sono un tafferuglio con l’elemosina bella della fronte, angelicato stoppino della candela accesa

264.

premesse di comete non ce ne sono, sta in bilico grave questo diritto premuto dal soqquadro dell’angustia, i vezzi apolidi non bastano a garanzia della libertà

265.

il prezzo della stasi è un sillabario muto, una raucedine da stanza di putredine dove nessuno dei presenti è libero.

266.

con un lutto sulla fronte volge in prosa l’elegia disabile del nesso, è lutto anch’esso: nulla si ragiona.

267.

il vento scorticante va a farsi sopportare dalle cimase al secolo materne con le rondini.

268.

in un mantice di verdetto è compromesso il respiro, le bombole di ossigeno fanno da vestali inutili.

269.

la frotta dei ragazzi dovrebbe avere un titolo di storia, chissà dove andrà a schiamazzare! ma il superfluo non serve alle risate, è solo estetica perdente.

270.

in un coriandolo di erba panica ho visto il simulacro della rotta, quasi una ruggine vissuta, una fuliggine di ieri. ora, adesso, una viuzza, sarebbe già tanto.

271.

breviario di calunnie ho vissuto la terra, questa manciata d’ercoli satanici

272.

a capofitto in un notturno è finita l’aureola, la canicola, domani, avrà l’ombra menomata.

273.

per smorzare la noia si veste da zingara.

274.

“Via i ricchi dal Parlamento!” con questo cartello davanti a Montecitorio. Mi scaccerebbero?

275.

in un crollo di egemonia il padre rapì se stesso in un risvolto di copertina: intitolò il libro: “Ratti”.

276.

sotto le percosse per il furto della mela più rossa.

277.

una valigia nel vano della porta.

278.

in una cameretta con la carta geografica del globo terrestre appesa alla parete

279.

il cimitero si allunga all’infinito, il trito intoppo della vita scivola via per intrusione.

280.

pattinava con la grazia dell’acrobata, ma non riusciva a pernottare in una stanza. le dita parlottavano silenziose con la benevolenza del petto. in più, un piccolo sudario le si distendeva accanto, invitandola.

281.

in un cesto di penuria la sconfitta

282.

in un varco di salsedine le rughe tenutarie.

283.

l'ultimo devoto si è appena allontanato, la chiesa è tragica nudità, alambicco di ceneri.

284.

in una contumacia si sfracella il fato, il qualunque destino di un destino, qualunque l'umano. la pena ha la rendita del dito indice, l'accusa.

285.

l'altalena imita il volo di una creatura assente.

286.

in un costo di penombra la brevità del sé

287.

in un viaggio di aceto la tua penuria

288.

schegge di sale il sogno di scampare

289.

dalla nomea di guardare in tralìce questo dolore acido nell'angolo che angolo si estende ad angolo: un finimondo di globo: è tutto qui l'asilo da emisfero ad emisfero?

290.

in un coriandolo di attrito ho visto nascere

le due gemelle della vita mia

291.

desiderio apolide rigagnolo

questa scuoletta che mi dà la vita

292.

a mo' di far rancore sto a guardarmi

fessa gimcana di una vita vuota

293.

non perdere la nenia della perdita, anzi darsi a piangere con le fandonie delle collezioni che ben sicure si cullano alle teche dei cinque sensi prive.

294.

con un ammanco scortese quanto un incubo, sta la radice tenue di piangere, questo dileggio storico alle spalle fa di noi un eremo di schegge di sale.

295.

il rammarico dell'ombra è di non riuscire a farmi scoppiare il petto.

296.

le bestemmie le ha coricate dentro uno specchio, la gazza ladra se le porta via ad una ad una senza ingoiarle.

297.

in primula di addendo questa gioia

298.

nel cronicario piange un uomo debolissimo. è giovane, ma è sciupato oltre misura. sporge la mano per dar da mangiare ai piccioni. è caduto dalla finestra o si è accompagnato, nessuno lo sa.

299.

si evidenzia che il tratto di/da atelier non si fa in grado ad alleggerire felicemente il mondo con un'ulteriore interpretazione atta alla summa dei coriandoli passati. l'artista è rorido ma la risultanza della fatica consta miseranda. l'atelier dispone di una luce invidiabile senza predisporre seminali le faccende.

300.

è saltato su una mina mentre andava a scuola. è rimasto cieco muto sordo. il resto è intatto. ha dieci anni. a scuola era di una bravura straordinaria. la mente è lucida. si minerà ancora di più o vorrà la resistenza?

   

Marina Pizzi


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