Un discurso bien macho
Todavía conservo el olor de la máscara antigás con la que corríamos al refugio en las prácticas militares, durante la escuela primaria. Mis colegas y yo llegamos a temer que un día nos resguardaríamos en el sótano de algún edificio, mientras afuera caían las bombas. La ciudad muestra hoy las huellas de un constante ataque, pero sólo han sido los proyectiles de la mala administración y las balas del centralismo económico las que han moldeado este paisaje. De tanto prepararnos para una batalla que nunca llegó, pasamos por alto que el principal enfrentamiento ocurría entre nosotros mismos. Un combate prolongado entre los que estamos hartos del lenguaje belicista y, al otro lado, los que necesitan de “una plaza sitiada, donde disentir es traicionar”.
Rodeados de vallas que nos advierten de una posible invasión del norte, hemos crecido varias generaciones de cubanos. Enérgicos llamados a resistir, ya nadie sabe muy bien a quién o a qué, conforman la cantaleta de fondo. Como un soldado que duerme con un ojo abierto para levantarse de un salto cuando suene la diana, así de expectantes deberíamos de ser. En cambio, la indiferencia ganó la batalla principal y la mayoría de mis amiguitos de la infancia terminaron por ir al exilio, en lugar de a la trinchera.
Después de varias décadas de escuchar lo mismo, estoy cansada del macho enfundado en su uniforme verde olivo; del adjetivo “viril” asociado al valor; de los pelos en el pecho determinando más que las manos en la espumadera. Todas mis progesteronas aguardan porque esa parafernalia tan robusta, se cambie a frases como “prosperidad”, “reconciliación”, “armonía” y “convivencia”.
Yoani Sánchez
Un discorso molto maschio
Conservo ancora l’odore della maschera antigas con la quale siamo corsi al rifugio nelle esercitazioni militari, durante la scuola primaria. Io e le mie colleghe abbiamo persino temuto che un giorno avremmo dovuto proteggerci nelle cantine di qualche edificio, mentre fuori sarebbero cadute le bombe. La città oggi mostra le tracce di un costante attacco, ma dipende soltanto dai proiettili della cattiva amministrazione, mentre le palle del centralismo economico hanno plasmato questo paesaggio. Dopo esserci tanto preparati a una battaglia che non è mai arrivata, sorvoliamo sul fatto che il principale scontro si sarebbe verificato tra noi stessi. Un combattimento prolungato tra noi che siamo stufi di un linguaggio guerrafondaio e, all’altro lato, coloro che hanno bisogno di “una piazza assediata, dove dissentire equivale a tradire”.
Varie generazioni di cubani sono cresciute circondate da cartelloni che avvisano in merito a una possibile invasione dal nord. Energiche chiamate a resistere, adesso nessuno sa bene a chi o a che cosa, modellano il ritornello in sottofondo. Dobbiamo restare sul chi vive, come un soldato che dorme con un occhio aperto per alzarsi di scatto non appena suona l’allarme. In cambio, l’indifferenza ha vinto la battaglia principale e la maggior parte dei miei amici d’infanzia hanno finito per scegliere l’esilio al posto della trincea.
Dopo aver ascoltato le stesse cose per diversi decenni, sono stanca del maschio vestito in uniforme verde olivo; dell’aggettivo “virile” associato al coraggio, dei peli nel petto che decidono più delle mani nella schiumarola. Tutti i miei ormoni femminili attendono che certe ostentazioni così forti, si modifichino in frasi come “prosperità”, “riconciliazione”, “armonia” e “convivenza”.
Traduzione di Gordiano Lupi