Itinerando, muovendo geograficamente dove abitano i buoni autori, Cercando l’oro della poesia sposta dalla Svizzera / Canton Ticino, luogo dove vive e scrive Flavio Stroppini, verso il Salento, terra di Carla Saracino (che però attualmente si divide tra Salento e Milano per motivi di lavoro)
Lo spazio è per la sola voce dell’autrice, messa a nudo senza la mediazione della domanda, autrice lanciata nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia. (F.A.)
AUTOPRESENTAZIONE di Carla Saracino
“Esiste la poesia se, prima, esiste la vita.
Vita e poesia sono talmente intrinseche da provocare, spesso, l’illusione del contrario. Eppure, il compimento è unico, la complicità eccellente e assoluta, direi elegante.
La poesia per me è sempre stata - e continua ad essere - una forma di eleganza, la più scanzonata e la più seria insieme. E non è mai un risultato, un fine, un’intenzione. La poesia è la vita che sa perfettamente esprimersi, secondo natura. Tutto ciò che avviene sul campo neutro (leale, spregiudicato) della natura facilmente ci offre l’accesso alla poesia.
Il carattere elitario della poesia -in cui io credo, poiché pochi sono poeti e ci vuol del talento persino per essere bravi lettori (diverso è il problema della diffusione: dovuta, necessaria) - forse deriva dal fatto che solo alcuni riescano, nel corso dell’esistenza, a riconoscere ciò che per natura deve, imprescindibilmente, avvenire.
Dunque, prima della scrittura, il dono frontale della riconoscenza.
Questo è ciò che nei miei lavori ho sempre desiderato esprimere
da I milioni di luoghi (LietoColle, 2007)
I milioni i luoghi
- Il neon dei vagoni e la notte diaccia sul vetro
anche se luci fuori ancora raggiano… -
Lo strano moto moro del motore
l’inconsistenza della potenza
quando è l’ultima la volta che siedi
a stimare fuori le temperature
le inabilità delle coincidenze …
Ripensi a quello che ne è venuto fuori,
a quanti sarebbero i passi, i metri, le oscillazioni;
il passaggio delle vite che non vivemmo,
i milioni di luoghi, i ghiaccioli dell’ora pomeridiana…
Ma inavvertitamente nelle camere d’aria
improvviso come un insoluto sollevamento
il clima porta un’idea, la soluzione
l’erba alta e un’impressione poco chiara
di massima ambizione.
Come sono le cose, come fanno a scomparire?
*
Tu muori
mentre io sono fuori,
per strade, cibo fritto
in un’aria quasi estiva.
C’è tanta gente intorno,
il clima è asciutto,
sembra non sia mai esistito, un clima.
Io vado verso un assoluto
tu muori.
Si vede a tratti come un cappello
che aspetta.
*
O morti delle sere d’estate.
Ecco il vostro alito
sopravvissuto.
Un gemello non vinto
dalla sepoltura
vi darà le forme d’una
appartenuta fortuna.
*
Io passerò
e nessuno proverà a resuscitarvi.
E ora che restate assorti
io vi compatisco.
*
Il passato – non della ricorrenza –
il passato di chi non descrive,
quello vuoto dell’umano
quello già schiuso sulla distrazione,
lo vidi milioni di volte senza
vivere un solo istante,
senza l’ausilio del movimento
o della creazione.
Un ibrido strano fra nascita e assopimento.
*
L’ambizione è una voce
periferica del dolore.
Questo è il pensiero se guardandoti
appari versata nel mattino tiepido
di luglio
tra le stoviglie cotte e un bikini steso.
*
Sto passando
e senza un rumore ossessivo
passo verso il resto
dell’aria che permane dopo di me.
Non si vedrà mai
chi è stato.
Eppure, si dirà, di qui un giorno
qualcosa è stato turbato
come uno strappo, una solida
interruzione, un finale tanto atteso.
*
Via, mentre fugge questa
elevata idea di sorpasso
incommensurabile, e la luce
e ne sta in consueta astinenza…
Ho immaginato fino a un costume,
un nuovo arnese, un prodigio della lealtà;
essa era lì, magnifica, nascitura e lesa
ma beata fin nelle esposizioni
mentre, svoltando un angolo o due,
ecco spariva, s’allontanava
io già la perdevo, di lontano,
rincasava essa stessa
nel suo verbo,
opponeva eccessi a grandi cure.
Inutile dirla, la mia delusione.
La mia nota incolumità rimasta
a vacillare.
da 14 fiabe ai 4 venti (Lupo editore)
1 – I quattro venti
In una casa sul mare, tanto piccola da potervi entrare
col solo dito della mano, viveva un’anziana donna,
madre di tre figli caduti nella guerra dei Quattro Venti.
L’anziana aveva una salute molto debole e mangiava
davvero poco. Da quando ai suoi figli era toccato in
sorte di morire ancora giovani e nel fiore delle forze,
ella aveva perduto anche le sue. Così magra, così sottile,
così moribonda, la si vedeva camminare lentamente,
a piccoli passi, solo nel pomeriggio, quando andava a
prendere l’acqua dolce dal pozzo che stava ai confini del
mare. Rincasava presto, appena in tempo per richiudere
la porta dietro di sé, allorché cominciavano a sbuffare
le Tempeste Raccolte.
Il luogo dove abitava l’anziana era infatti posto al
centro di tutti i capricci del clima. Proprio sul capo della
casa pendeva una parte di cielo che pareva una brace.
Noto fin dall’antichità sulle carte degli avventurieri per
essere il punto di raccolta di tutti i venti, questo lembo di
terra desolato, in cui passava i suoi giorni la donna, era
spessissimo attraversato da vortici di aria così grossi e
aggressivi da far rabbrividire anche i più temerari.
Il piccolo ricovero dell’anziana aveva resistito, nel tempo,
a tutte le calamità e nessuno mai scoprì come. Forse,
si raccontò molto tempo dopo, radici fantastiche stringevano
le sue fondamenta; forse, la mano sotterranea d’un
gigante buono teneva ancorata la casupola al terreno.
Una sera di quelle più buie e maledette, una sera in
cui ai venti si stava unendo ostinata la pioggia battente
ed ogni cosa si oscurava nel colore, ogni pianta si piegava
su se stessa e i fiori e i frutti scomparivano dalle strade
e dai campi, la donna arrostiva, nell’angolo misero
della cucina, sopra una griglia di tizzoni crepitanti, pane
e cipolle. Quando sentì bussare tre volte alla porta. Ebbe
un sussulto di paura.
«Chi è?», chiese con voce piccina.
«Uuuuuhhhhhhhh…Uuuuuhhhhh… Sono il Vento del
Nord. Apri questa porta o la schiaccerò col mio soffio!».
La poveretta rabbrividì quando riconobbe il soffio gelido
del Vento del Nord che penetrava dalle fessure delle
finestre, ma aprì lo stesso la porta.
Si ritrovò davanti a un grosso vortice nero e roteante
che emanava sbuffi terrificanti e freddissimi, i suoi occhi
non erano occhi, ma cerchi vuoti e biancastri, le sue
labbra sottili e grigie mostravano un ghigno orribile che
avrebbe fatto svenire chiunque.
L’anziana dovette mantenersi alla maniglia della porticina
stava per volar via con la sua gonna che era già
diventata gonfia come una mongolfiera.
«Cosa cerchi nella casa d’una povera donna?», ebbe
la forza di chiedergli.
«Ah, ah, ah…», rise tronfio il Vento del Nord con quel
ghigno spaventevole che si ritrovava e ingrossandosi
tutto, «vuoi farmi credere di non ricordare? Non ricordi
che i tuoi figli osarono sfidare me e i miei fratelli all’alba
del Giorno delle Meraviglie?».
«Nel Giorno delle Meraviglie ai miei figli fu ordinato di
compiere la vostra uccisione. Ed essi obbedirono, anche
se con poveri mezzi, ma con tanto coraggio da vendere.»
«Ah, ah, ah», rideva quello, pieno di sé e magnifico,
«davvero pensaste di poter vincere l’ira dei miei fratelli?
La superbia del Vento dell’Est, il bollore del Vento
del Sud, la grandezza del Vento dell’Ovest? Che presunzione,
donna, ebbero i tuoi figli. Nulla può abbattere il
dominio delle Tempeste Raccolte!».
Poi, dopo una pausa e qualche folata gelida che a ogni
respiro faceva divenire ghiaccio ogni cosa gli si trovasse
intorno, aggiunse: «I tuoi figli giacciono nei tre punti cardinali
in cui furon sbattuti dai Venti. Tuo figlio il più grande
precipitò a Est ed è oggi schiavo nelle terre del Marajà. Tuo
figlio il medio precipitò a Ovest e vive sospeso su un ponte
a testa in giù sopra una voragine di acque profonde. Tuo
figlio il piccolo è chiuso nella prigione ghiacciata del Regno
Sempre Freddo di cui io sono il padrone! Ah, ah, ah…».
La donna accolse quelle notizie col dolore più profondo
che possa toccare il cuore d’un essere umano. Ella
non parlava, piangeva soltanto e più piangeva più il suo
stomaco si rimpiccioliva.
«C’è una ragione per cui son venuto a sbuffare alla
tua porta. Vuoi veder liberi, forse, i tuoi figli?».
Cadeva quella sera il decennale del Giorno delle Meraviglie.
L’anziana non lo sapeva o lo aveva dimenticato.
«Posso lasciare liberi i tuoi figli, ma dovrai tu prendere
il loro posto facendoti da me, oggi stesso, lanciare
nel Sud del Mondo, dove una fanciulla capricciosa
e sempre scontenta ha bisogno di un pizzico d’amore.
Faccio questo non perché mosso da compassione, bensì
perché ordini precisi me lo impongono, nel Giorno in
cui le Meraviglie possiedono la Terra. Decidi, donna, e
sii saggia».
Non ci pensò più d’un secondo, la donna. Afferrò un
fagottino riempiendolo di poche cose e salutò la sua casa
proprio come si saluta un essere umano, carezzandone
dolcemente i muri che per tanto tempo l’avevano protetta.
«Io sono pronta. Ma tu sii fedele a te stesso e mantieni
quel che prometti».
Il Vento del Nord la caricò sulle sue imponenti spalle
e, presa una rincorsa stupefacente, a grande velocità la
gettò lontano.
Nello stesso momento, i tre fratelli furono scagliati
sullo spiazzo antistante la piccola casa. Non vennero
mai a conoscenza della storia della madre. La credettero
morta per i tanti anni passati nel dolore. I Venti feroci
non attraversarono mai più quel luogo, cambiando
direzione.
Dopo alcuni anni, i fratelli allargarono la casa, si sposarono
e misero famiglia.
Nelle dolci mattine di primavera, mentre zappavano
la terra, volenterosi e buoni, una delicata brezza li avvolgeva
sulle guance.
A loro sembrava il bacio della madre.
Carla Saracino, di Maruggio (Ta), è nata nel 1980.
Sue poesie sono apparse su ‘l’immaginazione’ (Manni), Tabula Rasa (Besa), Specchio e Tuttolibri de La Stampa nonchè su varie antologie.
Nel 2007 è uscita la sua opera prima I milioni di luoghi (Lietocolle, 2007), premio Saba Opera Prima. Una silloge con inediti è stata pubblicata nel 2008 all’interno della rivista Nuovi Argomenti (Mondadori). Del Febbraio 2009 è invece il libro 14 fiabe ai 4 venti (Lupo editore)
Insegna lettere a Milano.
I testi e le immagini appaiono con autorizzazione dell’autrice