Dal 24 al 26 febbraio. L'ottantatreenne di Pavia, non vedente, che era stata violentata nei giorni scorsi, è morta. Sei arresti per violenze sessuali continuate, su una bambina di nove anni, a Palermo. Il presunto stupratore del ragazzino dodicenne di Napoli è stato pure arrestato. Nel trevigiano, dove io vivo, una donna di 36 anni e la sua figlioletta di due sono state uccise a coltellate, forse dal compagno di lei. Un padre separato uccide il figlio di nove anni nei locali di un'Asl del milanese e si toglie la vita con lo stesso coltello.
Allora parliamo ancora di sicurezza. Onestamente. Come testimoni, come sopravvissute, come attiviste, come lavoratrici, come madri e sorelle e figlie e mogli e compagne, come gli esseri umani che siamo. C'è un solo modo per farlo. Dobbiamo parlare di cosa ci fa paura. Di cosa ci blocca, di cosa libera o trattiene le nostre energie, di cosa ci esaurisce. La nostra sicurezza ha a che fare con la nostra autostima? Cos'è sicuro in famiglia, sul lavoro, per strada, cos'è insicuro?
Mettete ciò che considerate “personale” sul tavolo della discussione. Non è la prima volta che sentite dire “il personale è politico”, ma credetemi, non è mai stato così vero come oggi. Permettetevi di dire la sofferenza e il disagio e il turbamento. Fate domande, anche se non sperate di avere risposte rapide e semplici. Rompete il silenzio.
Le crisi di sistema, come quella che stiamo vivendo globalmente, tendono ad avere tempi lunghi e aspetti molteplici. Regimi repressivi. Abusi dei diritti umani. Guerre. E ogni giorno, ovunque, si prendono decisioni in nome nostro e per interesse privato. Per conto di tutti e per le tasche di pochissimi. In alcuni luoghi confiscano terre. In altri le terre le bombardano. In altri ancora le inquinano, le devastano, le alterano irrimediabilmente. Prendono vite con la stessa noncuranza di chi strappa fili d'erba, o le feriscono, le torturano, le negano.
In Italia stanno distruggendo separazione dei poteri costituzionali, diritto di sciopero, convivenza civile, rispetto dei diritti umani. Per la nostra sicurezza. In particolare vostra e mia, e cioè delle donne. Dicono così.
Non aspettatevi che nell'immediato futuro andrà meglio. Prendere decisioni basandosi sulla paura o creandola ad arte non dà mai buoni risultati, perché spinge agli estremi di ogni sorta: fondamentalismi, nazionalismi, omofobia, razzismo, militarismo, sessismo, violenza e ancora violenza.
Possiamo lasciarli fare. Anche questa è una scelta. Perché siamo stanche, perché ci distrugge l'ansia per il lavoro, la casa, la scuola, i figli. Di certo in questi campi siamo tutto fuorché “sicure”. Non sappiamo se ci rinnovano il contratto, se riusciremo a pagare il mutuo, se arriveremo a fine mese con i prezzi che aumentano e aumentano, se una volta laureati il ragazzo o la ragazza dovranno ciondolare in giro per anni, se otterremo aiuto per il familiare malato o anziano o disabile, se potremo averlo noi stesse per una gravidanza desiderata o indesiderata, o per una violenza subita. Di solito troviamo qualche modo per maneggiare lo stress e per continuare a fare tutto, ma il rischio è che si finisce per tollerare gli abusi come parte dello scenario, come parte del prezzo che bisogna pagare per vivere. E pian piano, i nostri sogni, le nostre speranze, muoiono e le nostre anime ci vengono sottratte. Essere in grado di avere un mestiere che ci piace: chi lo pensa più? Sentirsi riconosciute, rispettate, valutate, per ciò che siamo e per le cose di cui ci occupiamo. A qualsiasi età. Sentirsi in armonia con la vita che scorre, che trasforma, che germoglia e fiorisce, che riposa e rinasce. Perché questo dovrebbe essere un lusso, o un'utopia? A che serve essere qui, altrimenti?
Per favore, parlate. Parlate di quello che state passando, non negatelo e non nascondetelo. Non è una vergogna aver timore, dovrebbe vergognarsi chi vi mette nelle condizioni di provarlo. Il conforto che vi offrono, con i “pacchetti sicurezza” e le ronde e la militarizzazione dei territori è una droga micidiale. Non lasciatevi avvelenare: essere una donna non è essere una preda, non è essere sotto tutela e controllo per l'intera esistenza, non è essere un campo di battaglia, non è essere complice, predestinata ad alcunché, impotente. Non voltate più la testa, né di fronte al dolore vostro, né di fronte a quello altrui. Reclamate le vostre anime, il vostro spirito, la scintilla che vi rende uniche qualsiasi sia il modo in cui volete chiamarla. E fatela risplendere nelle vostre parole, siano esse una protesta della luce contro il buio in cui vorrebbero precipitarci.
Maria G. di Rienzo
(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 27 febbraio 2009)