Aleggia un aroma lento e dolciastro di oppio in questi versi, ammesso che non sia la poesia stessa l’oppio dei popoli meno incólti… dunque prima del dominio mass-mediatico. La Vita (maiuscola!) anteriore a che cosa? All’esistenza stessa, che nessuna ottocentesca pariginità poteva far assurgere al trasognamento esotico anelato da una società inconsciamente inappagata dei suoi trionfi meccanici, tra vaporiere fumose e tralicci metallici, tra esposizioni universali e contagi coloniali (presto la pandemia, con Conrad). Baudelaire è sia l’ultimo grande Antico sia il primo grande Moderno della letteratura europea: dunque un Classico. La meteora Rimbaud, sfrigolante e fosforescente sul declinare del secolo, – non me ne vogliano gli amici francesi – non può stargli accanto, benché Oltralpe abbiano impiramidato su di lui più saggi che su duemila anni di Bibbia… Forse stravedendo in quel ragazzo con gli occhi cerulei – che volle evitare una vera maturazione mescolando in modo maldestro l’arte e la vita, con grande sciupio di entrambe – stravedendovi, dicevo, una nuova giovinezza della loro civiltà, la quale al pari di quella europea stava, e sta tuttora, invecchiando… E tuttavia, come non concordare, dopo tanti collettivi deragliamenti dei sensi e gigantomachie criminali, con il suo “je regrette l’Europe aux anciens parapets”? Teniamoceli stretti questi parapetti, perché aldilà di essi la corrente si fa sempre più torbida, e i sogni esotici sono stati già tutti sognati (forse l’inappagabile esotismo, oggi, è la Verità). Dopo due guerre immani ci siamo liberati – non interamente, forse, in Francia e in Inghilterra – d’imperiali grandigie, di memorie nostalgiche, di palingenesi frettolose. Francia e Inghilterra, queste due vecchie signore arrochite in contrasti secolari che appaiono oggi da cortile, sono ormai province di questa Europa, e prima se ne renderanno conto meglio sarà per tutti. Sono andato troppo oltre? Ma la poesia è di per sé un Oltre! Baudelaire, poeta e quindi profeta, vide più lontano di tutti i contemporanei. In questo suo visionario Tramonto dell’Occidente (tautologia fatale), melodiosamente sospeso tra l’antica allegoria e il moderno simbolismo, potete leggere tutto quanto è stato sopra accennato, e molto, molto altro ancora. (M.C.)
LA VIE ANTÉRIEURE
J’ai longtemps habité sous de vastes portiques
Que les soleils marins teignaient de mille feux,
Et que leurs grands piliers, droits et majestueux,
Rendaient pareils, le soir, aux grottes basaltiques.
Les houles, en roulant les images des cieux,
Mêlaient d’une façon solennelle et mystique
Les tout-puissants accords de leur riche musique
Aux couleurs du couchant reflété par mes yeux.
C’est là que j’ai vécu dans les voluptés calmes,
Au milieu de l’azur, des vagues, des splendeurs
Et des esclaves nus, tout imprégnés d’odeurs,
Qui me rafraîchissaient le front avec des palmes,
Et dont l’unique soin était d’approfondir
Le secret douloureux qui me faisait languir.
LA VITA ANTERIORE
Sotto portici a lungo dimorai vasti e alti
che i Soli equorei tingevano di mille fuochi,
e che i grandi pilastri, dritti e maestosi, rochi
d’ombre rendeano a sera come antri di basalti.
I marosi, volgendo il cangiar dei cieli tardi,
mescevano in solenne screziata apocalissi
gli accordi onnipossenti di sinfoniali abissi
al Sole in agonia, riverbero dei miei sguardi.
Laggiù stagioni vissi voluttuose e calme,
recluso tra l’azzurro, tra le onde e gli splendori,
tra schiavi ignudi, pregni di aromi come ori,
i quali la mia fronte con lente lente palme
mitigavano, assorti solo di approfondire
il martirio segreto che mi facea languire.
Suo perfetto complemento a dittico, e séguito metastorico, è Langueur, di Paul Verlaine, di un’attualità agghiacciante. Con il passare del tempo la grande poesia, sempre inattuale, si purifica i reni dei calcoli (!) contingenti, e quindi ringiovanisce, mentre quella “impegnata” avvizzisce irreparabilmente. Ogni intellettuale di corte, ogni accademico più o meno decorato, giù giù fino all’estensore di rubriche ebdomadarie di successo – e dico tutto – vi si dovrebbe rispecchiare; magari non nel patriziale ego dicente, ma nel mimo di Alessandria, caro a Mecenate, nominato nel decimo verso o nello statistico schiavo del penultimo. Per la dizione di questa tragedia frivola, ormai latitando dai vivi Carmelo Bene, si pensa a un Paolo Poli in un suo rarissimo momento di autenticità, ovvero di malinconia.
LANGUEUR
À Georges Courteline
Je suis l’Empire à la fin de la décadence,
Qui regarde passer les grands Barbares blancs
En composant des acrostiches indolents
D’un style d’or où la langueur du soleil danse.
L’âme seulette a mal au cœur d’un ennui dense.
Là-bas on dit qu’il est de longs combats sanglants.
Ô n’y pouvoir, étant si faible aux vœux si lents,
Ô n’y vouloir fleurir un peu cette existence!
Ô n’y vouloir, ô n’y pouvoir mourir un peu!
Ah! tout est bu! Bathylle, as-tu fini de rire?
Ah! tout est bu, tout est mangé! Plus rien à dire!
Seul, un poème un peu niais qu’on jette au feu,
Seul, un esclave un peu coureur qui vous néglige,
Seul, un ennui d’on ne sait quoi qui vous afflige!
LANGUORE
A Georges Courteline
Sono l’Impero alla fine della decadenza
che il transito guarda dei grandi Barbari bianchi,
e intanto compone acrostici con indolenza,
in aureo stile, che al sole rilucono stanchi.
Soletta l’anima soffre di una noia densa.
Laggiù, si dice, infuriano lunghe mischie cruente.
Oh, non potervi, fiacco per decisioni lente,
non volervi far fiorire un po’ quest’esistenza!
Non volervi, non potervi un pochino morire!
Ah, tutto è bevuto! Non ridi più, mio Batillo?
Tutto è bevuto e mangiato! Più niente da dire?
Solo, di versi sciocchini, al fuoco un codicillo,
solo, uno schiavo furfante che tarda a servire,
solo, un tedio di non so che, di tutto a sigillo!
www.webalice.it/marcocipollini
(Breve biografia di Paul Verlaine in FOTOALBUM-Biografie per immagini)