Dal GAZETIN di marzo, da domani in edicola con l'inserto Bottega letteraria e per complessive 24 pagine di notizie e dibattito, anticipiamo questo pezzo relativo alla serata tenutasi, giusto un mese fa a Sondrio, per ricordare Tiziano Terzani.
«Spero che l'Occidente torni a sorridere. Perché una civiltà che non sorride è infelice. E io trovo che ridere è una cura, è parte della guarigione. Infatti, una delle terapie che ho scoperto in India è la terapia del sorriso. Una mattina, in un parco, c'era un gruppo che, dopo aver fatto un po' di yoga, a un certo ordine alzava le braccia e cominciava a ridere. E quale modo migliore per cominciare la giornata che magari finisce in un ufficio ad aria condizionata ? Per cui il consiglio che do a tutti è cominciare con una gran risata e finire con una gran risata». (T. Terzani)
È stato un omaggio sentito a Tiziano Terzani la serata organizzata a Sondrio dall'Associazione Chicca Raina e dal Centro Documentazione Rigoberta Menchù, in collaborazione col Gruppo Emergency Valtellina, il 17 febbraio scorso.
La sua figura d'uomo e di pensatore, oltre a quella di giornalista e scrittore, non smette di affascinare. Lo testimoniano le innumerevoli occasioni di conferenze e monografie a lui dedicate, il “Premio Terzani” indetto in suo ricordo e il sito che raccoglie ammiratori da ogni dove e dal quale si può accedere a tanti suoi scritti, foto, ricordi...
La lettura di svariati brani tratti dai suoi libri – ad opera degli attori teatrali di Gente Assurda – e la proiezione del DVD Anam, il Senza nome (Longanesi, 2005) hanno fatto da filo conduttore della serata. Al centro dell'attenzione la sua esperienza di vita come malato di cancro e il suo pensiero sui fatti storico-politici accaduti nel mondo dal crollo delle Torri.
A proposito del suo libro Un ultimo giro di giostra, Terzani sosteneva d'avervi racchiuso «la summa di tutto ciò che ho imparato, tutto il senso della mia vita»; vederlo parlare nel corso della bella intervista di Mario Zanot, lassù nella baita dell'Orsigna dove aveva deciso di isolarsi per staccarsi dal mondo e accomiatarsi dalla vita, è un'autentica emozione.
Terzani racconta di come il viaggio definitivo non sia stato facile e neppure breve; lo racconta con l'umiltà di chi parla di un'esperienza propria, non di chi ammannisce consigli e nella consapevolezza che ciò che è stato per lui ha potuto essere in considerazione della sua vita, della sua storia, ricca e sufficientemente lunga, vissuta in modo intenso, libero e senza rimpianti. Certo, diverso esito avrebbero potuto avere le sue considerazioni se fosse stato giovane e con ancora tanti progetti inevasi davanti a sé, afferma lui stesso.
Al momento della prima diagnosi di cancro «ero impreparato come tutti e fu proprio come se non stesse capitando a me». Racconta d'aver pensato che «nel silenzio rotto solo dal frusciare delle auto sull'asfalto bagnato della strada e da quello delle suore sul linoleum del corridoio, mi venne in mente un'immagine di me che da allora mi accompagna. Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come su una giostra: fin dall'inizio m'era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a mio piacimento senza che mai, mai qualcuno fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto. No. Davvero il biglietto non ce l'avevo. Tutta la vita avevo viaggiato a ufo! Bene: ora passava il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari riuscivo anche a fare... un altro giro di giostra».
Provò tutte le strade: da principio quella della medicina ufficiale e presso i migliori centri ospedalieri degli Stati Uniti. In seguito si avvicinò alle cure alternative, da quella antica dell'ayurveda ad altre che prevedevano l'uso di erbe e pozioni, all'esperienza del guaritore filippino e ad altre ancora dal sapore quasi sciamanico.
«Ero alla ricerca di una cura, questo sì, ma nel procedere mi accorgevo di non volere in realtà una medicina contro il cancro, bensì contro quella malattia che è di tutti: la mortalità».
Dopo cinque anni di questa lotta Terzani decise di dire basta e di non accettare quel che gli si prospettava: altri sei mesi di chemioterapia molto aggressiva. «Non volevo altre guerre. Non mi arrendevo: non avevo rifiutato i medici e la loro scienza; volevo solo tornare in armonia con l'ordine cosmico. Sceglievo la pace».
Terzani racconta poi di aver reagito dapprima girando senza meta per New York (dove si trovava allora) e poi viaggiando molto, e viaggiando solo: «non potevo sopportare di soffrire per la sofferenza di chi mi guardava. Certe cose si devono vivere da soli, cosa anche questa da me capita in quel periodo e compresa anche dalla mia splendida moglie». La ricerca diventò così un'altra: quella di raggiungere un altro livello, il livello dello spirito. «Si aprì per me il periodo più bello della mia vita. (...) Vincere la paura della morte è un grande passo di libertà per l'uomo». Terzani riuscì così a tramutare il suo male in una grande occasione per recuperare se stesso.
E di grande occasione amava parlare anche all'indomani del tragico avvenimento dell'11 settembre 2001. «La luce ha in sé il seme delle tenebre (...) mi venne da pensare che quell'orrore era in fondo una buona occasione per ripensare i rapporti: i rapporti con la religione, con la natura, fra gli stessi uomini, per fare finalmente un salto di qualità nella nostra concezione della vita. Non sono mai stato tanto davanti alla televisione quanto in quei giorni e la frase una buona occasione continuava a tornarmi in mente. Il 16 settembre parlai in un articolo al Corriere della sera delle ragioni del terrorismo, della necessità di evitare una guerra di religione: Osama bin Laden aveva stanato me dalla tana in cui mi ero rifugiato. L'Himalaya mi parve un lusso che non potevo più permettermi. Rispose la Fallaci, negando non solo le ragioni del nemico, bensì negandogli la sua umanità. Mi colpì, poi mi fece una gran pena: lei aveva scelto la via delle passioni meno nobili – l'odio, l'astio, il rancore – della violenza che brutalizza non solo le sue vittime, ma anche chi la compie. La mia risposta, personalmente indirizzata a lei, uscì l'8 ottobre, il giorno in cui l'America aveva cominciato a bombardare l'Afghanistan».
Fu così che, secondo Terzani, gli U.S.A diedero inizio ad un processo di decivilizzazione di cui – si dice certo nell'intervista – noi tutti pagheremo conseguenze devastanti. «E il tutto in nome della pretesa di esportare democrazia e di ritenersi la più grande civiltà esistente... Ma quale democrazia? Guardate nel sudamerica quante dittature gli Stati Uniti han coperto e sostenuto!»
Tiziano Terzani, a lungo corrispondente di guerra, si reinventò militante contro la guerra; con i suoi scritti, con le sue parole, con l'esperienza sempre raccolta sul campo da allora ripete: «Fermiamoci, riflettiamo, prendiamo coscienza: salviamoci. Nessun altro può farlo per noi».
Nell'autunno 2004 Carlo Garbagnati, vice presidente di Emergency Italia, all'intitolazione a Terzani del terzo ospedale realizzato dall'associazione in Afghanistan ha affermato: «Terzani è stato un giornalista italiano che ha percorso il mondo per osservare le guerre, per raccontarle. Ma non ha accettato di essere un narratore di avventure che i suoi lettori potessero guardare come vicende estranee, lontane. Nel frequentare la guerra, Tiziano Terzani si è trasformato in predicatore di pace».
In questa veste, e col potere della risata che cura, lo si ricorderà.
Annagloria Del Piano