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Rosario Amico Roxas: Rileggendo la Centesimus Annus
23 Febbraio 2009
 

La seguente analisi dell’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II non vuole proporre uno studio dottrinale, non è compito e competenza mia; vuole essere solo una traccia ricavata da una grandissima lezione, che, prima di essere teologica, è etica. Certo…! Se Franceschini leggesse questa enciclica…!

 

                                Rosario Amico Roxas

 

 

Rileggendo la Centesimus Annus

  

Si tratta dell’ultima grande enciclica sociale; rappresenta la sintesi delle evoluzioni del Magistero sociale della Chiesa e l’esordio culturale della Sociologia del Nuovo Umanesimo che non accetta distinzioni tra laico e confessionale, perché etico.

Laicità non significa anti-clericalismo, ma la laicità non deve mai trascurare una radice etica, altrimenti finirebbe con il prevalere l’assurda logica del più forte.
L’etica non è confessionale, è, piuttosto, la guida dell’azione volontaria dell’uomo, in quanto soggetta alla legge assoluta del dovere.
In natura tutto accade seguendo ciecamente secondo l’eterna legge naturale; soltanto l’uomo, fornito di ragione autonoma, agisce nella rappresentazione della legge.
Di fronte alla ragione la legge avrebbe carattere oggettivo, obbligatorio e universale; ma così non è. Se l’uomo fosse solamente ragione, obbedirebbe alla legge, la quale acquisirebbe anche un carattere soggettivo, in quanto la ragione coinciderebbe con la volontà individuale.
Ma l’uomo non è solamente ragione, valutazione che bloccherebbe l’intera umanità dentro gli angusti confini di un illuminismo statico, l’uomo ha passioni, inclinazioni, esigenze, bisogni, impulsi, a volte, contrari alla ragione; per questo motivo l’esigenza oggettiva della legge razionale deve imporsi sulla volontà in forma imperativa, con un comando. E' l'imperativo morale che rappresenta le azioni come oggettivamente necessarie, tali da realizzare il proprio fine in se stessi senza alcune subordinazione ad altri fini. L’imperativo morale postula la libertà del volere umano come capacità di obbedire (o disobbedire) consapevolmente alla legge. Definito l’aspetto del dovere necessita determinare in cosa consiste il bene morale. Bene è ciò in cui si acquieta la volontà non trovando contraddizioni alle aspirazioni, ma per diventare oggettivo tale Bene deve risultare in grado di soddisfare la volontà di tutti. La universalità del Bene contrasta con gli individualismi, e ciò è valido sia a livello di singole persone che di gruppi, di nazioni, di popoli, di culture.
La legge della ragione comanda di realizzare con l’azione il massimo possibile della natura umana, rispettando, anzi aiutando, la possibilità degli altri uomini, che hanno una identica natura ragionevole. L’etica si concretizza, così, nella specificazione dei doveri che contrastano i diritti richiesti dalla volontà individuale.
L’equilibrio tra diritti e doveri alla luce della legge della ragione diventa il cardine sul quale ruota l’etica, il principio ispiratore delle attività dell’uomo, che è, in natura, di pertinenza solamente dell’uomo, perchè dotato di ragione, volontà, e di tutte quelle attività cerebrali che lo differenziano da tutti gli altri esseri viventi.
Attraverso l’etica l’uomo codifica le sue leggi, che non possono essere discriminanti tra i vari esseri umani, tutti egualmente dotati di ragione e volontà, ma sempre rapportati al giusto equilibrio tra diritti e doveri.
Il concetto di legge inteso come rapporto diritti-doveri, fu particolarmente sentito alla fine della 1° guerra mondiale, quando l’umanità si sentì investita da una crisi generale che culminò con il crollo di Wall Stett nel 1929; si cercò, allora, di dare una risposta a quelle crisi in termini economici, socio-politici e anche individuali.
Il problema si pose nella sua duplice interpretazione che parte da due aspetti interdipendenti fra di loro: l’aspetto economico e l’aspetto politico.
Il dibattito si animò intorno alle due principali tendenze economico-sociali, quella ad indirizzo liberale e quella ad indirizzo socialista, da non confondersi con il marxismo.
Si parlò anche di socialismo cristiano e, certamente, sotto questo nome si può collocare una dottrina compatibile con il magistero sociale della Chiesa.
Sotto il profilo economico possiamo accettare la definizione di Elie Halévy, secondo il quale

“il socialismo consiste nel sostituire la libera iniziativa dei singoli individui con l’azione concertata della collettività nella produzione e nella ripartizione della ricchezza”.

Così inteso il socialismo è direttamente opposto al liberalismo economico e certe soluzioni ispirate dal socialismo sono talvolta utili, come la nazionalizzazione di talune industrie e le attività proiettate a lungo termine per la promozione di uno sviluppo economico equilibrato in grado di programmare il miglioramento della qualità della vita in maniera omogenea a tutta la popolazione senza privilegi per le classi più abbienti. Ma l’umanesimo socialista non è un umanesimo totalmente umano, pur riconoscendogli di essere stato una valida protesta delle coscienze contro i mali che gridavano vendetta al cospetto delle stesse coscienze. Il socialismo ebbe il grande merito di avere risvegliato il senso della giustizia e della dignità del lavoratore contro la prepotenza del denaro che non perdona.
Il socialismo non è ateo per sua natura e sarebbe errato assimilarlo con il marxismo; ma esso misconosce la vera personalità umana, in quanto affida la priorità alla produzione e al lavoro, incapace di comprendere altri valori più spirituali trovandosi centralizzato sull’uomo e chiuso ad orizzonti più ampi e più alti.
L’affermazione di Giovanni Paolo II


“Com’è possibile vivere una qualsiasi vita religiosa se non si è in grado di vivere”


pur accettando le esigenze di una elevazione della vita materiale come valore innegabile a tutti gli esseri umani, interpreta tale elevazione come viatico per migliorare la vita spirituale.
La grande attenzione del pensiero sociale della Chiesa verso le esigenze dei popoli più disperati ha trasformato il magistero della Chiesa in scienza sociologica, tralasciando anche la missione di proselitismo a vantaggio dell’ecumenismo globale.
Se la caduta dell’impero sovietico segnò la fine del sistema economico marxista accentratore di ogni potere allo Stato, non segnò la vittoria del capitalismo, che pure aveva contribuito al disfacimento di un regime autoritario, repressivo e chiuso a tutte le istanze dell’umanesimo insito nelle culture di estrazione monoteista.
Il cristiano del III millennio non può restare ancorato alla lettera dei dettami religiosi, deve reinterpretarli alla luce di una diversa dinamica conoscitiva che spazia oltre l’uomo nella sua individualità per comprendere l’intero umanesimo, che non muta con il mutare delle culture, dei costumi, del colore della pelle o anche delle religioni.

La Constitutio Conciliaris Gaudium et Spes è esplicita nell’affermare l’esigenza di equilibrata uguaglianza di diritti e doveri fra tutti gli uomini, privilegiando così la centralità dell’uomo. Ma l’uomo non è un’idea, è un essere esistente, un animale ragionevole, politico, economico e anche religioso; l’uomo è qualcuno, non qualche cosa, è una persona. Non è la natura umana nella sua astrattezza, ma sostanza reale, immagine concreta e visibile del solo Dio che lo ha creato, pur restando, questo Dio, unico, indivisibile, invisibile e unico. E’ un ritornare al tema dell’elemento terreno-celeste, cioè dell’uomo mortale il cui valore è eterno. L’autonomia e la indipendenza dell’uomo non sono assimilabili a quelle di altre specie viventi; si tratta della indipendenza propria dell’essere spirituale e intelligente, che sa decidere del suo destino.
Per questo l’uomo nella sua singola identità sente l’esigenza assimilarsi agli altri uomini, di civilizzarsi inteso come divinizzarsi, cioè avvicinarsi a Dio, questa esigenza non è qualcosa di aggiunto alla natura umana, ma è qualcosa di insito in ogni uomo, con la stessa intensità per tutti gli uomini; è una esigenza naturale ed essenziale che non può essere oggetto di discriminazioni.
Ma l’uomo ha un polo di grandezza insita nella sua natura e un polo di miseria data dalla sua vulnerabilità alle ansie del quotidiano, dall’egoismo del possesso, dall’arroganza della forza, dalla volontà di imporsi sui suoi simili, al punto che periodicamente viene sconfitto dal desiderio di sopprimere una parte della stessa umanità alla quale appartiene, dimenticando che la vera natura dell’uomo è quella aperta e generosa, che reclama una comunità nella quale vivere e perfezionarsi integralmente.
L’egoismo e l’avidità dei popoli ricchi, sempre protesi verso un maggior arricchimento a danno delle popolazioni più povere è l’elemento di contrasto che annulla ogni altro valore che identifica l’uomo, rendendolo privo di quella coscienza umana che lo caratterizza e finisce con l’assimilarlo alle altre specie viventi che vivono solo obbedendo alle leggi della natura che non prevedono il rispetto del simile ma privilegiano gli istinti ferini e la legge dominante del più forte. Il concetto di giustizia non è degli animali perché privi della ragione, quando l’uomo rifiuta le regole della ragione con le quali ha sancito le leggi del vivere comune, regredisce nella scala evolutiva invadendo la sfera animale dalla quale è stato liberato con il dono dell’intelletto e della ragione.



                                                              Rosario Amico Roxas

 

 


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