Francesca Lenzi
TENEBRE
L’analisi del film
Profondo Rosso, pagg. 350, € 25
Tenebre (1983) sconcerta il pubblico di Dario Argento perché interrompe la trilogia delle madri dopo Inferno e Suspiria e segue la volontà di Salvatore Argento, produttore delle pellicole, che medita un ritorno al thriller per rinnovare il successo di Profondo Rosso. La trilogia si chiuderà soltanto nel 2007 con La terza madre, pellicola controversa che supera le precedenti per eccessi barocchi, estremizzazioni violente e insolita attenzione al sesso.
Argento raduna per Tenebre un grande cast composto da ottimi attori come Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma, John Saxon, Lara Wendel e John Steiner. Tra i comprimari più importanti citiamo Veronica Lario, Ania Pieroni, Christian Borromeo, Marino Masé, Mirella Banti, Eva Robins e il futuro regista Michele Soavi. Argento si conferma un maestro degli omicidi, confeziona uno dei suoi lavori più violenti e onirici, ma anche una delle opere più curate da un punto di vista tecnico. Il film è ingiustamente sottovalutato. In realtà è una pellicola indimenticabile, sia per merito della Louma, macchina da presa che consente acrobazie e virtuosismi, sia per molte scene gore e splatter.
Uno scrittore americano di best-seller si trova a Roma per presentare Tenebre, il suo ultimo thriller, ma viene coinvolto in una serie di omicidi che ricalcano quelli dei suoi romanzi. La trama si snoda presentando una lunga serie di efferati omicidi durante due ore scarse di proiezione. Gli appassionati non devono accontentarsi di una tagliatissima versione televisiva che spesso viene passata a notte fonda. Le scene più forti sono state tagliate e manca completamente quella durante la quale viene mozzato un braccio a Veronica Lario che schizza sangue per tutta la stanza. Silvio Berlusconi in persona pratica la censura televisiva per impedire che gli spettatori assistano a una scena così dura che vede protagonista la sua signora. Tenebre raggiunge livelli di suspense che ricordano il miglior Profondo Rosso, presenta flashback intensi, parti oniriche ben realizzate, si caratterizza per una trama originale e un’ottima interpretazione.
Le musiche di Claudio Simonetti fanno parte integrale del film, come in ogni opera di Argento, sottolineano i momenti importanti della vicenda e accompagnano flashback e omicidi. Il regista mette in primo piano l’omicidio come elemento estetico sin dalla lettura delle pagine del libro Tenebre. L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava e così commise il suo primo assassinio. Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole né provava ansia o paura, ma libertà: ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento: l’omicidio. Il film ruota tutto attorno a questo brano, recitato dallo stesso Argento in apertura di pellicola, e apre la strada al duplice mistero che diventa sempre più ingarbugliato. Gli omicidi sono diversi perché non è sempre il solito killer a colpire e le motivazioni risultano distinte. Il primo assassino uccide cleptomani, lesbiche e pervertiti di ogni tipo a colpi di rasoio, per compiere una sorta di purificazione. Il secondo assassino uccide il killer, lo fa rivivere e devasta a colpi d’ascia i corpi di alcune vittime predestinate. Lo sconosciuto transessuale Eva Robins (Roberto Coatti) interpreta un piccolo ma importante ruolo nella parte onirica che rappresenta la malattia mentale del secondo killer.
Tenebre fa eccezione a un cliché di Argento perché una volta tanto l’assassino non è donna. Il regista è stato spesso accusato di misoginia e di maschilismo proprio per questa preferenza e in alcune battute di Tenebre cerca di difendersi con le parole del protagonista. In Suspiria (1977) e Inferno (1978) le donne che uccidono hanno malefici poteri soprannaturali. In Quattro mosche di velluto grigio (1971) è il rancore verso gli uomini che le porta a colpire, mentre sono traumi infantili e di altro genere che guidano mani assassine in Profondo Rosso (1975), Phenomena (1984), Trauma (1994) e La sindrome di Stendhal (1996). Le donne restano vittime privilegiate anche in Tenebre, personaggi da punire per colpe ancestrali, in ogni caso presenze perverse e inquietanti. I due killer, però, sono uomini in preda a inconfessabili malattie mentali e a traumi che derivano dall’età evolutiva. Una costante nel cinema di Argento è la presenza di un assassino insospettabile che uccide per nascondere un terribile segreto o spinto dalle conseguenze di un grave trauma infantile.
Tenebre è un film importante perché porta alle estreme conseguenze la lezione di Mario Bava presentando ancora una volta un assassino in guanti neri che uccide a colpi di rasoio. L’uso della soggettiva con la macchina da presa che si muove in maniera acrobatica e identifica le azioni del killer è innovativo, così come gli efferati delitti a colpi d’ascia e di rasoio sono il sale della pellicola. Altri elementi ricorrenti sono i primissimi piani degli occhi, secondo la lezione di Mario Bava, la macchina da presa che immortala il terrore delle vittime e le mutilazioni compiute dalle armi bianche (preferite dal regista), senza eccede nel filmare la morte, caratteristica tipica di Lucio Fulci. Importante anche la musica che introduce a un momento di tensione, accompagna gli omicidi e libera la violenza dei colpi. Le citazioni letterarie non mancano mai nei film di Argento e anche in Tenebre viene fuori Il mastino di Baskerville di Conan Doyle quando il protagonista afferma che la verità è sempre possibile. Non manca neppure un personaggio che ha visto il killer ma non ricorda il particolare decisivo, sino al momento in cui tutto torna alla memoria per giungere rapidamente a uno sconcertante doppio finale. Dario Argento abbandona l’horror soprannaturale, fa i conti con il possibile e gira una pellicola del terrore, un thriller onirico inquietante e morboso che fa rivivere le atmosfere metropolitane de L’uccello dalle piume di cristallo (1969), Il gatto a nove code (1971), Quattro mosche di velluto grigio (1972) e Profondo Rosso (1975).
Tenebre è un film realistico che diventa inquietante per merito di una fotografia luminosa del grande Luciano Tovoli e per le personalità contorte dei due assassini. Il giornalista interpretato da John Steiner è un cattolico perbenista dalla mente contorta che non sopporta i pervertiti e gli amorali. Lo scrittore interpretato da Anthony Franciosa scopre il killer, lo uccide con un colpo d’ascia e infine ne prende il posto per vendicarsi delle persone che lo danneggiano. Alla base degli omicidi dello scrittore c’è un trauma adolescenziale, causato da una donna che lo umilia e che lui stesso uccide. La scena che resta impressa nell’immaginario collettivo è quando, in un cruento finale, la sagoma folle di Anthony Franciosa si staglia dietro un impotente Giuliano Gemma per brandire un terminale colpo d’ascia. Brian De Palma cita l’inquietante passaggio in Doppia personalità (1992).
Francesca Lenzi realizza uno studio accurato e obiettivo della pellicola, separando con bravura giornalistica i fatti dalle opinioni. Non è facile per una grande ammiratrice di Dario Argento.
Il volume si apre con un’accurata sinossi di Tenebre, sequenza dopo sequenza, utile per fornire un’esauriente panoramica su trama e personaggi. L’autrice prosegue analizzando le scenografie e rilevando come il film proceda ricorrendo a interni molto illuminati e a esterni solari. Tenebre è soltanto il titolo del film, ma la luce resta caratteristica fondamentale, soprattutto quando si verificano gli omicidi. Il ruolo del sonoro è analizzato tecnicamente ma anche attraverso l’interpretazione autentica di Claudio Simonetti che confessa trucchi e scelte di regia. Il colore, la luce, il tempo, le parti oniriche, i numerosi flashback e il ruolo di Luciano Tovoli come direttore della fotografia vengono messi in risalto dal lavoro di Francesca Lenzi. Non manca un’analisi accurata dei personaggi e del loro ruolo all’interno della pellicola, da quelli psicologicamente complessi (lo scrittore) ai più monodimensionali (l’ispettrice). L’autrice analizza in maniera certosina tutti gli omicidi di Tenebre, paragonandoli tra loro e annotando similitudini e diversità con gli assassini di altre pellicole di Dario Argento. Francesca Lenzi sviscera pure uno degli elementi di maggiore originalità di Tenebre: il tema del doppio assassino e le personalità contorte di due killer psicopatici molto diversi tra loro.
Il libro si conclude con una parte critica importante, dove l’autrice raccoglie opinioni di alcuni autori che prima di lei hanno analizzato la pellicola. L’intervista a Daria Nicolodi è la classica ciliegina sulla torta e mi piace ricordare un passaggio dove la grande attrice afferma di non amare il giallo e neppure il thriller. Daria Nicolodi, come tutti noi che abbiamo amato il Dario Argento di Inferno e Suspiria, preferisce l’horror e il soprannaturale. È un vero peccato che ne La terza madre (2007) si sia limitata a recitare e non abbia contribuito a scrivere soggetto e sceneggiatura. Pare che Daria Nicolodi abbia un soggetto nel cassetto, realizzato in perfetta sintonia con le follie visionarie di Inferno e Suspiria. Speriamo che trovi un regista capace di realizzarlo, anche se forse nessuno meglio di Argento ne sarebbe capace. Nell’attesa godiamoci la sua intervista esclusiva che impreziosisce un saggio critico davvero esaustivo.
Gordiano Lupi
Il libro può essere richiesto anche a ilfoglio@infol.it