Ancora una volta: evviva la Corte di Cassazione. L’altro giorno ha stabilito che Luigi Tosti, il giudice di Camerino che in nome della laicità dello Stato da sei anni lotta perché il crocifisso sia rimosso da tutti gli uffici pubblici, a cominciare dalle aule giudiziarie, gli ha dato ragione; Tosti ha ottenuto la sua prima vittoria: la Cassazione infatti ha annullato senza rinvio la condanna che gli era stata inflitta dalla Corte d’Appello dell’Aquila, proprio per il suo rifiuto di celebrare udienze e in aule dove era presente il simbolo della religione cattolica. «È un passo importante», ha commentato Tosti, che ha annunciato che continuerà la sua battaglia. Battaglia che è anche la nostra.
La vicenda non è conclusa: Tosti infatti non tornerà subito a fare il giudice: da tre anni è sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dal Consiglio Superiore della Magistratura, e su di lui pende ancora un procedimento disciplinare.
L’importante sentenza la dobbiamo alla Sesta sezione penale. Tosti era accusato di interruzione di pubblico servizio e di omissione di atti di ufficio, e per questo era stato condannato a sette mesi di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici. Tosti (mai come in questo caso, nomen omen) ha annunciato che se tornerà in aula a fare il giudice è ovvio che continuerà la sua battaglia: «O me o i crocifissi in aula. L’obiettivo è ottenere il rispetto del principio di laicità che in Italia è violato soltanto dalla religione cattolica».
Anche se silenziata, la lotta del giudice Tosti non è una “bizzarria” isolata. Nel cuore della Sicilia, a Ragusa, qualche mese fa il presidente del Tribunale Michele Duchi ha respinto la richiesta, inoltrata dall’ordine degli avvocati nel 2005, affinché venisse riappeso il crocifisso in aula, attirandosi così anche i fulmini del vescovo Paolo Urso. La notizia la dobbiamo anche in questo caso al giudice Tosti: che aveva inviato una nota a tutti i presidenti di Tribunale per conoscere il loro orientamento. Duchi ha risposto, Tosti gli ha chiesto l’autorizzazione di rendere nota la risposta, l’ha avuta; e così la “notizia” è stata resa nota.
«La giustizia deve essere amministrata in modo laico», dice il presidente Duchi, «e non sarebbe rispettoso della Costituzione amministrarla con appeso alle pareti un simbolo religioso che potrebbe essere discriminatorio nei confronti di chi osserva un altro credo».
Piccola cosa, si dirà. Forse. Però è una “piccola”, grande, significativa cosa. Grazie, giudice Tosti, grazie presidente Duchi; e grazie Sesta sezione penale della Corte di Cassazione.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 19 febbraio 2009)