Il corporativismo ebbe ragion d’essere quando Leone XIII lo incluse nei diritti di associazionismo delle classi sfruttate, al fine di tutelare al meglio diritti non riconosciuti.
Precedentemente alla Rerum Novarum i diritti venivano considerati come frutto di un medievale paternalismo e affidati alla generosità dei datori di lavoro. Con il corporativismo della Rerum Novarum, e il diritto all’associazionismo, quei diritti transitarono nella sfera della legittimità individuale.
Quando il fascismo si impossessò del corporativismo, inteso come tutela di privilegi, la Chiesa non ne fece più cenno per non ritrovarsi a dover chiarire la profonda differenza tra corporativismo cattolico e corporativismo fascista. Con l’evoluzione successiva la Chiesa riprese l’argomento, ma proponendo il cooperativismo, come libera associazione di produzione e lavoro, ribadendo il concetto di diritti inalienabili dei lavoratori, alla luce dell’integrazione sociale.
Oggi sta riemergendo il corporativismo dei privilegi, sostenuto da interessi di bottega, finalizzati al recupero di consensi presso le categorie che pretendono e ottengono condizioni monopolistiche a carico della collettività costretta a pagare il prezzo più alto, perché esonerato dalla concorrenza.
La Chiesa, questa Chiesa di questo Vaticano, annuisce e, silenziosamente approva, fornendo argomenti a sostengo di un fiorente “cattofascismo” selettivo e protettivo di un liberismo liberticida e autoritario, lontanissimo dall’ecumenismo sociale che si era affermato fino a Giovanni Paolo II, sulla scia del Concilio Vaticano II.
Rosario Amico Roxas