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Al Teatro Argentina “Il Dio della Carneficina”: quando i genitori sono più incivili dei propri figli
18 Febbraio 2009
 

Teatro di parola quello di Yasmina Reza, che in ogni sua commedia approfondisce e poi disseziona il carattere dei protagonisti, ponendo a nudo quelli che sono spesso i più malvagi sentimenti di ciascuno. Ne dà conferma Il Dio della Carneficina, testo scritto nel 2006 col titolo originario di Dieu du Carnage, rappresentato l’anno successivo per la regia di Jurge Gosch, come miglior performance in lingua tedesca, ripreso poi su molti palcoscenici europei, e in particolare: a Parigi, con l’allestimento della stessa Reza ed una straordinaria Isabelle Huppert; a Londra con la regia di Matthew Warchus e l’interpretazione di Ralph Fiennes.

 

Adesso la pièce, nella traduzione di Alessandra Serra, arriva in Italia ed al Teatro di Roma, trova ad interpreti un formidabile poker d’attori con Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon e Silvio Orlando. La regia è di Roberto Andò. La scengrafia… peraltro come ormai nell’uso del risparmio, senza scena, è di Gianni Carluccio, che firma pure luci e costumi.

 

Attenzione intanto a non lasciarsi trarre in inganno dal titolo che sta a voler sottintendere fino a che punto può arrivare l’umana incomprensione. Si comincia magari a parlare di ‘comportamento civile’, per poi scantonare raggiungendo tensioni d’incomprensibile drammaticità.

Il sipario si apre dunque su un ideale interno rappresentato da un tavolino e da due divani rossi sistemati su una pedana obliqua, non senza un significativo riferimento al trasversale rapporto che sta per verificarsi tra le due coppie di coniugi. Siedono così da un lato, quali padroni di casa, Veronique (Anna Bonaiuto) e Michel (Silvio Orlando), e dall’altro i due ospiti: Annette (Michela Cescon) e Alain (Alessio Boni).

L’incontro è dedicato a un increscioso episodio accaduto tra i propri figli, nei giardini di un parco parigino riservato ai giochi dei ragazzi. Qui Bruno ha sdegnosamente oltraggiato Ferdinand, vietandogli di inserirsi nella propria squadra. Questi però passa al contrattacco, e armato di una canna di bambù rompe il labbro e due denti al rivale.

Il ritrovarsi dei genitori di ciascuno, tende ad arrivare ad un chiarimento del malaugurato incidente e soprattutto ad una rappacificazione, all’insegna del vivere civile. Vi sono tutte le premesse perché ciò avvenga.

 

I quattro personaggi hanno le caratteristiche di altrettanti stereotipi contemporanei: Veronique, idealista con smania pedagogica, dedita alle sue battaglia per la salvezza del mondo; Michele disilluso e disincantato, marito devoto e padre amorevole, tollerante uomo di sinistra, ma che in realtà odia il matrimonio ed è succube delle rinunce cui lo costringono i figli; Alain cinico avvocato-squalo cellulardipendente; Annette isterica e insoddisfatta, che si finge moglie perfetta e madre modello, ma in realtà è disperata nella solitudine, con marito eternamente preso dal proprio lavoro.

 

All’inizio sembra dunque che le buone intenzioni tra i quattro non manchino Ma nel dialogo che via via si fa sempre più serrato c'è chi magari dice una parola di troppo, e in controbattuta l'altro gli risponde per le rime, o ancor peggio. La finzione del perbenismo è in breve naufragata, e la miccia della violenza verbale può dirsi oramai accesa. Si passa così dall’insulto verbale a quello fisico, e nella ‘piccola tragedia familiare’ non mancano di verificarsi momenti che risultano a dir poco esilaranti da parte di chi se ne sta a guardare. I quattro interpreti assieme e ciascuno nel proprio ruolo, si scatenano in un succedersi di imprevisti comportamenti.

Non mancano a tal proposito esagerazioni sceniche, come le nausee, il conato di vomito di Annette, lo stravagante e ridicolo uso del phon per asciugare i libri che stanno sul tavolino, il cellulare gettato in un vaso di fiori, i tulipani scagliati da Annette che ha perso ogni freno inibitorio. Tutti fatti e misfatti che portano la platea alla risata e quindi all’applauso, ma che senz’altro cozzano con la premessa di quel teatro di parola e quindi di quella ricerca psicologica dei protagonisti, cui si è fatto cenno all’inizio.

Ma forse il tutto viene volutamente spinto dal regista all’eccesso per dimostrare che sono i genitori più colpevoli, aggiungerei più insani dei propri figli, nel trovare un qualche ragionevole punto d’incontro e di comunicazione. Ad Anna Bonaiuto, ad Alessio Boni, a Michela Cescon e a Silvio Orlando non mancano alla fine i più convinti e calorosi applausi.

 

Teatro: Argentina

Città: Roma

Titolo: Il Dio della Carneficina

Autrice: Yasmina Reza

Traduzione: Alessandra Serra

Regia: Roberto Andò

Interpreti: in ordine alfabetico, Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon e Silvio Orlando

Scene, costumi e luci: Gianni Carluccio

Periodo: fino al 22 febbraio

 

Lucio De Angelis

(da Notizie radicali, 17 febbraio 2009)


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