Uscito per la collana Lo Specchio di Mondadori, Guerra è un libro fisico, tangibile, solido quanto tragico. Diviso in quattordici sezioni, le poesie nascono per invenzione grazie al ritrovamento di un diario del padre di Buffoni scritto a matita mentre era internato in un campo di concentramento. Buffoni legge così attraverso la voce del padre la prigionia, la sopraffazione. La mente di Buffoni ne elabora la lettura, se ne fa carico e cosi nasce questo documentato album in versi, dove si dipana la Storia sul freddo piano dell’enunciazione. Buffoni impiega degli anni a comporre questo poema composto per episodi autonomi ed allo stesso tempo connessi (ci fu un libro edito nel 2004 per LietoColle, Rammendi in cotone arancione che in Guerra è diventato la terza sezione). Il libro è teso, vi alberga una strenua energia e pare che la lingua di Buffoni venga invasa – come la mente – dalle interminabili scene di dolore, dal male che la guerra produce. Cosi è la forma di questo affresco, srotola tra le epoche: da città turrite e fanti alle deportazioni in treno di fatale memoria, dai reduci ai disertori, dai cadaveri ai renitenti e poi le torture, la guerra fame morte vittoria (titolo di una sezione), i topi: è la visione della guerra da vicino, è l’indignazione, è l’uomo che racconta l’uomo e non si capacita dell’elenco scomposto di distruzione che accade e che è accaduto.
E non chiude con un lieto fine: l’ultimo testo infatti recita Wolfgang Liebelt / 10.1.25 – 30.12.43 / Nel cimitero tedesco di Cassino / («Se fossi un generale / non farei attacchi / con armate rettangolari / Ma solo azioni triangolari / Facendo segui al primo attacco / Una potenza sempre più massiccia») / A sapere piuttosto di ambrosia / Tra gli altri ventimilacinquantasei.
A chiudere la raccolta questa voce che pare provenire da Spoon River, la voce di un morto (numero, nonostante abbia un nome, una data di nascita e morte) che ossessionato dalla guerra appunto, ancora teorizza la carneficina, teorizza movimenti o possibilità che avrebbero potuto guidare una migliore vittoria, teorizza mentre è seppellito con altri ventimila e tot frutto di una pratica e teoria che altri prima di lui hanno giocato (e perso): la guerra.
Fabiano Alborghetti