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Riccardo Cardellicchio: Fermate La Pira. Romanzoweb a puntate. XI
08 Febbraio 2009
 

164.

Dall’altra parte del telefono m’arriva un sospiro e una specie di singhiozzo. E qualcuno che abbassa.

Chiedo al segretario di redazione: “Chi mi cercava?”

“Una donna. Parlava a fatica”.

“Voce giovane o…”.

“Ehi, ho detto che parlava a fatica. Non ho potuto farmi un’idea”.

Devo averlo da qualche parte. Frugo dappertutto e lo trovo.

Compongo il numero, un tremore a rendere impacciati i miei movimenti.

Squilla, il telefono. Una, due, tre, quattro, cinque volte. Alla fine, eccola.

“Pronto”, dice piano.

“Lucia”, dico. Tace. “Sono Claudio”. Che aggiungo ancora? Le chiedo se era lei poco fa? Ma prima che risponda, lei sussurra: “Scusami, sono stata una stupida”.

E riabbassa.

Mi sconvolge questo suo modo di fare.

Barbara esce dalla stanza di Bianchi. S’accorge che qualcosa non va. “Ti senti male?”

“No. No”.

“Sei pallido”.

“Pallido?”

“Pallido e sconvolto. Non impancare che non è successo niente”.

“Non è successo niente”, dico, mentre dalla redazione sportiva arriva un “ci hanno derubati”.

L’Italia è stata battuta 2-0 nel primo turno eliminatorio del campionato del mondo.

Barbara s’allontana imbronciata.

Che cavolo sto combinando?

 

165.

Il residente della Fiat, Vittorio Valletta, afferma: “Il governo di centrosinistra è un frutto dello sviluppo dei tempi. Non si può e non si deve tornare indietro. Io sono un fautore del centrosinistra”.

Protestano gli operai della Fiat, a Torino, contro la sede Uil di Piazza Statuto. Il sindacato ha firmato un accordo separato con l’azienda, nell’ambito del rinnovo del contratto.

Cgil e Cisl l’hanno presa male.

Volano parole grosse. Il tono della polemica si mantiene alto, fino a quando non arriva la notizia del terremoto in Irpinia . Ventuno morti. Fa discutere il ritardo dei soccorsi.

 

166.

Enriques Agnolotti parla con calma. Il nuovo piano regolatore ha un obiettivo preciso: salvare Firenze dalla speculazione edilizia. Quella speculazione che in tre anni di commissario l’ha fatta da padrona.

“Una bella scommessa”.

“Direi, piuttosto, una bella scelta, politicamente saggia. Firenze è una città che merita rispetto. Tutte le città italiane meritano rispetto, ma Firenze in modo particolare”.

“Agnolotti, non è che questo strumento, con l’obiettivo di salvaguardarla, blocca il naturale sviluppo della città?”

“No. Impedisce che venga snaturata. Impedisce il caos generato dalla speculazione. Mi spaventa quel che sta avvenendo in altre realtà, piccole e grandi, della Toscana”.

Nicola Pistelli, che cerco poco dopo, m’invita a tenere gli occhi aperti. “Abbiamo un problema di scuole. Se tutto va bene, nel giro di poco tempo, ne aprire venti nuove. Eppoi realizziamo il cavalcavia sull’Affrico, e i sottopassaggi in Piazza della Stazione. Il traffico automobilistico sta aumentando. E il sindaco insiste per costruire alloggi da dare ai senzatetto”.

La Pira mi dice: “Chi sostiene che non facciamo niente, che io ho la testa altrove, sbaglia di grosso”.

 

167.

“O madonna”, dice Piero Santi, il critico cinematografico. Persona intelligente. Non sempre siamo in sintonia.

S’è lasciato andare a questa esclamazione di fronte alla notizia che Pier Paolo Pisolini è stato aggredito, nella capitale, alla prima del suo film “Mamma Roma”.

“C’è gente – dice Santi –che non vorrebbe far crescere culturalmente l’Italia. Vorrebbe sepre l’Italietta di Mussolini. Provinciale. Chiusa in se stessa.

Barbara approva vistosamente. Eppoi mi guarda. Sono giorni che parliamo poco. Sono giorni che non dormiamo insieme. E, a mezzogiorno, sono più le volte che vado a mangiare da solo in San Lorenzo di quelle che rimango in casa, e aspetto che lei cucini per tutti e due.

Mi fa male questa situazione. Mi fa male anche perché non sono leale con lei. E non se lo merita.

D’altra parte, non riesco a essere leale con me stesso. Mi maltratto, per questo. Mi dò del vigliacco. E sprofondo – sempre di più – nella malinconia.

Il medico, l’amico medico, mi ha messo in guardia. “Se continui di questo passo, t’ammali di nervi. Sì, ma che ti sto a dire. Sei un testone, uno che non si uole granché bene”.

 

168.

Ci si mette di mezzo il prefetto, a Torino, e Fiat, Cgil, Cisl e Sida firmano l’accordo aziendale. E’ stata una trattativa lunga. Spigolosa.

L’attenzione di La Pira è per quel che in programma in Vaticano. “E’ un grande papa. Non è un papa qualsiasi, di transizione. Se ne sono accorti tutti, ora. E c’è chi lo teme. Mi conforta sapere che c’è. E che sta per dare il via al concilio ecumenico Vaticano II. Ricorda? L’aveva annunciato nel 1959. Vedrà, aprirà nuovi orizzonti”.

Ma, accanto a questa notizia, ne arrivano altre ben diverse. Un attentato terroristico degli estremisti sudtirolesi. Un morto e diciotto feriti alla stazione di Verona. Giovanni Ardizzone, giovane comunista, viene ucciso nel corso di una manifestazione a Milano. Le agenzie battono che la manifestazione era stata indetta “contro il blocco navale di Cuba ad opera degli Stati Uniti, in seguito all’installazione di missili sovietici nell’isola”.

Enrico Mattei, presidente dell’Eni, l’uomo che ha salvato la Pignone, che ha risposto all’appello di La Pira, muore in un incidente aereo a Bascapè, in provincia dio Pavia. Veniva dalla Sicilia.

Sabotaggio? Cresci ne è convinto. “Era un uomo scomodo. Un potente che usava l’Eni come arma”.

Hombert Bianchi osserva che aveva numerosi nemici. “Prendete la Francia, per esempio. Un grande nemico per i francesi, visti i suoi rapporti con il Fronte di Liberazione nazionale dell’Algeria. DE le grandi compagnie petrolifere dove vogliamo metterle? Pensate alla sua politica energetica con l’Eni”.

“E la mafia? – dice Battiglia – La mafia siciliana, forse non per conto suo ma per conto di terzi. Che poi, per me, sono le compagnie petrolifere, le cosiddette sette sorelle”.

La Pira commenta: “Una grande perdita”. Anche lui crede nel sabotaggio. Non  avalla quel che da alcune parti si sostiene: causa del maltempo, giornata piovosa, il pilota può essere incappato in un errore.

“No”,  dice La Pira. E’ affranto. Non vuole credere nemmeno che abbia esercitato una grande influenza su numerosi deputati e finanziato, in modo occulto, i partiti. Non vuole credere d’avere trattato con un grande corruttore.

Bianchi dice che Mattei era figura con molte ombre, troppe, e individuare l’autore del sabotaggio è impresa difficile, se non impossibile.

 

169.

Hombert Bianchi annuncia alla redazione che se ne va, lascia il giornale.

“Non è possibile”, dice Francini.

“Non si cambia un direttore che funziona”, dice Battiglia.

Barbara è seduta accanto a me. E’ venuta di proposito. I nostri rapporti sono freddi da molto. Praticamente siamo ai saluti formali.

“Che segno è”, chiede.

“Sta tutto in chi gli subentra”, dico.

Il nome viene fuori quasi subito. E’ quello di Leonardo Pinzauti.

“Pinzauti? Ma è un musicologo”.

“Una persona per bene”.

“Certo, una persona perbene. Ma s’intende di musica. Sa tutto sulla musica. Ma quanto sa di un giornale, sul suo insieme?”

“Il messaggio è chiaro. Stanno mettendo in liquidazione il giornale”.

Di nuovo. Mi trovo di nuovo in una situazione scomoda. Con qualche anno in più sulle spalle.

Barbara mi tocca un braccio. “Usciamo”.

L’assecondo.

“Pinzauti”, fa Barbara. Lo conosco per collega scrupoloso. “Non dici niente?”, mi chiede.

“Che vuoi che ti dica. Non me l’aspettavo. Pensavo a un nome collaudato, esperto. Confesso credevo di sentire il nome di Vittorio Citterich”.

“Dobbiamo pensare a emigrare”.

“Non voglio pensarci”.

 

170.

Darlo Fo e Franca Rame se ne vanno dalla trasmissione televisiva Canzonissima. Lo fanno dopo otto puntate. Troppe censure. Intoccabili gli imprenditori.

C’è chi ironizza, chi reagisce con parole dure. Bernabei è un censore. Con lui, la tv considera gli italiani dei perfetti imbecilli.

Chiedo un giudizio a La Pira. Fa salti mortali per non darmi una risposta compromettente. “La televisione – dice – non è un giocattolo”.

Non gli levo altro. Si sofferma, invece, sulla riforma della scuola media. Alza l’obbligo scolastico a quattordici anni. Si sofferma anche sul congresso del Pci. Togliatti è stato confermato segretario. E Longo vice segretario. In segreteria è entrato Enrico Berlinguer. In direzione, porte aperte per Nilde Iotti, Giorgio Napoletano e Ugo Pecchioli.

Il Psi si è schierato con la maggioranza di governo per approvare la nazionalizzazione del’energia elettrica. La Pira s’esprime in maniera positiva.

 

171.

“Che ti succede, Claudio?”. Barbara è preoccupata. Siamo in cucina.

“Niente”, rispondo. Continuo a non essere leale. Però non mi sento di mettere a nudo la ferita.

“Non me la dài a bere. Ma se insisti nel negare, va bene. Ti prendo come sei. D’altra parte, mi sembra d’avertelo già detto che sei un bravo ragazzo, ma irraggiungibile, che gli piace stare dentro una corazza”. Tossisce. “Comunque, non ti chiedo d’amarmi. Di non ignorarmi, questo sì, te lo chiedo”.

Barbara accenna un sorriso. Cambia discorso. “Volevo portarti a vedere Viridiana, film di Lis Bunuel. Ma è stato sequestrato. Motivo: offensivo della morale cattolica”.

“Tira brutta aria”.

“Come no. L’ape regina di Marco Ferreri s’è beccato l’accusa di oscenità e Rogopag, a causa dell’episodio La ricotta di Pier Paolo Pisolini, è stato sequestrato per vilipendio della religione cattolica”.

“C’è questa spada di Damocle sull’Italia: il Vaticano”.

“Più che il Vaticano, ho la netta impressione che siamo in mano a gente che vuole tenersi cari certi personaggi”.

“Certi vescovi, certi cardinali”.

“Certi politici”.

“Mi chiedo spesso se viviamo in un Paese i cui governanti hanno una paura sfottuta dekl comunismo”.

Barbara mi guarda. Ha gli occhi umidi. “Devo dirtelo. Anche se so che sbaglio. Ma devo dirtelo”. E’ evidente che la politica non c’entra più niente. “Ti amo”. S’allontana.

Rimango fermo. Sorpreso. Combattuto.

Lei entra in camera sua. Chiude la porta. Sento, riesco a sentire, il suo pianto.

 

172.

La Pira non sta nella pelle. “Deve leggerla. Deve leggerla. La Pacem in terris. Solo lui, solo papa Giovanni poteva affrontare con lucidità e determinazione i problemi della pace”. L’incontro fuori del suo ufficio.

La leggo E convengo che è un documento straordinario. Tutti dicono che è un documento straordinario. Il giornale gli dedica più d’una pagina. Vittorio Citterich è commosso. Anche Paolo Cavallina è commosso. Pinzauti si chiede e chiede se sia poco lo spazio dedicato.

“Renditi conto – mi dice Francini – Mentre esce questo documento straordinario, l’enciclica di un papa ritenuto insignificante, la segreteria della Dc pensa al progetto di riforma urbanistica sostenuta dal ministro Fiorentino Sullo, e ne prende le distanze pubblicamente”.

La Dc non pensa all’enciclica. Pensa alle elezioni del 28 aprile. Che non le vanno bene. Neanche al Psi vanno bene. A destra, il Pli raddoppia i voti. A sinistra, il Pci passa dal 22,7 al 25,3 per cento

La Dc intavola trattative per arrivare a un governo di centrosinistra organico, che deve caratterizzarsi in senso anticomunista. Il Psi mette paletti. Entriamo nel governo se si realizzano le regioni e si attua la riforma urbanistica.

“L’onorevole Aldo Moro ha ricevuto l’incarico di formare il governo”.

Giudico Moro uno che va troppo piano. E’ eccessivamente prudente. Parla e non sempre lo capisco. E’ quel che vorrei non fosse la politica.

Vittorio Citterich arriva in redazione con una copia dell’Osservatore Romano. Giovanni XXIII è molto malato. Ha un tumore allo stomaco.

“Per scriverlo così chiaro, vuol dire che siamo alla fine”.

E di lì a poco arriva un dispaccio Ansa con la notizia che il papa è entrato in agonia.

Cerco La Pira. Non lo trovo. La segreteria m’informa che non vuole essere disturbato. Un conoscente mi dice, poi, che è in San Marco a pregare.

Telefona mia madre. “Babbo e io andiamo a Roma, ai funerali del papa. La parrocchia ha organizzato un pullman”.

“Bene”, dico.

“Ci risentiamo al ritorno”.

“Vengo a trovarvi. Prendo qualche giorno di ferie”.

“Sarebbe l’ora”.

 

173.

La notizia, me la porta un carabiniere, un minuto prima che Renzo Battiglia mi si ponga davanti, un dispaccio Ansa in mano. Commosso.

I miei genitori sono morti nel pullman finito in una scarpata sulla via del ritorno da Roma, a pochi chilometri da casa.

Sono gli unici morti. Gli altri passeggeri sono rimasti feriti, più o meno seriamente.

Non riesco a dire una parola.

La notizia si sparge in redazione. Tutti si fanno intorno a me. Barbara, informata, raggiunge immediatamente il giornale. Si fa largo tra i colleghi e mi viene accanto. M’abbraccia.

Non ho la forza d’alzarmi. Continuo a ripetermi che non è possibile, che non è giusto, che io dovevo andare da loro, stare con loro. E’ tanto che non li vedo.

“Vieni,  t’accompagno”, dice Barbara.

“Se hai bisogno”, dice Battiglia: E Francini m’abbraccia. “Ci sono cose, fatti, che non ce la fai ad accettare. Ci vuole fede. Una grande fede”.

“E’ difficile pregare Dio, ora”, sussurro.

Barbara guida la mia Cinquecento.

 

174.

Devo reagire. Spetta a me tutto, anche la parte burocratica. Non ho parenti. Barbara mi dà una mano. E’ costretta a farmi domande di continuo. Non sempre so rispondere a modo. Lei è paziente.

Un mare di gente partecipa ai funerali.

Stringo non so quante mani.

Anche quelle del sindaco. Un amico.

Ho trovato due loculi, uno accanto all’altro, nella parte nuova del cimitero comunale. Una parte dove il sole batte fino alle due del pomeriggio.

Barbara cerca di farmi mangiare. Ora sì che sono di poco pasto.

Telefona il direttore. Mi chiede come va. Gli rispondo che non va. Mi dice che posso stare quanto m’occorre. Gli rispondo che ne riparliamo. Non è escluso che prenda l’aspettativa. Un mese, due mesi, tre mesi. O me ne vada. No, dice, non andartene ora, siamo a un passo dall’approvazione della legge che istituisce l’ordine dei giornalisti. No, aggiunge, non devi mollare, ora. Eppoi che vai a fare? Il disoccupato? T’aspetto presto. Ho bisogno di uno come te.

 

175.

Barbara deve rientrare. Mi lascia malvolentieri. Non mi vede in buone condizioni.

Vago per la casa. Mi soffermo spesso sulla porta della camera dei miei. Non tocco niente. Non ho voglia di toccare niente. Di sconfondare. Non mi va di violare la vita dei miei. Non ora.

Forse lo farò tra qualche tempo. Mi farò dare una mano da Barbara.

Esco raramente. Il giorno vado a mangiare in un piccolo ristorante del centro, gestito da una donna – Pina – lontana parente di mia madre. Una donna alla mano, ottima cuoca. E’ innamorata della nostra cucina, delle nostre tradizioni. Fa un pancotto che non smetteresti mai di mangiare. Meglio della ribollita e della zuppa di pane. So che non lo digerisco facilmente, ma lo mangio anche perché mi ributta bambino. E non importa se mangio con le lacrime agli occhi, le immagini di mia madre e mio padre giovani. Io per mano a loro, in mezzo a loro, a Torinio, a Pisa , a Firenze, a Montacatini Terme, a Viareggio, lungo l’Arno.

La sera non esco. Me la cavo con un caffè e latte e due fette di pane abbrustolito con burro e marmellata di albicocche o ciliege.

La mattina presto sono al cimitero.

Rimango davanti alla tombe in silenzio. Non mi viene fatto di parlare, come mi succedeva nei primi tempi con Chiara.

Leggo poco e male i quotidiani. Moro ha rinunciato all’incarico di formare un governo di centrosinistra, i socialisti impegnati direttamente nel governo.

L’incarico passa a Giovanni Leone che riesce a mettere insieme un monocolore Dc con l’astensione  di socialisti, socialdemocratici, repubblicani, monarchici e Svp.

Leggo, invece, libri. La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda e Lessico famigliare di Natalia Ginzburg.

M’incuriosisce la nascita, a Palermo, del Gruppo 63, movimento d’avanguardia che rivuole dare carte nelle repubblica delle lettere. Ci sono autori che non conosco: Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Porta, Sanguineti.

Barbara mi telefona tre volte il giorno.

“Tornea. Tutti vogliono che torni. Ti ha cercato La Pira. Sembra che non gli vadano bene le cose. Avrebbe detto che si sente prigioniero della grettezza politica”.

Non rispondo. Non posso rispondere. Non ho certezze. Non ho, non ho, non ho. Un ritornello.

 

 

176.

La sua voce è bassa, quasi un sussurro. “Ho saputo. Ho saputo in ritardo. Mi dispiace. Sono addolorata”. Lucia. Dio, è lei. “Vorrei esserti accanto”.

“Ti ringrazio”, riesco a dire. Poi farfuglio. “Non voglio importunarti oltre”, dice.

“Non m’importuni. Non ho da fare granché in questi giorni”, dico.

“Sei solo?”, chiede.

“Sono solo. Non ho parenti. Non ho nessuno”. Sta zitta. “Non riesco a rimettermi in carreggiata. Tutto mi sembra inutile”.

Lo fa. E sei tentato d’abbassare la saracinesca. Ma bisogna reagire, darsi una mossa, guardarsi intorno, non rifiutare la mano che ci viene offerta. Un’àncora”.

Lei sa. Lei c’è passata. Il marito esce di casa, una mattina, e glielo riportano morto.

“Vorrei esserti accanto”, ripete.

Non glielo dico: vieni. L’ho lì, nel petto, ma non glielo dico. Mi blocca il pensiero di Barbara. Non mi va di ferirla più di quanto abbia fatto finora.

“Ti ringrazio della telefonata”, dico.

“Figurati. Ciao”, dice piano.

“Ciao. Grazie”.

 

177.

“Non sono sicura, - dice Barbara al telefono – ma qualcosa deve bollire in pentola”.

“A cosa ti riferisci?”

“Alla morte del monsignore, e non solo”.

“Sei cocciuta”.

“Sono cocciuta e curiosa. E, ti confesso, stanca. Perché non andiamo al mare? Vengo in treno da te, eppoi si raggiunge Viareggio con la tua cinquina. Guido io, se non ti va di farlo te”.

 

178.

Mi fa andare al bagno Balena. Penso che l’abbia fatto apposta. Penso che voglia scuotermi con un’immersione nei ricordi.

“Non avrei dovuto…”.

“Ti ho sempre ritenuto capace di reagire”.

“Mi sto arrendendo al dolore”.

“Ti piace stare male”.

“No”.

“Sì”.

Passo ore strane. Limbo di sentimenti. Gli occhi chiusi, m’affido ai rumori. Un venticello mi liscia il corpo. E mitiga il caldo.

Ogni tanto Barbara dice qualcosa. Non so se vuole iniziare un discorso. Però, di fronte al mio silenzio, alla mia immobilità, si blocca. Desiste.

Lasciamo la spiaggia verso le sette.

Ne abbiamo preso, di sole.

Ho la gola secca e gli occhi non m’assecondano. Vedo sdoppiato. Non ho portato gli occhiali da sole,. Non li amo.

Barbara guida piano.

A un certo punto, infila un vialetto tra i pini.

“Perché?”, chiedo. Tengo gli occhi chiusi, la testa appoggiata al sedile. Non risponde. Sento che si muove. Apro gli occhi incuriosito e la vedo completamente nuda.

Dice: “Se non ne approfitti…”.

La Cinquecento non è l’ideale. Ma non posso non approfittarne.

 

179.

Il direttore m’accoglie a braccia aperte. “Finalmente”.

Altri colleghi mi salutano. C’è anche Sergio Lepri.

“Riprendi il tuo posto”.

“Spero di meritarlo ancora”.”Non ho dubbi. La Pira ha chiesto di te. Chiede di te. Gli sei nel cuore”.

“Mi dicono che non se la passa bene”.

“Troppi galli in un pollaio. E i socialisti, per di più, vivono nel terrore d’essere tenuti in disparte, d’essere adoperati”.

“C’è chi sostiene che la maggioranza vivrebbe in una condizione di crisi perenne”.

“Un altro sindaco avrebbe già dato forfait. La Pira, no. La Pira si muove spinto dal suo ottimismo indistruttibile”.

 

180.

10 ottobre. Un giorno che mi graffia l’anima. Longarone, Faè, Rivalta, Villanuova, Pirago, Erto, Casso. Nomi di paesi cancellati dal cedimento della diga del Vajont. Quasi duemila morti.

Fanno uno strano effetto quel campanile che spunta dalle macerie, il deserto, e quelle figure nerem, di donne, che si muovono nell’illusione di trovare qualcosa, almeno un oggetto della vita passata, un appiglio per continuare a vivere.

Una tragedia annunciata. Viene fuori che in tanti erano a conoscenza dell’instabilità dei terreni. L’Enel, il genio civile, i prefetti di Bolzano e Udine.

Emerge anche che la commissione, che ha approvato il progetto, era formata dagli stessi tecnici che quei progetti hanno redatto.

Di fronte a queste cose, non riesco a essere indulgente. Condanne, condanne senza attenuanti.

Sono eventi che hanno un solo motore: il profitto. Il massimo profitto.

No,  non lo accetto. E m’accaloro se devo discuterne.

 

181.

Gli affitti sono troppo cari. E, in diverse città italiane, la gente manifesta.

Sul Giornale del Mattino cade una bella tegola. Nel processo d’appello, padre Ernesto Balducci e Leonardo Pinzauti vengono condannati. Calducci a sette mesi e Leonardo a cinque. Con la condizionale. In prima istanza erano stati assolti. Il loro reato? Apologia di reato. Calducci, per avere scritto un articolo in difesa dell’obiettore di coscienza Giuseppe Zozzini, e Pinzauti per averlo pubblicato, in gennaio (macroscopica negligenza).

L’obiezione di coscienza non è ammessa in Italia. E’ un reato. Non si può dire di no alla violenza della guerra, alla morte e alla distruzione che la guerra porta, Non si può parlare – come ha fatto Balducci – di dovere morale della diserzione in caso di guerra totale.

Mi convinco sempre di più che, la nostra, è una democrazia malata.

 

182.

Il cardinale Ermenegildo Florit ha allontanato padre Balducci da Firenze e Leonardo Pinzauti ha lasciato la direzione del Giornale del Mattino.Florit non è dalla Costa. Florit considera Balducci e La Pira come due nemici.

Battiglia accende un’altra sigaretta e se la piazza tra le labbra, in un angolo. Brutta aria. Brutta aria. Per tutto noi. Il clima politico non ci è più favorevole. E Pinzauti ha pagato”.

Lo guardo perplesso. “Dobbiamo preoccuparci?”, chiedo.

“Io – risponde – lo sono da un bel pezzo”.

Barbara, che è seduta accanto a me, mostra d’essere a disagio. “Ci sono troppe cose che non tornano. Voci che girano”.

“Per esempio?”, chiede Francini.

“Florit. La sua presenza non è quella di Dalla Costa. E’ ingombrante. E non mi riferisco alla stazza. Vuole la testa di La Pira”.

“Confesso – intervengo – che quando sono tornato, ho trovato qualcosa di diverso. Anche in La Pira”.

“Si sentiva protetto da Dalla Costa. E dal Vaticano. Questo papa, papa Montini, come si comporterà?”

“Mi sembra un mite Paolo VI. Uno che non ama il rumore”.

“Certo, venire dopo papa Roncalli non è sorte indolore. Non può far finta di niente. La Pira non è uno qualsiasi”.

“Né Balducci”.

Esco. Ho un appuntamento con La Pira. Non gli vedo il solito sorriso, né gli occhi furbi. E’ un La Pira giù di tono. “Due amici – dice – cancellati dalla scena fiorentina. Non me l’aspettavo. Per nessuno dei due”.

“C’è chi sostiene che dietro tutto questo ci sia Florit”.

“Sono voci. Sono arrivate anche a me. Ma non voglio crederci. E’ un cardinale”.

“E che vuol dire?”

“Dovrebbe…”.

“Professore, ci sono troppi misteri non chiariti a Firenze. Da anni. E certi indizi ci portano sempre nella stessa direzione”.

“Quale?”

La Curia”.

“Anche al tempo di Dalla Costa?”

“Sì. Non lui. Ma il contorno, l’entourage. Non s’è posto domande di fronte alla morte di quel monsignore?”

“Un suicidio.

“Convinto”.

“Perché non dovrei. Non è emerso altro”.

“Non è vero. Tengono tutto in sordina. Come la morte della Volpe. E l’aggressione che ha portato alla morte la mia collega”.

“Lei mi spaventa”.

“Non voglio spaventarla”

“Il quadro è fosco”.

“Vorrei aggiungere anche un altro tassello mai chiarito”.

“Che altro c’è?”

“Quella settimana. Quella sua assenza ingiustificata di una settimana”.

La Pira mi guarda indeciso. “Uno scrupolo. Uno scrupolo eccessivo di chi mi stava accanto”.

“Temevano qualcosa? Che la rapissero per sbarazzarsene?”

“Lei vola con la fantasia”.

“Senza prove, bisogna che m’arrenda. Comunque, anche oggi il bersaglio è lei. Non arriveranno alle maniere forti, ma, i bastoni, glieli buttano davanti per farlo cadere”.

“Dio non lo permetterà”.

Sto zitto. Da troppo tempo sono in lite con Dio.

 

183.

E’ tornato Hombert Bianchi. Pinzauti ha deciso di dedicarsi a quella che è la sua vera passione: la musica.

Bianchi non fa proclami. Sembra voler riprendere da dove ha lasciato, ma con meno entusiasmo.

Non c’è entusiasmo, almeno da parte mia, di seguire le vicende politiche di Firenze. Su altre sponde, invece, sono impegnati a scalzare il sindaco santo.

Barbara e io.

Barbara è straordinaria. Accetta i miei sbalzi d’umore. Rispetta la voglia di solitudine che ogni tanto mi prende e mi fa vivere da isolato, il muso lungo, poca voglia di parlare.

Dice, dopo aver letto un’Ansa: “E’ morto il pittore Casorati”.

“Non lo conosco” , fo.

Guarda un’altra Ansa ed esclama: “Accidenti”.

“Che c’è?”

“E’ morta Edit Piaf, la cantante francese”.

“L’uccellino. Bella voce”.

“Bella voce e vita disgraziata”.

Continua: “In Grecia, Karamanlis s’è dimesso. Si vede che gli è andato di traverso l’assassinio di Lambrakis, il deputato di sinistra. Si ipotizza che al suo posto vada Papandreu”.

“Mi stai leggendo il giornale di domani”.

Ride. “Non ho niente da fare. Quella poca nera in circolazione, Gian Paolo e io, l’abbiamo liquidata in un’ora. E te?”

“Soliti discorsi sul Comune. Con qualche annotazione sulla sinistra”.

“La sinistra? Diciamo i comunisti. Che mi sembrano un po’ mosci”.

“Hanno un po’ di problemi”.

“Il primo è, senz’altro, il centrosinistra”.

“Un problema anche per certa Dc e Curia”.

“A proposito, il Mandragola che fine ha fatto?”

“Dopo la morte del monsignore, s’è volatilizzato”.

“Che abbia deciso di mettersi da parte?”

“Uno come lui non si dà per vinto. Aspetta. Aspetta il momento propizio per tentare di rimettersi in gioco”.

“Certo è che ha una bella costanza, se è vero quel che dici”.

Usciamo alle due. Piove fitto. C’infiliamo nella mia Cinquina.

“L’autunno – dice Barbara – non è la mia stagione”.

Io, invece, non lo rifiuto totalmente.

Barbara si ferma in camera mia.

 

183.

I socialisti hanno deciso, non senza lacerazioni, di andare al governo con la Dc. Punti fermi: le riforme di struttura.

Riccardo Lombardi è stato il paladino. Pietro Nenni ha detto: va bene. L’hanno confermato segretario. Il vice è Francesco De Martino. Che – confesso – mi piace di più.

Questo risultato costringe Giovanni Leone a porre fine al suo monocolore.

Il consiglio nazionale della Dc, sollecitato dal segretario Aldo Moro, dà il via alle trattative per arrivare a un governo organico di centrosinistra. A Firenze, si guarda a Roma con interesse. Se anche Roma arriva al centrosinistra, Firenze non può che trarne vantaggi. Si pensa.

Lo pensa La Pira che pare rinfrancato. “Ci sono idee che hanno la forza d’imporsi”, dice in presenza di Pistelli e Agnolotti.

Ma il nemico è sempre in agguato.

Ha cessato di piovere. Posso attraversare Piazza della Signoria senza infradiciarmi. Vedo gente. Da un bar m’arrivano voci più alte. Tra lo stupito e l’addolorato. Curioso, entro. Mi rivolgo al barista. “Che è successo?”

“Hanno ammazzato Kennedy”.

C’è Andrea Barbato in tv. Racconta con freddezza quel che è avvenuto. Scorrono immagini drammatiche.

“E’ la fine d’un’epoca”, dice una donna. Bella presenza tra una decina di uomini.

 

184.

Non si parla d’altro. E non potrebbe essere diversamente. Il personaggio era immenso. Nel bene e nel male.

I giornali sono pieni di ipotesi. Se ne leggono di tutti i colori. In questi casi, è difficile trovare un punto fermo.

Moro forma il governo quadripartito. E’ il suo primo governo. E’ riuscito a mettere insieme Dc, Psi, Psdi e Pri. Vicepresidente del consiglio è Pietro Nenni.

Barbara mi regala La Tregua di Primo Levi. Leggo e soffro.

Trovano spazio – poco, in verità – sul nostro giornale, le notizie che riguardano il drammaturgo tedesco Rolf  Hochhuth per il suo dramma Il Vicario. Non ci va di scartina. Accusa Pio XII di concorso colposo nello sterminio degli ebrei.

Sono polemiche.

Polemiche nascono anche per la messa in scena, a Milano, di Vita di Galileo di Bertold Brecht. Interprete Tino Buazzelli, un attore che mi piace. Regia di Giorgio Strehler, che non pochi definiscono un genio.

Vado alla scrivania di Barbara. Sta sfogliando Il gruppo, romanzo di Mary McCathy.

C’è aria di festa. Fino a un certo punto. E’ preoccupante la crisi congiunturale dell’economia.

Dal mio paese, mi telefona un amico. Mi chiede se ho intenzione di vendere la casa dei miei genmjitori. Gli rispondo di no. Non mi sento di privarmene. Sapere che c’è, che posso andarci in qualsiasi momento, mi fa bene. In certi momenti, mi dà forza.

L’ho lasciata come l’ho trovata alla morta dei miei. Ho incaricato una vicina d’andare ad aprire le finestre e a togliere polvere e ragnatele, ogni tanto.

In due occasioni, ci sono andato con Barbara. Ci siamo rattenuti un paio di giorni.

Vado a vedere tre film con Barbara. Sono io a spingerla. Otto e mezzo di Fellini, che m’entusiasma. Poi Il silenzio di Bergman, che m’emoziona. Infine Il Gattopardo di Visconti. Barbara lo esalta. Io non ci riesco. Mi succede ogni volta che vedo un film tratto da un libro.

In me, prevale sempre il libro. Non riesco a evitare paragoni.

Alessandro Mazzinghi, pontederese, diventa campione mondiale dei pesi medi junior. Preferisco Mazzinghi a Benvenuti.

 

185.

Fa freddo. Però mi sposto volentieri a piedi. Quando l’aria è secca, sto bene. E’ raro averla a Firenze.

Vado verso Palazzo Vecchio. Sto scrivendo poco e male. Sono giorni. Ho notizie con il contagocce. Asettiche.

Mentre cammino penso a quanti anni ho. Sto per raggiungere i quaranta e mi sembra d’avere compicciato poco in tutti i sensi. Non ho una famiglia e nella professione non sono riuscito a salire gradini. Da cronista ho cominciato e cronista sono rimasto, anche se ho la qualifica di caposervizio, ottenuta a Grosseto – impaniato nelle vicende politiche fiorentine, un occhio di riguardo per La Pira. Che non considero uno stravagante, un folle. C’è, addirittura,  chi ne parla come di un mago, e tira fuori storielle assurde su certi suoi presunti poteri. Finché si scherza.

Non ci sono notizie, se non la pubblicazione su Politica di un articolo di Nicola Pistelli. Un articolo che non può essere ignorato. “Sono ormai molti anni – scrive Pistelli – che la figura del sindaco di Firenze viene usata come bersaglio tradizionale dei quotidiani conservatori”. Ma negli ultimi due anni – aggiunge – la polemica è diventata ancora più aspra. Due sono le accuse ricorrenti. La Pira ha ridotto a brandelli il bilancio del suo Comune portando il deficit a cifre paurose. La Pira non ha risolto neppure uno dei problemi che gravano su Firenze, con il bilancio rimasto a zero. Ma se non ha fatto nulla, come ha potuto spendere le cifre paurose che si dice? Si lascia intendere – afferma Pistelli – che i soldi sono stati consumati in telegrammi chilometrici ai capi di Stato esteri, in convegni internazionali per la pace e in ricevimenti agli esponenti politici africani di passaggio a Firenze.

Una Giunta inefficiente? Strana inefficienza – dice Pistelli – se oggi a Firenze si sta completando la costruzione delle ottocento anche scolastiche decise dall’attuale amministrazione. Se nelle scuole elementari fiorentine si insegnano gratuitamente da tre anni – con programmi predisposti dal Comune – le lingue straniere a migliaia di ragazzi. Se è già pronta la riforma della burocrazia comunale.

E chi ha esentato dall’imposta di famiglia tutti i contribuenti fiorentini più modesti? Chi ha costruito, negli ultimi tre anni, oltre duecento strade nuove? Chi ha progettato la massiccia rete degli impianti sportivi? DE i raccordi per l’autostrada del Sole? E l’edilizia popolare, nonostante le difficoltà derivate da un territorio soffocato e vincolato?

Si può pensare – sostiene Pistelli – che il particolare accanimento con cui la stampa di destra ha commentato le vicende accadute intorno a La Pira sia dovuto soltanto ad autocombustione, senza trovare spunti e occasioni nella situazione locale”. Mette sotto accusa l’atteggiamento dei socialdemocratici, che si sono posti sullo stesso piano di liberali e missini. E bacchetta i socialisti troppo titubanti, specialmente all’inizio della Giunta di centrosinistra.

“Ci vorrebbero tanti Pistelli – dice Battiglia – per dare una bela scossa a quest’Italia timorosa, bigotta, conservatrice. Mai incontrato un politico dalle idee chiare, e giuste, come lui. Non è tipo da rimangiarsi le opinioni come fanno altri”. Porta l’esempio di Fanfani, che in un discorso a Roma ha messo in discussione l’irreversibilità del centrosinistra.

   

Riccardo Cardellicchio

 

 

Fine undicesima parte

 

 


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