Rivendico, con convinzione, il diritto di tacere in un caso di coscienza che è stato sfruttato per sostenere opposti convincimenti finalizzati alla conferma di reconditi scopi che nulla hanno a che vedere con la ragione del contendere.
Mi riferisco ad un “caso” artatamente montato, che avrebbe meritato di scomparire nelle segrete delle individualità coinvolte. Questo “caso Eluana” ha spaccato l’intera nazione in pro o contro, come sempre accade quando si neutralizza l’intimità del fatto per esaltare l’apparenza del gesto.
L’Italia è una nazione molto propensa alla divisione contrapposta: colpevolisti e innocentisti, bianchi e neri, guelfi e ghibellini… Coppi e Bartali, Loren e Lollobrigida, Roma e Lazio, in una miscela di sentimenti che, indifferentemente, coinvolge sacro e profano.
La libertà di parola viene confusa con il diritto di interpretazione faziosa dentro la quale non alberga il fatto in sé ma l’apparenza del fatto.
Tacere diventa un dovere superiore al diritto alla parola.
Avrebbe avuto il dovere di tacere e astenersi dal farsi paladino della vita chi ha, coscientemente, sacrificato quella del proprio figlio al 7° mese di gravidanza, compiendo un infanticidio, menando come ragione l’ipotesi che potesse non nascere sano e, quindi, bisognoso di cure, attenzioni, …amore.
Avrebbe avuto tutte le motivazioni per tacere lo steso pontefice, che ci ha fatto rivivere il dramma di Piergiorgio Welby, che rifiutò l’accanimento terapeutico che lo teneva in vita…malgrado la morte; tacere o al massimo bisbigliare per non farci rivedere quella chiesa di San Giovanni Bosco in Roma, con la porta sbarrata davanti alla salma che chiedeva di entrare nella casa di Cristo, del Cristo sofferente che implorò il Padre di sottrargli “quel calice” cedendo poi alla superiore volontà con la forza che solo il figlio di Dio poteva manifestare. In quel caso fu, arbitrariamente, revocato il dovere alla pietas cristiana, assumendo l’onere di farsi testimone e interprete della volontà stessa di Dio, sostituendo l’Amore con il Diritto Canonico.
Oggi si ripropone il dilemma che straccia le vesti, come se tutti avessero il diritto di manifestare la propria opinione, anche quando non si tratta di una opinione etica, ma di comodo, al seguito di finalità estranee che cavalcano l’emozione del momento per perseguire fini ignobili.
Per questo rivendico il diritto di non esprimere una opinione, non volendo affiancarmi a questo ignobile stupro delle coscienze, a questa strumentalizzazione della quale servirsi per esaltare valori in cui non si crede ma che si vogliono esaltare per carpire consensi.