In relazione al tema Romanzo storico e pittura di storia - Arte per gli istituti tecnici, riprendiamo il percorso sugli autori e parliamo di Massimo D’Azeglio (Torino, 1798-1866). Scrittore molto vicino ai problemi del suo tempo, uomo politico e pittore, cercò di conciliare i suoi interessi sia per la politica che per la pittura e la letteratura.
Durante il suo soggiorno a Roma si dedicò alla pittura e in seguito, trasferitosi a Milano, scrisse Ettore Fieramosca. Frequentò Alessandro Manzoni e ne sposò la figlia Giulia. D’Azeglio, è uno scrittore molto simile a Manzoni, per il fatto che entrambi vedevano la guerra come uno strumento da utilizzare solo in casi estremi, per ritrovare la libertà e l’onore. Le uniche differenze sono date dal fatto che d’Azeglio è uno storico, mentre Manzoni è un romanziere.
In D’Azeglio si può vedere chiaramente il rapporto tra pittura e letteratura. Egli infatti iniziò a dipingere La disfida di Barletta, ma successivamente non vedendo più nell’opera qualcosa che potesse esprimere un significato ben determinato, decise di lasciarla incompiuta e di passare alla letteratura, iniziando la stesura del romanzo.
Questo scritto parla del duello vittorioso sostenuto da tredici italiani, contro tredici francesi, per lavare l’onta, provocata dalle parole offensive che un francese aveva rivolto agli italiani.
Cosa può significare ricevere una piccola offesa? Forse ai giorni d’oggi poco, ma tanto tempo fa, quando l’onore e il valore di un uomo erano messi in primo piano, questo gesto significava guerra.
A quel tempo probabilmente il modo migliore per riscattare un’offesa era sfidare coloro che l’avevano provocata.
Questo è ciò che pensarono tredici italiani, che, sentendo offeso il loro valore da soldati stranieri, decisero di sfidarli, mettendo in gioco l’onore, il valore, la patria, e soprattutto la vita.
Questo episodio accadde realmente il tredici febbraio del 1503 presso Barletta; la vicenda è raccontata da Antonio Muratori. I protagonisti sono Ettore Fieramosca e Guy De La Motte. Il primo è un valoroso soldato italiano, mentre il secondo è un nobile francese molto arrogante, che insulta i soldati italiani, così da provocare la disfida proposta da Ettore Fieramosca.
Per i francesi questa sfida non è altro che un insignificante duello, mentre per gli italiani è un modo per riscattare l’onore perduto.
Il luogo scelto fu appunto Barletta e la data, spostata varie volte, fu il tredici febbraio 1503.
La disfida di Barletta viene ricordata per la lealtà con la quale fu condotta ma, soprattutto, per la vittoria degli italiani. Dopo una lunga battaglia, combattuta corpo a corpo, tredici contro tredici, gli italiani, uomini valorosi, confermarono il loro valore e riscattarono l’onore e il nome dell’Italia. Questo storico combattimento ci fa capire quanto fosse importante, a quel tempo, salvare l’onore della propria patria.
I tredici combattenti italiani, provenivano da tutta Italia, erano i migliori in circolazione e andarono incontro alla morte pur di salvare il nome e l’onore della patria.
Infatti, anche se in premio c’erano armamenti, cavalli e molti soldi, agli italiani interessava soltanto che il nome della patria non restasse infangato.
Il coraggio di questi giovani, ci ha insegnato che la patria è un bene comune che va difeso da tutti con coraggio e lealtà.
Durante la lettura siamo stati colpiti da alcune espressioni per il loro significato:
Che ognuno di noi combatta per l’amore di questa oltraggiata Italia, si muoia sul campo anziché uscirne vinto; che nessuno si renda per nessun frangente e a nessun patto prigione
Che tutti nel combattere si stiano ad un volere e ad un eseguire, per quanto consentano le vicende di zuffa e forza di ognuno; qui su questo evangelio nel nome di Dio e della Patria nostra giuriamo.
Questa frase è detta da Ettore Fieramosca ai suoi soldati prima della battaglia, ed evidenzia l’importanza dell’onore e dell’amor di patria.
La disfida di Barletta, si può definire, come la cronaca di un fatto realmente avvenuto e si differenzia per questo da altri romanzi storici.
Per concludere questo nostro percorso, vogliamo fare una breve riflessione su un romanzo che segna l’evoluzione verso il romanzo contemporaneo: Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo (1831-1861).
In questo testo autobiografico, lo scrittore parla della lunga vita di Carlo Altoviti, che narra in prima persona le sue vicissitudini.
In questo caso, a differenza di Manzoni nei Promessi sposi, il narratore è anche il protagonista principale del romanzo.
L’opera è strutturata in due parti: nella prima parte, di cui abbiamo letto Il ritratto della Pisana (cap. I), il narratore racconta in prima persona l’infanzia di Carlino, trascorsa nel castello di famiglia, il suo amore per la Pisana e le attenzioni di tutti verso di lei.
La sua infanzia era stata triste; la contessa gli proibiva di prendersi troppe confidenze, ma lui voleva troppo bene alla Pisana e insieme trascorrevano giornate stupende. Anche la Pisana si trovava molto bene con lui e, quando qualcuno interrompeva i loro trastulli, diventava capricciosa e irrequieta, finché non la portavano dalla madre: ella strepitava, pestava i piedi, gridava che voleva bene a me solo più che a tutti gli altri, che voleva stare con me e via via; finché dimenandosi e strillando fra le braccia di chi la portava, i suoi gridari si ammutivano dinanzi al tavolino della mamma.
Questa fase del romanzo è caratterizzata da confessioni e memorie autobiografiche.
L’ambiente in cui sono narrate queste vicende è ristretto al castello e dintorni, il tempo è molto lento per i tanti particolari che sono raccontati e per le molte vicende che si sviluppano.
In questa prima parte, vengono descritti i personaggi, con le loro psicologie e man mano che il protagonista cresce, si modifica anche il romanzo, nella seconda parte infatti egli è adulto ed è anche più saggio.
Il romanzo sottolinea dunque il passaggio dalla fanciullezza spensierata alle responsabilità della vita adulta come si evidenzia nella seconda parte del testo.
In Carlino tribuno del popolo (cap. x), l’autore dice che Carlino, arrivato a Fratta, si trova in una situazione analoga a quella descritta da Manzoni nei Promessi Sposi, riferita a Renzo, ovvero è attorniato da una grande folla, pronta a tutto, pur di ottenere pane e libertà.
Carlino sul suo cavallo, si sente un potente, anche perché il popolo lo ascolta e approva tutto ciò che egli dice.
Questa situazione si sviluppa casualmente.
Carlino urlava insieme al popolo e a un tratto tutti si azzittirono per ascoltare la sua voce.
Lì per lì, egli non sapeva cosa dire, ma se la cavò con qualche frase: Cittadini, cosa chiedete voi? …Dico io, senza pane e libertà cos’è l’uomo?
Il popolo, esaltato da queste parole, decide di dirigersi verso la casa del monsignor Vescovo, ovviamente rappresentato da Carlino, che era diventato la sua mano guida.
Vi è in questa situazione una differenza sostanziale con Manzoni in quanto egli nei Promessi sposi esprime un giudizio molto severo sul comportamento del popolo, dicendo che ciò che fa è irrazionale, mentre Nievo vede in questa circostanza, il nobile colto che vuole aiutare il popolo a sentirsi libero per la prima volta.
Questa seconda parte è diversa dalla precedente, l’ambiente narrativo si fa molto più ampio e il tempo si velocizza; nella prima parte predomina il protagonista fanciullo, mentre nella seconda il protagonista diventa un personaggio adulto, con gli stessi problemi degli altri. Nella parte conclusiva, Carlino adulto, dopo l’esperienza fatta, acquista una maggiore consapevolezza e guarda con ironia e con saggezza l’inesperienza di Carlino fanciullo.
In questo romanzo sono presenti elementi romantici, quali il tema dell’infanzia e il tipo di descrizioni ed elementi del romanzo storico, infatti nel passo Carlino tribuno del popolo sono presenti fatti storici avvenuti nel tempo in cui è ambientato il romanzo.
Conclusioni
Da quanto abbiamo detto è chiaro che il romanzo è un genere letterario che muta con la società e infatti con Honorè de Balzac (1799-1850) si verificò l’evoluzione verso il romanzo realista che rappresentava i cambiamenti sociali del tempo.
Balzac considerò il romanzo un genere quasi scientifico per la sua capacità di descrivere, attraverso la narrazione, differenti tipi umani e il romanziere uno scienziato della realtà, capace di descriverla fedelmente. Egli affermava - Il romanzo non è nulla se non è vero fino nei dettagli-.
Con questo nostro percorso abbiamo appreso l’evoluzione nel modo di scrivere e di narrare di molti autori e la loro caratterizzazione per stili, strutture e generi. I romanzi analizzati ci hanno illustrato le psicologie degli scrittori e dal loro modo di scrivere e dai contenuti espressi, abbiamo capito che ogni singolo romanzo ha specifiche finalità, che vanno dall’insegnamento all’informazione, all’autobiografia.
Abbiamo riassunto, secondo le nostre capacità e conoscenze, uno dei periodi per noi più importante sia per l’evoluzione della scrittura che per i contenuti espressi e abbiamo letto questo percorso attraverso il linguaggio dell’arte, che non rientra nel nostro studio curriculare ma che riteniamo importante per la nostra formazione.
Con questo lavoro abbiamo appreso che il romanzo è uno strumento molto efficace per informare, istruire o narrare vicende e che attraverso un romanzo noi possiamo galoppare con la fantasia, sperimentare nuove tecniche e apprendere realtà storico-sociali che hanno caratterizzato la storia del passato e che contribuiscono a costruire la storia del presente.
Anna Lanzetta con i suoi studenti del biennio