Non mi ha certo meravigliato la dichiarazione con la quale pochi giorni fa il Presidente della Corte di Appello di Milano, dott. Giuseppe Grechi, intervenendo all’assemblea dei penalisti milanesi ha definito il carcere di San Vittore «un luogo di tortura a pochi passi dal Duomo».
Non mi ha sorpreso perché come deputata, insieme al militante radicale Giorgio Inzani, ho effettuato una visita ispettiva nel carcere milanese il 30 novembre scorso, con il che ho potuto rendermi conto di persona che gli articoli dell’Ordinamento Penitenziario (L. 26 luglio 1975 n. 354) e del Regolamento (D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230) sul “trattamento” all’interno delle carceri, se confrontati con la realtà della casa di custodia milanese, rivelano una serie di dati a dir poco sconcertanti: mai violazione di legge è stata così eclatante, così certa e da tutti conosciuta per tantissimo tempo, senza un intervento concreto di chi avrebbe il dovere di intervenire.
Ma procediamo con ordine.
Al momento del mio ingresso in carcere, nell’istituto penitenziario milanese - la cui struttura, ricordo, è stata costruita nell’Ottocento e prevede una capienza regolamentare di 700 posti - erano presenti circa 1300 detenuti, il che comporta una carenza di spazi utilizzabili e una loro distribuzione poco sfruttabile dal punto di vista degli investimenti in attività, oltre che condizioni igieniche assolutamente precarie. Peraltro all’interno del carcere in questione sono in corso da diversi anni drastici lavori di ristrutturazione che interessano a turno uno dei raggi detentivi, ciò a riprova del fatto che la struttura non è conforme alle indicazioni contenute nel Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario (peraltro la conseguenza immediata di questi lavori di ristrutturazione è una riduzione della capienza della struttura che, non essendo compensata da una riduzione dei flussi di ingresso in istituto, si traduce in un ulteriore peggioramento delle condizioni di sovraffollamento nei raggi non ancora ristrutturati).
Nel corso della visita ispettiva, in celle di circa dieci metri quadrati ho trovato accorpate anche sei persone che dormono in letti a castello di due o tre piani. Nelle celle i letti occupano la quasi totalità dello spazio, tanto da impedire ai detenuti di stare in piedi tutti contemporaneamente; quando le persone ospitate sono sei e vi sono due letti a castello composti ciascuno di tre piani, non è possibile aprire la finestra e, di conseguenza, risulta impraticabile il ricambio d’aria all’interno del luogo di detenzione.
A San Vittore i servizi igienici sono inadeguati e le docce comuni sono insufficienti per garantire a tutti i detenuti l’utilizzo quotidiano delle stesse, il che impone ai reclusi la turnazione delle docce anche nei mesi estivi; il riscaldamento è mal funzionante, per cui sia nelle celle che nei corridoi la temperatura è molto rigida e c’è un tasso di umidità altissimo, ciò che costringe i detenuti ad indossare cappotti o giubbotti anche all’interno delle celle (peraltro non tutti i detenuti sono in possesso di vestiario adeguato; alcuni extracomunitari incontrati durante la visita ispettiva, ad esempio, indossavano magliette a maniche corte e/o camicie leggere nonostante avessero più volte chiesto di ricevere capi di abbigliamento più pesanti).
Nel reparto “comuni”, le mura ed i soffitti sono sporchi e fatiscenti; il pavimento è sudicio e la presenza di scarafaggi è all’ordine del giorno, mentre all’interno delle celle le lenzuola vengono cambiate ogni 40 giorni in quanto la lavanderia non funziona da tempo. Inoltre a causa dell’eccessivo sovraffollamento riscontrato nel carcere milanese, il livello di promiscuità è così allarmante che insieme ai detenuti cosiddetti “comuni” convivono sieropositivi, malati di epatite, tubercolotici e persone affette da scabbia.
Secondo gli operatori del settore, a San Vittore esistono seri rischi per la salute dei detenuti e degli stessi agenti di polizia penitenziaria, oltre al rischio di diffusione di malattie infettive. Ciononostante, ad oggi, non sono stati adottati i provvedimenti più urgenti e necessari per tamponare l’emergenza e rendere almeno un po’ più sicuri e salubri gli ambienti di lavoro e di detenzione. Pertanto attualmente la situazione all’interno del carcere di milanese continua ad essere al limite della tollerabilità, senza considerare che, viste le condizioni decrepite dei soffitti, in qualsiasi momento pezzi di cemento potrebbero staccarsi dai muri per colpire detenuti e poliziotti penitenziari.
Per questi motivi nel mese scorso ho depositato una interrogazione parlamentare a risposta scritta nella quale chiedo al Ministro della Giustizia cosa intenda fare per riportare il carcere di San Vittore nella legalità e, soprattutto, «se ritenga di dover urgentemente intervenire per scongiurare il rischio della diffusione di malattie infettive, per salvaguardare l’incolumità dei detenuti e del personale e per tutelare la salute psico-fisica dei detenuti».
Oltre all’interrogazione scritta, qualche settimana fa, insieme a Giorgio Inzani, ho depositato anche un esposto presso la Procura della Repubblica di Milano affinché si proceda nei confronti dei responsabili dell’amministrazione e della gestione della struttura carceraria di Piazza Filangieri chiedendone espressamente la punizione a norma della legge penale per l’eventuale ricorrenza dei reati di omissione di atti d’ufficio e di maltrattamenti e/o per tutti gli altri reati che gli organi inquirenti vorranno ravvisare nei fatti da me esposti.
I motivi della denuncia, elaborata dall’avv. Alessandro Gerardi, sono rinvenibili nel fatto che alle persone ristrette nella casa di custodia milanese risultano soppressi i diritti più elementari garantiti dalla Costituzione, dagli ordinamenti giuridici e dalle convenzioni internazionali. A tal proposito ricordo che l’art. 27, comma 3, della Costituzione, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e che il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità sancito dagli artt. 2 e 3 della Costituzione; dagli artt. 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000; dagli artt. 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli artt. 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli artt. 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 12/02/1987, recante “Regole minime per il trattamento dei detenuti” e dall’art. 1 della Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006 sulle norme penitenziarie in ambito europeo.
Inoltre: a) l’art. 4 delle “Regole penitenziarie europee” stabilisce che “la mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione che violino diritti umani”; b) il diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, insuscettibile di limitazione alcuna ed idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica; c) ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 6, della Legge n. 354/1975, «il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona», dovendo altresì essere attuato «secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti».
Spero dunque che la magistratura voglia verificare nell’immediato se ed in che misura le condizioni detentive presenti all’interno di San Vittore siano dovute alla grave trascuratezza omissiva di cui si sono resi responsabili nel corso del tempo le autorità e gli organi statali e/o comunali preposti all’amministrazione e gestione dell’istituto penitenziario in questione e se ed in che misura in tutti questi anni gli stessi abbiano costantemente evitato di adottare i comportamenti attivi specificamente richiesti dalla concreta situazione esistente all’interno del carcere milanese.
Come ha scritto il Professore Tullio Padovani nella lettera indirizzata al VII Congresso di Radicali Italiani: «Per i detenuti che on ricevono il trattamento previsto dalla Legge, ma subiscono i maltrattamenti puniti dalla Legge, c’è qualcuno che debba rispondere? E soprattutto: fino a che punto si tollererà che il delitto continui a commettersi? La domanda va posta a chi di dovere, e nelle forme di legge, vale a dire denunciando ogni episodio, ogni situazione, ogni circostanza alle varie procure della repubblica: quelle stesse che gli ordini di carcerazione le emettono. Denunce e ancora denunce, una alla volta senza stancarsi mai: un vasto orizzonte per una battaglia di legalità nel più schietto stile dei radicali».
Rita Bernardini
(da Notizie radicali, 2 febbraio 2009)