Le sevizie di Nettuno e Dario Argento. Non è solo la romanità e la dimensione dell’orrore a stimolarmi l’associazione fra il noto regista e le violenze subite dal senza tetto indiano la scorsa notte. Le dichiarazioni rese dai tre giovani italiani in stato di fermo, quelle sevizie inferte “per noia”, per vedere “quanto dura” un essere umano, le ho trovate terribilmente conformi ad una scena del film Profondo Rosso: una bambina trafigge, uccidendola, una lucertola e per questo viene aspramente rimproverata dal padre allibito dall’ingiustificato sadismo della figlia.
La cattiveria che la bambina esprime è lo sfogo di un’insana voglia che non trova, complice l’immaturità, un confine, un limite di coscienza contro cui urtare. Questo non significa che in lei non ci sia un’educazione morale - il genitore è anzi ben presente -, solo non percepisce quell’animale come un qualcosa la cui esistenza abbia valore in sé.
Credo che i tre giovani di Nettuno non siano artefici di una banalità del male dovuta alla mancanza di valori, bensì, al contrario, ad una confusione in eccedenza dei medesimi, tale da indurli a sentire il senza tetto come una “cosa” della cui esistenza o meno la società rimane indifferente. Per fortuna non sono il riflesso di un’intera generazione, ma loro notte brava è assai distante dalla vita violenta dei ragazzi delle borgate pasoliniane che brutalizzavano per odio e non per indifferenza.
Nettuno non è lo specchio della società, come non lo è il ragazzo “eroe” che, proprio a Roma solo qualche giorno prima, si prende una coltellata per difendere l’amico. Le ritengo altresì espressioni individuali di un clima emotivo e culturale che soggiace tutti noi, un clima che definisce i limiti del valore della vita. Chi stabilisce che è eroico battersi per un compagno, fino a rischiare la morte, a prescindere dalle ragioni dello scontro? Chi spinge a sentire il “barbone”, la “checca”, lo “straniero”, il “vecchio”, il “down”, come essere inutili? Chi stabilisce che la sessualità della donna o si compra o si ruba?
Quando da adulti ci troviamo allibiti spettatori ed irati punitori delle brutalità dei nostri figli e nipoti, ci interroghiamo mai sulle nostre responsabilità quotidiane nel definire questi limiti? Responsabilità che iniziano spesso nelle reazioni scomposte alle frustrazioni del vivere, fra le mura domestiche e delle aule scolastiche, fino allo spazio della comunicazione pubblica, dei mass media e dei loro opinion leader. Quanto la crisi economica cui andiamo incontro accentuerà le nostre frustrazioni di adulti spettatori e quanto esaspereremo i toni delle nostre reazioni?
Non cerco assoluzioni. Per nessuno, a partire dal sottoscritto.
Marco Lombardi