A Karl Kraus va il merito di aver restituito Johann Nepomuk Nestroy (1801-1862) al grande pubblico. L’attore e drammaturgo viennese, che aveva raggiunto in vita una popolarità strabiliante e che oggi è ancora notissimo in Austria, dopo la morte, avvenuta Graz nel 1862, era caduto nella più completa dimenticanza. Si pensava fosse impossibile “recitare Nestroy senza Nestroy”, si credeva, anche perché quello straordinario animale teatrale si cuciva addosso i propri ruoli come un virtuoso della sartoria su misura, riservandosi però sempre la libertà di dare un’aggiustatina al prodotto confezionato, ritoccato da quella sua fantasia fertilissima e da quella sua capacità d’improvvisazione che erano il terrore dei censori.
Nel 1912, per celebrare il cinquantenario dalla morte di Nestroy, Karl Kraus, altro scrittore versatile e caustico, con il suo saggio Nestroy e la posterità promosse la riscoperta dell’opera di uno scrittore di cui, ai suoi occhi era rimasta incompresa la genialità anticipatoria e la vena satirica. Il saggio sottolinea l’uso creativo che Nestroy fa del linguaggio, in grado di nascondere nell’ovatta la propria dinamite, vale a dire di coprire con una patina di placida bonomia la propria forza esplosiva. Esaltando fino all’apoteosi l’eccezionale talento di Nestroy nel giocare con il materiale linguistico, grazie anche al ricorso al colorito peculiare del viennese, infarcito di un francese maccheronico di grande effetto comico, Kraus consolidò l’opinione che Nestroy fosse assolutamente intraducibile.
In effetti, essendo «la registrazione scritta di un testo parlato, la lingua di Nestroy risulta comprensibile senza difficoltà soltanto agli Austriaci» (Hans Weigel); persino i tedeschi hanno qualche difficoltà coi copioni di questo autore. D’altra parte, però, l’unica maniera di farlo conoscere a chi non sappia il tedesco è tentare di restituire nella propria lingua, anche solo in parte, la sua verve di giocoliere del linguaggio, che nell’Ottocento fu l’interprete più geniale della “viennesità”. Croce e delizia dell’arte di Nestroy, la sua lingua, prodotto di un virtuosismo inimitabile, continua a tutt’oggi a essere l’ostacolo maggiore a una diffusione dei suoi copioni oltre i confini del mondo dei parlanti tedesco.
La prima versione italiana di una commedia dello scrittore viennese fu pubblicata per la verità già nel 1842 a Milano con il titolo Pian Terreno e primo piano ossia I capricci della fortuna e l’aggiunta esplicativa: Azione comica in tre atti di Giovanni Nestroy. Tradotta e lavorata per l’italica scena da Pietro Molin, Conegliese. Questa prima pionieristica impresa si deve probabilmente all’eco dello strepitoso successo che il copione aveva ottenuto a Vienna, non dimenticando che la capitale lombarda era allora austriaca. Un’analisi di questo lavoro, dove oltre a quello dell’autore sono tradotti anche i nomi di tutti i personaggi – il capitalista senza scrupoli “Goldfuchs” diventa “Volpe d’oro”, il povero rigattiere “Stutzel” si trasforma in “Bietolone” etc. – dimostra come le traduzioni siano prodotti della storia; questa versione, pur interessante e meritoria, risulta infatti molto datata e incline all’uso monocorde di un linguaggio colto e ricercato che male si adatta alle molteplici sfumature dell’originale.
Dopo questo primo esperimento, si deve aspettare il 1974 per poter accedere in italiano ad altre cinque commedie di Nestroy, grazie al lavoro dei noti traduttori Ervino Pocar e Italo Alighiero Chiusano. Ma anche questo lodevole sforzo non segnò, come certo si era sperato, l’inizio di un apprezzamento di Nestroy in Italia che andasse oltre la cerchia dei filologi: nei teatri italiani Nestroy non arrivò.
Nel 2002, dopo oltre un altro quarto di secolo, è uscita la mia versione italiana di due atti unici fino ad allora mai tradotti. Si tratta di due testi divertenti: I monellacci a scuola e Il gran capo Vento Vespertino. Il primo è una “Burleseke”, una buffonata che con insolente spietatezza demistifica la presunta superiorità intellettuale di una classe insegnante connotata in realtà da piccineria, codardia e corruttibilità. L’altro (l’ultimo dei copioni del prolifico drammaturgo viennese, che ci ha lasciato ben 83 lavori per il teatro, fra commedie, parodie e farse) deride spocchioso il mito del progresso e del “buon selvaggio” à la Rousseau, predicando con sconcertante indifferenza non solo la legittimità della filosofia dell’homo homini lupus, ma benedicendo in apparenza persino l’antropofagia.
L’intento di questo mio lavoro è stato quello di proporre una versione integrale dei testi che evidenziasse, per quanto possibile, i diversi piani linguistici dei dialoghi e restituisse il ritmo delle canzoni originali. L’azzardo ha trovato approvazione presso letterati competenti; ma il destinatario naturale di un copione è il teatro, dove il testo, grazie a regista e attori è sottoposto a un’ulteriore trasposizione. Questo passo non è (ancora) stato compiuto. Un peccato, perché Nestroy ha un effetto corroborante per lo spirito e, come già sosteneva Chiusano, ha qualcosa di noi, «sa di Machiavelli e di Ruzzante, di Commedia dell’Arte e di Petrolini». Anche per questo proverò fra pochi giorni, nel corso di un Convegno dedicato all’Iperbole, a riproporlo all’attenzione, illustrando “l’incoercibile tendenza all’esagerazione” che caratterizzò l’esistenza non solo professionale di Nestroy e fu una chiave del suo successo.
Gabriella Rovagnati
Per saperne di più:
Johann Nepomuk Nestroy
Il mondo è la vera scuola
Due atti unici introdotti e tradotti da Gabriella Rovagnati
Agorà, La Spezia 2002, pagg. 146
[La classe dei monellacci, pp. 15-82; Il gran capo Vento Vespertino, pp. 91-141]