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Anna Lanzetta: Sul “Giorno della Memoria”. Riflessione per non dimenticare.
24 Gennaio 2009
 

Per il giorno della “Memoria”, una riflessione tra arte e poesia, a ricordo di tutti i popoli che hanno subito e che subiscono ogni sorta di violenza:

 

Piove e piove.

Sotto la pioggia che cade obliqua, io siedo.

Tamburella sulla mia testa nuda,

cola sulle sopracciglia bruciate,

scorre dentro la bocca che sanguina.

Pioggia sulle spalle ferite,

pioggia dentro il cuore lacerato.

Pioggia, pioggia, pioggia.

A che serve vivere ancora?

 

E le parole pesano come macigni: nuda… bruciate… sanguina… ferite… lacerato… a che serve vivere ancora? Cinque parole e un interrogativo senza risposta per definire la “morte”, un corpo bruciato, sanguinante, profondamente lacerato nel cuore da ferite che non si rimargineranno. La pioggia altrove purificatrice assume in questo contesto un pianto eterno su di uno scempio che l’uomo ha commesso a danno di un altro uomo e che mai potrà essere dimenticato.

 

Questi versi sono stati scritti da un sopravvissuto di Hiroshima, Kazuo, ma queste parole travalicano ogni frontiera e suonano monito di riflessione per l’intera umanità. Il giorno della memoria deve essere un momento corale di pensiero profondo di tutta l’umanità verso una tragedia che non si può e che non si deve dimenticare; un monito a che nulla di simile si abbia a ripetere; un desiderio che si ponga fine a ogni violenza che insanguina i popoli. Che il giorno 27 segni una pausa nella nostra vita per sentire in silenzio orrore per quanto è successo, per avere paura della nostra follia, per sentirci uniti contro il terrore di tutte le violenze, per accomunare in un solo afflato tutti coloro che in questo nostro tempo subiscono violenze fisiche e psicologiche. Pensare in silenzio per sentire sulla pelle e nel cuore il freddo lacerante che al ricordo ti attanaglia le membra, come il gelo che ti opprime nei luoghi della memoria, nel Museo dell’olocausto di Osnabrück, col ricordo di tante vittime di ogni età. La costruzione fredda, gelida, metallica, con ferite profonde che tagliano il cielo, dove la torre senza fine annienta ogni volontà, ogni identità e ti denuda della tua stessa essenza di uomo; dove l’assenza di colore è assenza di respiro, di pensiero, di volontà; dove il calpestio delle maschere metalliche ti rintrona delle grida di coloro che furono immolati, dei bambini che furono sacrificati. Il giorno della memoria deve essere in ogni luogo momento di solitudine, un ritrovarsi ognuno con sé stesso per interrogarsi sul senso della storia e sul valore dell’uomo, sul prezzo della dignità, sul valore dell’onestà verso sé stessi e verso gli altri, sul da farsi per una società più giusta, sull’ipotesi di pace e di rispetto. Una riflessione perché si levi da ogni cuore un giuramento comune che mai e mai più sarà ciò che è stato e questo per tutti i popoli, di quelli di cui sappiamo, di quelli di cui non conosciamo le sofferenze, per tutti i bambini che hanno diritto di vivere nel sogno l’età dell’innocenza.

  

Uomo del mio tempo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
- t’ho visto - dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come quel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affollano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

(S. Quasimodo, “Giorno dopo giorno”, in Poesie)

 

Carlinga… ali maligne… meridiane di morte… carro di fuoco… forche… esatta… persuasa… senza Cristo… quell’eco…/ …fino a te …o figli …gli uccelli neri.

L’analisi di queste parole fortemente connotate, ci riconduce al senso della poesia intrisa di immagini di guerre, di patiboli, di perdita di valori e di carità umana; ci riporta l’eco della voce di Caino arrivata fino a noi, portatrice di lutti e sciagure.

 

Versi liberi, ai quali il poeta, Salvatore Quasimodo, affida la sua riflessione non votata all’ottimismo. Il poeta affronta la tematica del mondo contemporaneo e dei suoi mali, convinto della necessità di dialogo dei poeti con gli uomini. Nel discorso sulla poesia (1953) egli scriveva: «…il dialogo dei poeti con gli uomini è necessario, più delle scienze e degli accordi tra le nazioni, che possono essere traditi (…). Per quelli che credono alla poesia come un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita… diciamo che il tempo delle “speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno». E in questa lirica il poeta si assume il compito di condannare la violenza dell’uomo, diventato peggiore di Caino, ed eleva il suo atto di accusa contro gli orrori della seconda guerra mondiale:

  

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri,…

 

La poesia si sposa con la pittura in un espressionismo dialogante il disastro umano.

Le opere di Felix Nussbaum parlano al cuore di ognuno di noi. Il pittore nasce a Osnabrück (DE) nel 1904 e muore à Auschwitz nel 1944.

«Quando me ne sarò andato, fate in modo che i miei quadri non muoiano», disse prima di morire.

  

Opere:

Felix Nussbaum Museum” è sito in Osnabrück (Germania). È stato progettato dall'architetto Daniel Libeskind nel 1995 e finito di realizzare nel 1998.

 

 

Immagine di copertina:

L’opera è connotata da un silenzio di morte sull’assenza di vita.

Il capo piegato sul manto lacero, il desiderio di annullarsi nel volto non visibile, i piedi nudi, il capo rasato comunicano una solitudine che non trova parole adeguate. Il filo spinato taglia orizzontalmente ogni possibilità di vita e cancella nelle altre figure ogni dignità. Il degrado umano è tangibile nei colori che riflettono l’impossibilità di guardare oltre.

 

A cura di Anna Lanzetta


Foto allegate

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