Obama finalmente si è insediato. L’agognato momento si è avverato. Obama. Viva Obama. Certo. Se raffrontiamo, però, la vicenda della sua elezione (e, quindi, il sistema politico che l’ha resa possibile) con la situazione italiana non si può non nutrire profonda amarezza.
Il nostro è sempre di più un paese rispondente all’acuta definizione data, ormai quasi trent’anni fa, da Alberto Arbasino: un paese senza.
Siamo un paese privo di legalità e, prima ancora, di quell’etica civile senza di cui non si va, non si può andare, da nessuna parte. Ha ragione Vito Mancuso a lamentare l’assenza in Italia, a differenza degli Stati Uniti, di una religione civile.
Abbiamo sofferto, come italiani, il predominio di una religione imposta e concepita come dominio ed esercizio di attività mondana e, negli ultimi tempi, assistiamo a un’invadenza come non mai delle gerarchia ecclesiastiche nella scena politica e sociale.
Tutto questo a scapito della religiosità, anzi in spudorato oltraggio al senso religioso della vita, quel senso che accomuna, affratella, infonde coesione, contribuisce a dare laicamente forma ad uno stato.
Secoli di papato, con l’instillazione della doppia moralità tipica del cattolicesimo (intendiamoci, nella versione accreditata dall’istituzione pontificia), hanno lasciato strascichi nefasti nella coscienza collettiva italiana.
Peggio di una catastrofe, di un tifone cui, ahinoi invano anche se in modo encomiabile, hanno tentato di reagire, prospettando almeno vie d’uscita, soluzioni costruttive, spiriti liberi come Giordano Bruno, Giuseppe Mazzini, Aldo Capitini. Tre personalità molte diverse tra loro, in qualche caso abissalmente, accomunate tuttavia da un dato: la religiosità come elemento portante, costitutivo dell’individuo e, nello stesso tempo, unificante.
Non solo. La religiosità come assunzione di responsabilità civile. Che ne è rimasto? Poco o niente se confrontato con l’opera di devastazione etica esercitata dalla Chiesa (intesa non come comunione dei fedeli ma come istituzione politicamente, mondanamente, strutturata), opera di cui lo sfacelo attuale non può che risultare consequenziale. Sui valori (presunti) imposti e, quindi, sulla doppia moralità (ruba e fornica di nascosto ma esorta in pubblico alla virtù, anzi esigi restrizioni e addita la libertà come il peggiore dei peccati) si sono retti regimi e si sono fondati partiti. Con il risultato di deresponsabilizzare il cittadino rendendo la politica ambito privilegiato per conquistare rendite e impunemente prebende, per violare diritto e dignità e affermare il predominio della forza, della violenza, dell’arroganza. Una scorsa alla storia italiana lo conferma.
La peste non s’arresta e non potrebbe essere diversamente. Il nostro è un paese senza perché privo di coscienza politica e civile, cioè completamente carente di religiosità laica. La portata dell’epidemia è tale che investe organi di ogni ordine e grado, le maggioranze come le pseudo opposizioni. Si consideri, ad esempio, la malafede dell’attuale vertice del Pd. Sì, malafede. C’è poco da essere obamiani quando, poi, nei fatti, si dà conferma di essere costitutivamente estranei alla ricchezza culturale e ideale del neo presidente americano. Un caso come quello che riguarda non tanto l’ottimo Villari quanto la funzionalità e la credibilità del Parlamento come sarebbe stato gestito dai democratici americani? Avrebbero mai avuto la sfrontatezza di sfiduciare e costringere alle dimissioni solo per vergognose logiche spartitorie, antipoliticamente di bottega, un proprio rappresentante, regolarmente votato e designato?
Il caso Villari è, in quest’ultima fase, il più emblematico ma basterebbe girare per l’Italia per vederne di cotte e di crude, specialmente nelle regioni gestite, senza soluzione di continuità, dagli ex e post che stanno conducendo alla rovina quello che in Italia dovrebbe essere il “partito democratico”. Non parliamo, poi, dell’altro schieramento.
E, allora, che fare? Bella domanda. Dobbiamo preparare le basi per un’alternativa nonviolenta, un’alternativa di contenuti, senz’altro, ma anche di metodi. Dobbiamo coltivare l’ambizione di infondere nel paese quegli anticorpi che possono e devono renderlo vitale. Dobbiamo concepire resistenza con la durezza che la forza della verità, l’unica forza cui appellarci, esige.
Francesco Pullia
(da Notizie radicali, 22 gennaio 2009)