66.
La voce – al telefono – è contraffatta. Mi dà l’impressione che sia di donna. Ma vai a saperlo con certezza.
“Cerchi La Pira e non lo trovi. E vorresti sapere perché. Però nessuno t’aiuta. E ti arrovelli”. Evito di fare domande e osservazioni. Mi limito ad ascoltare. In questi casi, è saggio. “Il fatto è che, questa volta, mio caro giornalista, la cosa è grossa”.
Riattacca d’improvviso.
Bilenchi e il redattore capo ascoltano in silenzio. Bilenchi chiama Chiara e sono costretto a ripetere il racconto.
“Non penso sia uno scherzo”, dico.
Il redattore capo scuote la testa. “Stupidi, in giro, ce ne sono a bizzeffe”.
“Ho avuto l’impressione che questo o questa non sia uno stupido, ma qualcuno che sa. Sa, intanto, che io sto cercando La Pira. Non è che io sia andato in giro a urlarlo ai quattro venti. E non penso che voi tre, o uno di voi tre, abbiate pensato di farmi uno scherzo”. Tutti e tre dicono che, di questi scherzi, non sono abituati a farne. “Allora bisogna puntare sulla segreteria di La Pira o su chi la bazzica. Che potrebbe essere uno, o più d’uno, della Dc. Io non penso che mi abbiano telefonato per scherzo. Io penso che chi ha telefonato abbia voluto mettermi una pulce nell’orecchio”.
“Ci andrei cauto”. Il redattore capo non si smentisce.
“Certo che ci vado cauto. Dioneguardi. Ma non posso far finta di niente”.
“Il fatto è – osserva Bilenchi – che non abbiamo riscontri. Dalle forze dell’ordine buio completo. E il silenzio. E loro dovrebbero sapere. Ma non arriva neanche una soffiata. Il rapimento di La Pira, via, quanti lo terrebbero per sé? Chiara l’avrebbe saputo nel giro di cinque minuti”.
Non demordo. “Facciamo un tentativo con la Dc, con la segreteria della Dc. Sentiamo, caso mai, Nicola Pistelli, che mi sembra uno capace di stare fuori del coro”.
“Spetta a te”.
“Con Pistelli, sì. Ma io sentirei anche il Mandragola. Quell’uomo ne sa una più del diavolo”.
“Mi raccomando, - fa Bilenchi – andateci piano”.
67.
Non trovo Pistelli. Picchio morto ovunque. Chiara, invece, riesce a parlare con il Mandragola. “L’ho presa larga. Mi sembrava d’essere in mezzo al mare. A un certo punto, però, ha capito che io miravo al bersaglio grosso. M’ha guardata storto con quegli occhi da miope, e mi ha detto papale papale: è vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Il riferimento era a te, alla tua voglia d’andare a vedere – sempre – cosa c’è dietro. Anche nelle cose di normale amministrazione. Vada tranquilla – ha aggiunto il Mandragola – e dica al suo uomo che la smetta di vedere quel che non c’è. E anche lei la smetta. E Bilenchi la smetta. Firenze non è New York, né Palermo”.
68.
“Ma, di massoneria, hai mai sentito parlare?”. La voce contraffatta non va oltre questo interrogativo.
Entro da Bilenchi. Gli riferisco.
Dice: “Me lo sentivo che, prima o poi, si sarebbe finiti lì”.
“Che c’è di strano?”
“Lì è peggio che andar di notte. Un muro invalicabile. Se la massoneria s’è mossa, in qualche modo, c’è di che preoccuparsi”.
“Nessun riferimento, qualcuno in grado di dare indicazioni?”
“Non saprei. Ma anche l’avessi, ti bloccherei”.
“Perché?”
“Non sai mai contro chi vai a cozzare”.
69.
Venero Bilenchi. Non è solo il direttore del giornale in cui lavoro, un giornale nuovo come concezione, ma è anche lo scrittore, l’autore di “Vita di Pisto”, “Conservatorio di Santa Teresa”, che ritengo il suo capolavoro, “Anna e Bruno e altri racconti”, “Mio cugino Andrea”, “La siccità, “Miseria”.
Ne ha fatta, di strada, dai suoi esordi nel Selvaggio di Mino Maccari.
E c’è chi lo guarda in cagnesco. Gente che non sa andare più in là del suo naso.
70.
La voce, sempre più metallica, insiste. “Leggi con attenzione quel che scrivono, sulla Nazione, Alfio Russo ed Enrico Mattei, il giornalista s’intende. Leggi attentamente”.
Non dico niente a Bilenchi. Ne parlo con Chiara. “Non capisco, ecco”. Chiara mi vede stanco, avvilito. Mi tocca la fronte con le labbra, come si fa con i bambini, per sentire se ho la febbre, e l’ho, secondo lei.
“Ti stai logorando”, dice.
Cerco di ribellarmi. “Sto facendo il mio lavoro, come sempre”.
“Non sei più un testimone”.
“Sì che lo sono”.
“No. Sei sempre più coinvolto. Quell’uomo è riuscito a tanto”.
“Non nego d’avere per lui una certa simpatia, perché fa cose fuori delle regole. Ma…”.
“Non c’è un ma, Claudio. Stiamo insieme da un po’ di tempo e ho imparato a conoscerti, a conoscere i tuoi vizi e le tue virtù. E tra le tue virtù c’è quella, bella per me, di metterti in discussione, di mettere in discussione le tue idee. Può darsi che questa virtù sia emersa dal tuo incontro con La Pira. Sta di fatto, comunque, che hai cominciato a chiederti se La Pira è un avversario con idee bislacche o, piuttosto, un uomo, disarmato e disarmante, da ascoltare e prendere da lui tutto il buono che è capace di dare. Hai concluso, con sofferenza, non lo metto in dubbio, che è un uomo da ascoltare. E’ ciò che è successo anche a me. Senza, per questo, rinunciare alle mie idee, quelle di base, che mi fanno stare da una parte della staccionata”. Mi sorride. “E ora misurati la febbre. E domani torniamo dal dottore. Non mi va di vederti in codesto stato”.
71.
“Devi riposarti. Lo sai che, di questo passo, finisci male?”. Il medico, un brav’uomo, un amico, mi guarda severo.
Chiara gli dà manforte. “Non vuole capire. Sembra quasi che il giornale, senza di lui, non vada avanti”.
Me ne dicono altre. Che io non ascolto. Penso a La Pira, che non si trova. O meglio: che non mi fanno trovare. E un motivo deve pur esserci.
72.
Nicola Pistelli scrive che la massoneria ha dichiarato guerra a La Pira, che vuole da lui – attraverso i liberali e il quotidiano La Nazione – una buona dose di anticomunismo.
Fanfani, segretario nazionale della Dc, sta con La Pira, ma non può smentire il Governo, che ha negato l’autorizzazione alla Festa dell’Unità alle Cascine.
Si batte sullo stesso chiodo. E’ impressionante. Lo si fa un giorno dopo l’altro.
(Sì, ma La Pira dov’è?).
Nicola Pistelli aggiunge che non è finita. “Gli uomini che hanno combattuto contro La Pira la guerra delle Cascine lo attendono ora alla scadenza dell’amministrazione comunale; quel giorno, tutta la forza economica che regge i quotidiani degli industriali, tutta la sottigliezza di cui sono capaci – le guerre di Alfio Russo ed Enrico Mattei – punterà su un solo obiettivo: impedire, non già la rielezione di La Pira, ma la sua semplice presentazione come candidato a Palazzo Vecchio. La Eridania zuccheri e la Italcementi non perdonano, e d’altra parte non è per soddisfare un capriccio tipografico che profondono capitali nei quotidiani d’informazione. Nei ministeri e nei partiti, vincolati col nodo sicuro degli interessi, vi sono centinaia di uomini che hanno un problema d’alta carriera da risolvere felicemente; essi sanno quanto giovi alla salute l’amicizia dei monopoli industriali, in confronto alla scarsa convenienza di un gesto in difesa di La Pira. Contro costoro saremo di scena nella battaglia amministrativa della prossima primavera”.
(Sì, ma La Pira dov’è?).
73.
Pistelli insiste. “Com’è possibile che la destra economica prepari un attentato a La Pira di così vaste proporzioni, che nella questione delle Cascine pone l’appostamento per la manovra di domani, se non avesse motivi per intuire che non tutti i cattolici saranno disposti a fare quadrato attorno al sindaco di Firenze; se non avesse intravisto nella stessa Dc qualcosa e qualcuno cui la pressione esercitata dall’esterno servirebbe in definitiva come alibi?”.
E ancora: “Troppi uomini – di tutto rilievo come di secondo piano nell’ambiente cattolico – si rivelano succubi culturali del mondo che ispira La Nazione; non possono essere in grado di comprendere la problematica che in La Pira trova la sua incarnazione, e ne fa il germe di un’ideologia”. Poi: “Uomini incapaci di trovare alla loro solidarietà per La Pira, impastata di riserve mentali, fondamento più alto di quello fornito da una certa amicizia personale; e ognuno sa come i vincoli di natura privata cedano il passo – afflitti e spiacenti – al sopraggiungere di più corposi motivi”.
(Sì, ma La Pira dov’è?).
74.
Bilenchi mi chiama. “Come stai?”, mi chiede serio.
“Abbastanza bene. Sembra che la febbre abbia deciso d’abbandonarmi”.
“Sono contento”, dice. Ma il suo viso è di persona tutt’altro che contenta.
“Sputa il rospo”, dico.
“Senti… Chiara è all’ospedale”.
“All’ospedale? Che le è successo?”. Sono in subbuglio.
“L’hanno picchiata”.
“Chi? Dove?” Urlo quasi.
“In casa. Tre individui”.
“In casa? A che ora?”
“Verso le dieci”.
“Alle dieci? Ma ero uscito da poco”.
“Difatti. Lei ha aperto pensando che fossi te, che avessi lasciato qualcosa ed eri tornato indietro. Invece s’è trovata davanti quei tre che gliene hanno date di santa ragione. Uno voleva addirittura violentarla. Lei ha cominciato a urlare. S’è aperta qualche porta. I tre sono scappati”.
“Diomio. Dov’è ricoverata?”
“Al San Giovanni di Dio”.
“E’ così grave?”
“Non ci sono andati di scartina”.
“Glielo avevo detto di cambiare casa. Che c’era il pericolo che tornassero”.
“Mentre la picchiavano urlavano che lei e te dovete smettere di fantasticare”.
“Vado. – dico – Ci vediamo più tardi”.
I colleghi mi guardano passare, in silenzio. Il redattore capo mi fa un cenno di saluto.
Il gioco s’è fatto pesante. Troppo.
75.
Mi consentono di vederla da lontano.
“E’ in coma vigile. Ha, senz’altro, la spalla destra lussata. Forse ha alcune costole incrinate e una caviglia, la destra, ridotta male. Non è esclusa che l’abbia incrinata. Accerteremo tutto in seguito. Ora dobbiamo pensare alla commozione cerebrale”.
“E’ in pericolo di vita?”
“Scioglieremo la prognosi tra un paio di giorni. Comunque, quando è arrivata qui era in sé e ha avuto modo di raccontare quel che le è successo”.
Devo avvertire i suoi genitori.
76.
La Pira riappare così com’è scomparso. All’improvviso. Mi fa chiamare. Posso andare da lui subito? Certo che posso.
Lo trovo stanco, invecchiato.
Dice: “Ho saputo della sua fidanzata. Mi dispiace immensamente. Stiamo vivendo momenti particolari. C’è chi, non avendo idee da contrapporre, crede di poter aver ragione dell’avversario con la violenza. Si rischia di tornare al passato. E io ne so qualcosa”.
“La ringrazio per il suo interessamento. Spero che Chiara si rimetta presto e bene”.
“Lo spero anch’io. Sinceramente”.
Va a sedersi dietro alla scrivania.
“Ma lei dov’è stato tutti questi giorni?”
Scuote la testa. “Ci sono necessità, talvolta, che uno neanche s’immagina lontanamente”.
Non aggiunge altro.
“Niente di grave, spero?”
Non risponde. Cambia discorso. “Lei non era a Ginevra. Il discorso che ho fatto lì ha avuto una bella eco. Tant’è che ho convocato a Firenze il convegno dei sindaci delle capitali del mondo”.
“Addirittura”.
“Sì. Voglio che, per la prima volta, i sindaci dell’Occidente e dell’Oriente s’incontrino. Si parlino. E firmino un patto di pace”.
“Lo ritiene possibile?”
“Lo ritengo necessario. E Firenze è il luogo ideale per farlo”.
Ci riesce. Non tutti la prendono bene.
La destra spara a zero. La sinistra deve accettarlo. Ma c’è chi dice: è già in campagna elettorale.
Per i giornali conservatori, ha il sapore dello scandalo la partecipazione del sindaco di Mosca alla messa celebrata in Santa Croce dal cardinale Elia Dalla Chiesa.
77.
Chiara si riprende a poco a poco. Sua madre e sua sorella non la lasciano un minuto.
Vado a trovarla spesso. Sto con lei quanto posso.
“Raccontami tutto quel che succede”, dice.
“Sono iniziate le grandi manovre per le amministrative”.
“Il bersaglio è La Pira, non c’è dubbio”.
“Certo”
“Poi hai saputo più nulla sulla sua assenza ingiustificata?”
“Come se non fosse avvenuta. Però qualcosa è successo. Ne sono convinto. E, per non parlarne, vuole dire che non deve essere stata una gita di piacere”.
“Le nostre indagini sulle vicende degli ultimi tempi, a partire dalla fine della Volpe, hanno dato noia a qualcuno. E con l’aggressione a me hanno voluto farci capire che non scherzano”.
“Sì, è così”.
“E il tuo telefonista anonimo s’è fatto più sentire?
“No. E anche questo è un altro mistero”.
78.
Nicola Pistelli fa un bel giornale – Politica – che non le manda a dire dietro. Apprezzo il linguaggio pulito, diretto. Com’è Pistelli. Prendere o lasciare.
Pistelli sta bene con La Pira, anche se il primo è laico quanto il secondo religioso.
Ma li accomunano le idee portanti.
Pistelli combatte una bella battaglia per demolire le ipocrisie.
La Pira accetta d’essere intervistato.
“Ho dalla mia Pistelli e dormo tra due guanciali”.
“Le sue intenzioni di ritirarsi?”
“Sono accantonate. Ho iniziato un cammino che non posso interrompere. Se non altro per Firenze”.
“Che c’è di buono in questo cammino?”
“Quel che è sotto gli occhi di tutti. La ricostruzione dei ponti alle Grazie e Santa Trinita, il nuovo ponte Vespucci, la centrale del latte, il nuovo teatro comunale, il mercato ortofrutticolo di Novoli, l’ammodernamento dei servizi tranviari, della nettezza urbana e dell’acquedotto. Le sembra poco? Comunque, c’è ancora da fare. Firenze merita un posto importante nel mondo e deve avere anche un bell’abito”.
“Dica la verità: ha temuto d’essere messo da parte?”
“Ripeto: sono tranquillo fino a quando ho dalla mia Pistelli. Mi ha difeso ovunque. L’ha letto l’opuscolo sulla Pignone?”
“Certo”.
“Parole chiare. Verità inconfutabili. Nuovo Pignone e l’Isolotto, la città satellite, fanno parte dell’altro aspetto della mia amministrazione. La risposta concreta, positiva, alle attese della povera gente, dei lavoratori, dei disoccupati, dei senza tetto”.
79.
All’intervista con La Pira seguono le interviste con i i candidati socialcomunisti. Ma l’incarico viene dato a un altro collega. Mi dispiace.
“Quello cattolico – dice Bilenchi ridendo – è sempre più il tuo mondo”.
“Non m’offendo”, rispondo.
Chiara è l’incaricata delle interviste ai socialcomunisti. Bilenchi l’ha tolta dalla cronaca nera. Non è al meglio. Ha bisogno di tempo.
Dicono, polizia e carabinieri, che indagano sull’aggressione. Che hanno sospetti.
Chiara sorride ogni volta che ne sente parlare.
80.
Clima elettorale acceso. I socialcomunisti vogliono riconquistare il Comune
Cellule e sezioni sono costantemente impegnate in un’azione capillare. Casa per casa, fabbrica per fabbrica.
I democristiani non sono da meno. Hanno come punti di riferimento le parrocchie. Lo slogan è il solito: arginare l’avanzata del comunismo.
I partiti laici – liberali, repubblicani e, in qualche misura, i socialdemocratici, che appaiono i più deboli – adoperano i giornali, la stampa cosiddetta indipendente. La Nazione è padrona, in questo senso.
La Pira sembra andare per conto suo. Con i suoi interventi, che hanno poco o nulla di politico. La gente lo sta ad ascoltare. Affolla i comizi.
81.
E’ una bella primavera. Ci voleva. L’inverno è stato freddo, pieno di neve. In me c’è voglia di sole. Anche in Chiara. Quando possiamo, camminiamo in Boboli e alle Cascine.
E’ il 20 maggio quando Nicola Pistelli se ne esce fuori che suonano monito per tutti. Ci fo un articolo dettagliato, che Bilenchi apprezza. Bilenchi tira fuori una risposta che mi sembra corretta. “Sentiamo che ne pensano alleati e avversari”. Mobilita Cinzia. Che – lo vede – vive un disagio. Ne sa, di politica, fino a un certo punto. Il suo campo è la nera. Ci si sente a suo agio.
Non ha preso bene la decisione di dirottarla altrove. “E’ come aver detto a quegli energumeni e a chi li ha mandati: avete vinto”.
“Non credo. Credo piuttosto che la decisione di Bilenchi sia temporanea. Dettata dalle tue condizioni”. Ho cercato di tranquillizzarla, ma non credo d’esserci riuscito.
Pistelli ha scritto che in politica, stando ai soliti, è buona regola prendere impegni generici per non correre il rischio d’essere obbligati a rispettarli. E’ un gioco – elastico e polivalente – che rifiuta. Non si deve intendere La Pira come il candidato a sindaco preferito in prima battuta, disposti poi a ripiegare su un secondo candidato. Obiettivo: non far cadere il Comune in mano ai socialcomunisti. No. “Giorgio La Pira – ha sottolineato – è il solo sindaco che la Dc sia pronta a votare, ogni altra soluzione sposterebbe i consiglieri cattolici sui banchi dell’opposizione. Sia scritto a chiare lettere, alla vigilia di questa consultazione amministrativa: se i nostri eletti in Palazzo Vecchio sanno che non è previsto nessun sindaco di riserva tra i consiglieri democristiani, a tanta maggior ragione gli altri partiti non possono attendersi il voto dei cattolici a nessuno dei loro possibili candidati. Questo, perché tutti prendano la loro responsabilità e nessuno possa dire domani che non sapeva cosa avrebbe fatto la Dc”.
Non sono di uno qualsiasi, queste parole. Ma del vice segretario della Dc fiorentina. La figura più autorevole, in questo momento. E arriva a una settimana dal voto.
82.
27 e 28 maggio. Si vota. Con il solito contorno di episodi curiosi, sguardi in cagnesco tra i rappresentanti dei partiti nei seggi, un po’ di malori, uno o due vecchi che ci rimangono, in cabina.
Bilenchi manda Cinzia in Prefettura, a seguire i risultati di tutti i Comuni, e me in Palazzo Vecchio.
Abbiamo fatto le previsioni. Io sono con i meno, quelli che sostengono la conferma della Dc, che poi equivale alla conferma di La Pira. Non un risultato clamoroso, ma quel tanto che basta.
Invece il risultato è clamoroso. La Dc di La Pira passa dal 36,24 del 1951 al 39,29 per cento. Il Pci perde qualcosa come dodicimila seicento voti. Nel 1951, La Pira aveva avuto poco più di diciannovemila preferenze. Questa volta ne ha prese quasi trentaquattromila. Tuttavia, essendoci ora una legge elettorale, rigidamente proporzionale, c’è di che tribolare per arrivare a una maggioranza stabile.
Incontro La Pira. Non sembra preoccupato. Non nega il successo personale, quel successo che ha permesso alla Dc d’andare avanti. Ricorda, poi, quel che ha affermato Pistelli: il sindaco è La Pira. Se non è lui, la Dc va all’opposizione. Ma non è possibile che il primo partito della città vada all’opposizione. La Pira, però, vuole parlarmi del suo viaggio a Venezia, avvenuto qualche giorno fa, in piena campagna elettorale.
Ha lasciato i veleni di Firenze per incontrarsi con il patriarca cardinale Roncalli. ”Senza dire niente a nessuno mi ha fatto dormire nel letto di Pio X. Il cardinale ha mostrato nei miei confronti una simpatia che non mi aspettavo. E’ una persona dolce, alla mano. Lo stimo”.
83.
Giorni difficili. La maggioranza non viene fuori.
Bilenchi mi dice: “Prenditi qualche giorno di ferie”.
“Ora?”
“Sì, ora non succede niente”.
“Certo, la Dc ha ottenuto un bel successo, ma non riesce a domare gli alleati”.
“Gli alleati vogliono farle pagare il successo. Vogliono farle capire che da sola non muove neanche una foglia”.
“Va bene, - dico – vado in ferie”.
“Le do anche a Chiara, ovviamente. Ne ha bisogno. Non mi sembra che si sia ripresa bene”.
E’ vero. Spesso è pallida, assente. Eppure fa controlli continui e i medici dicono che tutto va per il meglio.
Chiara è contenta di staccare. “Andiamo all’Abetone, - dice – E’ da tempo che ne ho voglia”.
Andiamo all’Abetone. Ci facciamo avvolgere dalla solitudine e dal silenzio. Le parole della politica sono lontane anni luce. Riassaporo il gusto di leggere un libro, un romanzo, che mi trasporta nella fantasia.
“Dopo un periodo duro, penso proprio che ce lo meritiamo, l’Abetone”.
Camminiamo parlando del più e del meno. L’aria apre i polmoni. La sera arriva anche qualche brivido.
“Sono al settimo cielo”, dice Chiara, una mattina, mentre scendiamo dalla nostra camera alla sala dove l’albergo serve la colazione.
“Motivo?”
“Perché faccio un lavoro che mi piace, che ho sognato di fare da bambina, e perché ho te. Lo sono che non ti piacciono smancerie da romanzo. Ma questa è la verità. E te la dico papale papale”.
“Grazie. Qualche volta mi chiedo se ti merito”.
“Esagerato”. Ride.
Io, no. Dubito spesso. La domanda m’avvampa. Ne sono innamorato o sono innamorato del sapermi amato?
84.
Cosa succede in Palazzo Vecchio?
La Pira non ce la fa?
La Pira non sembra preoccupato.
L’estate è meno calda del solito. Questo 1956 vuol proprio passare alla storia come tra i più rigidi del secolo. Sul piano politico, invece, la temperatura s’alza di giorno in giorno.
Possibile che La Pira sia costretto a rinunciare, addirittura a finire all’opposizione, dopo il successo ottenuto?
Stanno puntando i piedi i liberali, che già hanno preso le distanze da La Pira, a cominciare dal 1954, per quella storia della festa dell’Unità alle Cascine. I liberali si sono messi con i fascisti per dare addosso a La Pira.
I socialdemocratici sostengono che stanno in Giunta se la Dc apre le porte ad almeno un paio di assessori socialisti. Allora la destra, unita, dice che i suoi cinque voti sono a disposizione pur d’impedire l’ingresso dei socialisti in Giunta.
La Dc non può far più conto sul Pri. E’ sparito dal consiglio. I socialdemocratici insistono. Si parla di Piero Calamandrei sindaco. I socialisti hanno sei consiglieri. Quattro ne ha Unità Popolare.
Noi, noi del Nuovo Corriere, diciamo che lo spettacolo è tutt’altro che edificante. Diamo fiato ai comunisti: vogliono entrare in gioco con i loro diciassette consiglieri. La Dc ne ha venticinque. E cinque la destra.
31 luglio. Riunione del consiglio comunale.
Che succede?
Succede che un franco tiratore manda tutto a carte quarantotto. Uno ha votato il socialista Piero Calamandrei. E Nicola Pistelli s’inalbera: “Ha preferito il gioco precongressuale alla causa di Giorgio La Pira. Il voto a Calamandrei sembra inteso a gettare il sospetto su quella che i socialisti hanno chiamato la sinistra cattolica”.
“A questo punto che può succedere?”
“La Dc, stretta tra difficoltà non di poco conto, ha fatto quanto poteva oper assicurare un sindaco a Firenze e La Pira al posto di sindaco”.
Mi rivolgo a La Pira. “Professore, che succede?”
“Succede, amico caro, che non posso – per disciplina di partito – scendere a patti con il Psi”.
“Allora?”
“Allora non so che dirle. Non rimane che attendere con serenità”.
3 agosto. Novo consiglio comunale. Si sussurra che sia quello decisivo.
Chiara è venuta con me. C’è pieno di giornalisti e di gente. Non tutti riescono a capire. Anche Chiara stenta a capire.
Alla terza votazione La Pira è eletto sindaco. C’è l’applauso, ma è moscio.
Con quale maggioranza è sindaco?
Ho l’impressione che a Pira sia finito su una barca alla deriva. Non è granché soddisfatto. Non digerisce il no della Dc ai socialisti. Non pensa, la Dc, che siano in grado di smarcarsi dal Pci. Lui la pensa in maniera diversa. Anche Pistelli. Pistelli, della sinistra di Base, dice che è necessario un chiarimento generale, che liberi la Dc dalle secche del centrismo, squilibrato a destra. I fiorentini chiedono il centrosinistra. Gli italiani chiedono il centrosinistra. E’ attuale l’unificazione socialista. Dice Pistelli. Ma Roma è sorda.
85.
Cinzia ha un malore al giornale. L’accompagno all’ospedale. Un pomeriggio intero di esami e controesami. Niente. Stanchezza.
“Vedi, Claudio, te e io non riusciamo a prendere le cose sottogamba. Le viviamo intensamente e questo ci frega”.
Non sono tranquillo. Lei intuisce. “Non pensare al peggio. Hanno fatto tutto quel che dovevano fare, i medici. Non è emerso niente. Come a te, con la tua febbriciattola, che ogni tanto arriva a farti compagnia. Dobbiamo darci una calmata”.
Convinco Bilenchi a darle qualche giorno di riposo e convinco Cinzia ad andare dai suoi a Siena.
86.
“Si naviga a vista, caro amico. - dice La Pira – Ma non so quanto possa durare. Io ce la metto tutta. Non voglio si dica che è colpa mia”.
87.
Gli occhi di tutti, al giornale e non solo, sono fissi sull’Ungheria. Nagy è il padre di un nuovo corso, che non si sa bene dove porti. L’ha iniziato dopo la morte di Stalin, quando ha preso il via la destalinizzazione (che termine terribile) dell’Unione Sovietica.
Il rapporto Kruscev ha scombussolato tutti. A me non è che sia andata giù l’intervista rilasciata da Palmiro Togliatti a Nuovi Argomenti. Ha detto che la critica al culto della personalità non può buttare a mare tutto il buono che è stato fatto in passato. Come ignorare i grandi processi? Come ignorare che Togliatti, in quel periodo, viveva a Mosca? Ha parlato di forme di degenerazione della società sovietica.
88.
Dio che carneficina a Mancinelle, in Belgio. Quanti minatori morti. Nessuna norma di sicurezza. Situazione accettata. Per non morire di fame.
E’ l’ennesimo cammino della speranza cosparso di sangue. E quanto.
89.
Bilenchi mi sveglia di prima mattina. “E’ morto Piero Calamandrei. All’improvviso. In casa sua, a Firenze”.
“Accidenti”, dico. In venti minuti sono al giornale.
Bilenchi gli vuole dedicare grande spazio. Una pagina intera.
Cerco riferimenti. Ne trovo a iosa. Deputato alla Costituente per il Partito d’Azione. Poi nel Psdi. Nel 1953, con Parri, fonda l’Unità Popolare, decisiva per la sconfitta della legge truffa. Pubblicista. Gran parte degli articoli pubblicati sul Ponte, la rivista da lui fondata. E’ lui a non stancarsi mai di denunciare l’ostruzionismo, da parte soprattutto della Dc, nell’applicazione della Costituzione.
Ho in mente alcuni suoi scritti, che trovo nella raccolta pubblicata l’anno scorso per commemorare la Resistenza. E li cito, nel pezzo. “”Firenze, la battaglia in città”, “Il Ponte a Santa Trinita, dieci anni dopo”, “I Rosselli, Non Mollare” e le epigrafi.
C’è quell’inizio della battaglia in città, che ho letto e riletto più volte. Fa capire tutto in poche righe. “Forse l’Italia del Nord non ha saputo interamente che cosa avvenne a Firenze un anno fa: una battaglia. Per essere esatti, di battaglie a Firenze, ve ne furono due, una dentro l’altra; una strategica, per Firenze, che fu combattuta a distanza, tra le artiglierie aleate schierate a semicerchio sui colli a sud dell’Arno contro quelle tedesche schierate sul semicerchio contrapposto delle colline di Fiesole; l’altra tattica, dentro Firenze, che fu combattuta ad armi corte per le vie e per le piazze della città, tra i nazifascismi e il popolo insorto”.
Le epigrafi. Aquella di Cuneo, del 1952. “Lo avrai/ camerata Kesselring/ il monumento che pretendi da noi italiani/ ma con che pietra si costruirà/ a deciderlo tocca a noi…”.
E l’altra, del 1953, pubblicata sul Ponte, dopo le elezioni politiche del giugno 1953. “Non rammaricatevi/ dai vostri cimiteri di montagna/ se giù al piano/ nell’aula ove fu giurata la Costituzione/ murata col vostro sangue/ sono tornati/ da remote caligini/ i fantasmi della vergogna…”.
Firenze è in lutto.
La Pira ha parole toccanti.
Riccardo Cardellicchio
Fine ottava parte