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PierVincenzo Uleri. Abolire le Province? Come e perché?
Ugo La Malfa (1903 - 1979)
Ugo La Malfa (1903 - 1979) 
08 Gennaio 2009
 

«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato»

(Costituzione della Repubblica, art. 114, comma 1°)

 

 

Due interventi pubblicati su Notizie Radicali attorno alla metà di dicembre hanno riproposto il tema dell’abolizione delle Province: giovedì 11 dicembre è intervenuto Giorgio Ragazzini, poi Michele Bortoluzzi il 15 dicembre. Non escludo vi siano stati altri interventi.

Da alcune settimane, forse da mesi, il quotidiano Libero conduce una campagna giornalistica per abolire le Province. Non so dire con che tipo di argomentazioni. In passato per l’abolizione delle Province sono stati pubblicati articoli su Il Sole 24 Ore. La questione non è nuova e la proposta di abolizione non è certo originale: è per questo una proposta invecchiata, inutile o, perfino, deprecabile in quanto manifestazione di qualunquismo e antipolitica? Non lo credo.

 

Un fatto è certo: il Direttivo dell’Unione delle Province Italiane (UPI) è alquanto preoccupato ed ha convocato per il 30 gennaio 2009 una giornata di mobilitazione nazionale in difesa del ruolo delle Province. Nel comunicato di convocazione i dirigenti dell’UPI scrivono: «Pensare di abolire le Province - sostiene il Consiglio Direttivo dell'Upi - sarebbe dannoso e antieconomico. Piuttosto bisogna proseguire con la riorganizzazione dello Stato, la definizione delle funzioni di ciascuna istituzione, l'eliminazione degli enti strumentali e la semplificazione del sistema».

 

In questo intervento mi occupo soprattutto del perché abolire le Province.

Com’è noto, alla questione delle Province hanno dedicato un capitolo del loro libro Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.1 Rizzo e Stella ricordano che l’ipotesi dell’abolizione delle Province era stata discussa e proposta nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente e riproposta dal leader del Partito Repubblicano Ugo La Malfa nel momento in cui entravano in vigore le Regioni a Statuto di autonomia ordinaria (1968-70). In effetti l’ipotesi di abolire le Province è stato spesso il pendant dell’idea regionalista. Rizzo e Stella citano il Prof. Augusto Barbera che ricorda come l’idea fosse già presente nel progetto di Stato regionale formulato da Marco Minghetti dopo l’Unità d’Italia.2

 

Fatto sta che, attuate le Regioni le Province non sono state abolite. Accade invece che il loro numero sia in costante aumento nel corso degli ultimi decenni: al momento sono 107. I senatori Sergio Salvi e Massimo Villone, ne Il Costo della Democrazia (2005), scrivevano che sette Province erano state istituite tra il 2003 e il 2004 (di cui ben quattro in Sardegna) e che era prevista l’istituzione di 28 nuove Province. Salvi e Villone scrivono che l’ipotesi di abolizione delle Province era stata seriamente discussa nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall’On. Massimo D’Alema. I due senatori suggerivano che i costi per l’istituzione di nuove Province fossero coperti da un’apposita tassa a carico dei cittadini residenti nei comuni interessati all’istituzione delle nuove Province.

 

Le campagne giornalistiche per l’abolizione delle Province sono solo il frutto di un vento di qualunquismo e antipolitica? È possibile che almeno in parte una vena di qualunquismo e antipolitica serpeggi tra le fila di quanti vorrebbero per l’abolizione delle Province. Questo è forse inevitabile considerato una certa sordità prevalente tra i governanti rispetto alle esigenze di «buon governo» che sono in primo luogo esigenze di sobrietà, di buona amministrazione della res publica, di riduzione degli sprechi di denaro e risorse pubbliche.

Tuttavia le ragioni più vere e profonde potrebbero essere ricercate in quella che è stata definita la mancata razionalizzazione territoriale del sistema politico-amministrativo italiano. Secondo Ettore Rotelli la «razionalità territoriale» è da intendersi come «riduzione generalizzata del numero delle istituzioni locali sulla base di determinati criteri e nella formazione di entità più ampie sotto il profilo territoriale e demografico».3 A differenza di quanto accaduto negli ultimi decenni del XX secolo in alcune democrazie europee, in Italia non vi è stata alcuna razionalizzazione territoriale.4

Agli inizi del XXI secolo, un contesto di crescente competizione globale, dovrebbe disporre secondo Rotelli di unità politico-amministrative del governo locale dotate di «consistenza demografica, territoriale, funzionale, finanziaria» adeguate per partecipare al gioco del ‘federalismo competitivo’.4

Basti in proposito un esempio semplice ed elementare. In Lombardia, la seconda Provincia dopo Milano (che conta circa 3 milioni e 700 mila abitanti su una superficie di quasi 2.000 kmq. e 188 Comuni), è quella di Brescia: ha circa un milione e 100 mila abitanti, su una superficie di quasi 4.800 kmq. e 206 Comuni. La Provincia lombarda più piccola è quella di Sondrio: conta circa 177.000 mila abitanti su una superficie di 3.200 kmq. e 78 Comuni. La Provincia sarda più piccola è quella dell’Ogliastra: ha poco più di 58.000 abitanti, su una superficie di oltre 1.800 kmq. e 23 Comuni. Il testo unico sulle autonomie locali (l. n. 267 del 2000) indica in 200.000 abitanti la soglia demografica minima per la istituzione di nuove Province: 18 Province tra le 107 già istituite sono al di sotto di quella soglia.

 

La razionalizzazione territoriale non riguarda solo le Province ma anche le Regioni e i Comuni. Ad esempio, se e come occorra ridurre il numero dei Comuni e quale dovrebbe essere la loro dimensione ottimale è questione antica ma sempre attuale, almeno a partire dal dibattito in vista dell’approvazione della legge del 1865 sull’ordinamento dei Comuni e delle Province e dalle posizioni espresse in merito da Carlo Cattaneo.

Le Regioni non sembrano godere di buona salute se un costituzionalista, riflettendo su quell’esperienza, si è chiesto: «Chi ha ucciso le Regioni?»5 e se un altro autorevole studioso delle istituzioni regionali ha parlato non più di una ventina di giorni fa di «regionalismo sgangherato».

Che dire poi delle Città metropolitane di cui anche all’art. 114 della Costituzione. Di Aree Metropolitane si parlava nella importante legge n. 142 del 1990, poi nella legge del 1999 e nel testo unico del 2000, poi … poi … infine nello schema del disegno per la delega al Governo della nuova disciplina delle Città metropolitane (25 novembre 2008).

 

Questi semplici riferimenti per dire quale sia il problema evocato dall’ipotesi di abolizione delle Province: un’ipotesi che non può essere semplificato con argomenti, pur condivisibili, del tipo “lotta alla Casta” e riduzione dei “costi della democrazia” (semmai si dovrebbe parlare di costi delle oligarchie).

L’abolizione delle Province quindi dovrebbe essere parte di un progetto necessariamente più articolato e complesso di disegno delle istituzioni di governo regionale e comunale.

 

L’intervento certamente inadeguato a illustrare la complessità del problema è comunque già troppo lungo e quindi termino qui. Solo due parole sul “come fare”. Non mi sembra che vi siano partiti o movimenti motivati e attrezzati alla bisogna. Michele Bortoluzzi, in maniera esplicita, Giorgio Ragazzini, in maniera indiretta, rivolgono la proposta a Radicali Italiani. La mia convinzione è che si tratta di una estranea al “discorso politico” dei Radicali. Peraltro non mi sembra verosimile l’emergere di un autonomo movimento di cittadini espressione della c.d. “società civile”.

Giorgio Ragazzini, in vista delle prossime elezioni provinciali, propone la presentazione di Liste per l’abolizione delle Province. La proposta è certamente paradossale nel senso migliore del termine anche se può apparire poco convincente rispetto alla realizzazione dell’obbiettivo. Occorrerebbe tuttavia accogliere la provocazione e discuterne.

Occorrerebbe cominciare con la costituzione di comitati cittadini per discutere e approfondire le ragioni per l’abolizione delle Province come passo iniziale per valutare il possibile consenso dell’opinione pubblica più sensibile e avvertita per una iniziativa politica non estemporanea e di non breve durata.6

 

PierVincenzo Uleri

(da Notizie radicali, 8 gennaio 2009)

 

 

1 S. Rizzo – G.A. Stella, La Casta, Milano, 2007, pp. 220-231 e, in Appendice, la tabella sul personale delle Province per Regione.

2 La prima legge dell’Italia unita in tema di amministrazione locale è del 1865; la prima legge generale della democrazia repubblicana è la l. 142 del 1990.

3 E. Rotelli, Il martello e l’incudine – Comuni e Province tra cittadini e apparati, Bologna, il Mulino, 1991, capitolo secondo «L’Europa: Razionalità Territoriale», pp. 33-50.

4 E. Rotelli, Amministrazione e Costituzione. Storiografie dello Stato, Bologna, Clueb, 2007.

5 R. Bin, Capire la Costituzione, 2008, p. 151.

6 Ringrazio Giorgio Ragazzini per la paziente lettura e per i pertinenti commenti ad una stesura provvisoria di questo intervento.


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