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Paolo Brondi: Promozione umana e ambiente educativo
07 Gennaio 2009
 

L’ambiente educativo può essere considerato come un sistema aperto, finalizzato al perseguimento d’obiettivi strategici, mediante risorse razionali, socioaffettive e destinato a porsi come sistema premiante e non fonte di disagio, d’alienazione, d’ansia, solo se fondato sull’interazione e sull’interdipendenza fra tali risorse. La disarmonia fra razionalità e affettività, mentre invalida il funzionamento del sistema educativo, anche provoca effetti di vulnerabilità psichica nei suoi destinatari, avvertibile per diversi segni di sofferenza: nella gestualità manuale, facciale; nel comportamento, nelle relazioni con gli altri; negli apprendimenti. Il sistema scuola è in grado di porsi in questa dimensione che è quella della coniugazione, dell’armonia fra istruzione e educazione? In realtà la Scuola vive per intero i limiti della coscienza culturale contemporanea che inaridiscono l’educazione classica riducendo l’istruzione a comunicazione tecnicamente efficace. La razionalità tecnico -scientifico- pratica occupa il posto del concetto d’educazione come autopotenziamento e autosviluppo della libertà e dell’interiorità.

 

La scuola, come ogni altro ambiente socio-culturale, si è riappropriata dell’ansia tutta illuministica, nell’affrontare situazioni e problemi: si è riappropriata del tempo illuministico che è interamente identificabile con il progresso (cfr. bisogna progredire, bisogna andare avanti; bisogna risultare sempre meglio). La scarsa modulazione dei programmi; la perdurante pratica della scadenza fissa d’interrogazioni e compiti in classe; i voti scolastici; le varie schedature…spingono in questo senso, e il tempo, come tale, è tempo patologico. La patologia è rappresentata dall’inversione del rapporto fra spazio d’esperienza e orizzonte d’attesa, nel senso che la prospettiva inghiotte in sé l’esperienza: il futuro perde il suo significato simbolico di tempo dell’immaginazione, della speranza, dell’attesa e diventa coazione e interdizione dell’esperienza. Se è così, e in molte scuole lo è, allora ai giovani di questa Scuola, si fa vivere un tempo esaurito, mortificato: non solo si espropriano del passato, ridotto a nozioni, ad immagini museificate, al già fatto, al già vissuto, ma anche della stessa dimensione del futuro, contratto in un presente ossessivo, paradossale, in quanto scorrimento senza nulla di sé e tutto infuturato per l’urgenza degli obiettivi da rispettare.

 

In questa prospettiva, mortificata e impoverita l’esperienza in una quotidianità monotona e astratta, che sorte hanno i bisogni degli adolescenti, dei giovani? Che vale far rientrare dalla finestra, mediante i vari Progetti extracurricolari, il “fai- da- te” delle diverse “autonomie”, l’educazione alla salute, l’educazione sessuale…. quello che continuamente si butta fuori della porta? E se i vari bisogni non sono adeguatamente incanalati e risolti, se rimangono inascoltati e frustrati, allora c’è il pericolo che l’adolescente rimanga sempre più a lungo “adolescente”, con il peso dei problemi esistenziali irrisolti, con un ruolo sociale negato, oscillante fra l’esaltazione del senso di sé (che induce comportamenti contestatari, scioperi, occupazioni..) e l’ostinazione, la disperazione, significative della insoddisfazione intima, d’incapacità di accettarsi con i propri limiti, di mancanza di autoefficacia.

 

L’appropriarsi il mondo, che è naturale tendenza dei giovani, resta dunque sotto forma di desiderio che trasporta l’Io, lo enfatizza, lo rende ipertrofico, destinandolo, spesso, ad un’esaltazione fissata, all’autismo, al silenzio: il giovane si ferma allora su un unico piolo della scala esistenziale, assolutizzando le proprie scelte, nel tentativo di recuperare l’esistenza smarrita, di rimediare all’incuranza dei grandi. Ecco allora, le chiamate di soccorso, ecco gli appelli. Chi è più forte, o è più fortunato, riesce, alla fine, a trovare risposta ai propri appelli e s’immette con progressiva sicurezza sui sentieri della storia. Chi si porta dietro un fardello di negatività e finisce per ritrovarsi chiuso nella propria dimensione autocentrica, rivolge appelli senza referente e, spesso, va oltre i sentieri della storia.

 

Paolo Brondi


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