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Fabiano Alborghetti trova Davide Nota 
Cercando l'oro 25
08 Gennaio 2009
 

Se Cercando l’oro della poesia prosegue, mese dopo mese, è per la straordinaria attenzione che i lettori (e Claudio Di Scalzo, padron di casa) ci dedicano. Da parte mia e degli autori presenti, passati e che verranno, grazie.

Questa nuova puntata sposta l’attenzione dalla Toscana di Marco Simonelli ad Ascoli Piceno, terra di Davide Nota.

Una nota a margine: Davide Nota è il co-fondatore della rivista LA GRU che – come ricorderete – è stata menzionata per un altro autore qui apparso, Stefano Sanchini.

Alla rivista (che ha vissuto censure e tribolazioni ma che finalmente è rinata) il nostro bentornato!

 

Come sempre e per come accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, messo a nudo senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia.

 

 

 

AUTOPRESENTAZIONE (in forma di collage epistolare) di Davide Nota

 

Cara *,

sono appena tornato a casa, dopo due settimane [...].

Ho studiato, fatto il bravo, alzato quasi sempre presto, ogni tanto uscito [...].

Ti ho pensata, grazie per avermi scritto.

La serata di poesia a * è saltata, in teoria a data da destinarsi, ma credo che sarà difficile riprendere in mano il progetto per la primavera. Peccato.

Ti mando delle poesie che usciranno sul prossimo numero di *. Quelle più importanti sono *, * e le ultime tre.

 

No, non mi sono innamorato. Non mi innamoro più.

Non sono mai stato molto bravo nella parte [...], sempre avuto delle strane ossessioni, una percezione della volgarità femminile molto forte [...].

Solo un enorme innocente amore potrebbe farmi vivere la sensualità come forma di bellezza e non come volgarissimo automatismo dell'orgasmo (che si spalanca veramente come un deserto, come un vuoto).

 

*

 

Ecco, questa maledetta *, [...] questo orribile essere materno, materialista, concreto, volgare...

Dovremmo sradicarci dagli organi per poter parlare con semplicità.

 

*

 

Quello della “ricerca di una ragazza” è un concetto abbastanza ripugnante. Che io sia personalmente disgustato dal mondo femminile (ma anche da quello maschile) è un'altra storia, legata al ripudio degli organi, della storia, della natura. Probabilmente questa rivolta a parole contro il determinismo mi condurrà (ogni eccesso dimostra il suo contrario) ad un francescano amore nei confronti del tutto (sacra è l'obbedienza, sacro è non essere nessuno): ma questi due antipodi già convivono in me, nel rifiuto e nell'amore del mondo, quindi non parliamone neppure, che tanto la consapevolezza è una cazzata.

 

*

Sono di un'ingenuità disarmante? Sì. Ma a me piace tutto. La stupidità è splendida

 

*

La mia ultima poesia si chiama *.

L'ho composta dopo aver saputo della morte di un mio giovane cugino, al ritorno dalla discoteca.

Non è triste, è semplicemente alienata.

 

*

 

Ora si tratta di riflettere bene. Per me, ma credo anche per tutti gli altri. Se ho sempre disprezzato la norma e il ruolo, se ho scelto sin dalla prima adolescenza la poesia e l'arte come forme di rivolta contro le istituzioni (la scuola e il processo di acculturazione a cui ero sottoposto, la superstizione della maturità e il processo di omologazione a cui siamo tutti, ora, indotti), come potrò adeguarmi al ruolo di poeta [...], invitato a convegni, a stringere mani [...]?

Ciò che pare una conquista sarà una condanna [...]. No, non dovrò permettermi di cadere nel pantano della felicità nazionale

 

*

 

Che bello salire le scale di casa di mia nonna, avrò avuto 4 anni. Correre nel retro cucina, trovare mia cugina che fruga tra i fritti del Natale [...].

Sarebbe un sogno riaverlo, questo familiare caos di risate e racconti di viaggi in America a trovare lo zio fuggito che mai si abbassò al compromesso di una vita normale ed italiana [...].

 

*

 

In culo alla morale, crescere una famiglia insana è un proposito commovente.

 

Proteggo anche il ricordo delle bandiere rosse, grandi e tante, che per me volevano dire semplicemente: fare del bene. Difendere gli indifesi e i deboli dai soprusi degli arroganti e dei prepotenti.

Questo mi ha insegnato mio padre, e questo io ora proteggo.

 

*

 

Mi ero perso nella vertigine del fiume.

Mi ricordo che il panorama sembrava completamente altro dalle nostre zone. Una valle desertica, traversata da questo ignoto fiume da cui sporgevano queste strane rocce affilate e delle abitazioni antiche (o semplicemente molto vecchie?) che immagino un tempo sorgessero ai lati del torrente, e che ora invece riposano, sepolte con tutti i loro segreti, nella costante piena.

Le strane percezioni della sera.

Si tornava a casa ed io fuggivo.

 

*

 

O forse sono tanti i modi di essere una persona qualunque e per bene, che poi non è altro che un modo per dire: conformati e riproduciti, mio baldo eroe della mediocrità nazionale.

Ma questo discorso è un cane che si morde la coda, occorre dargli una sculacciata e farlo tornare a cuccia.

 

*

 

E i fiumi? E il sole? E noi?

Non so se questo sentimento sia definibile, propriamente, nostalgia.

 

*

 

Intanto penso a me, alla poesia che non salverà il mondo ma che forse salverà me. Penso a volere bene ai miei amici e alle sorelle, penso a pensare alle persone a cui ho voluto bene e che ora non sono più qui.

Questa notte ho pianto, non per una persona ma per un cane.

Un abbraccio mia cara *.

 

*

 

Dignità. Bisogna esigere che il mondo la rispetti, la nostra dignità di esseri meravigliosi.

 

*

 

Non sono ateo. Da adolescente mi definivo un anarchico cristiano.

Avevo trovato un posto, risalendo con i miei amici il fiume [...]. Lì si era acqua, e sole, e aria. E Rimbaud. E Sant'Agostino.

Il dio azionista di cui invece parlo in * è il dio della storia, che sì, bestemmio.

Non è accettabile una vita data in pasto ad una religione nazionale. Meglio veramente morire eroicamente.

In fin dei conti l'amore cristiano è una pura bestemmia.

 

[collage di e-mail risalenti al 2006 / Davide Nota]

 

 

 

da I cadaveri, (antologia La coda della galassia, Fara, Rimini 2005)

 

 

La casa

 

Residenza: osceno letto

dove tornare alle sette di mattina

col fiato disgustato e il membro eretto.

Ecco qui: il libretto universitario, un vasetto

di yogurt, un accendino. Eh eh…

didascalici i miei anni tutti persi.

 

Quanto a noi t’ho scritto

una lunga e-mail questa notte

perduta tra i file dell’estate

(l’ha demolita il caso in un momento).

 

Capisci amico caro il pentimento

di averti consegnato questo scalcinato

orizzonte di stucco e scotch

coi poster scoperchiati in croste

sull’intonaco vecchio maculato

e le bagnate rughe delle pagine

che asciuga questa estate e ingialla…

 

Cmq sia non so più scrivere, hai ragione.

Sarò costretto a vivere o morire.

Amico mio il nostro amore è buffo.

Altro che lo stantuffo attonito, il perpetuo vagito

della moglie che s’ingravida di schifo.

 

O casa, dolce

casa, disarticolata

dimora di piante

e di foto di mio padre senza i baffi

in un paesino di duecento abitanti

coi santi Rocco e Gianni appiccicati

al muro, casa

di poster che si cascano in avanti

dal ruolo scollati dei miei 15 anni, casa

delle prime sigarette in balcone,

della prima comunione col sesso

e con l’alcool, casa

di lagrime e rovine: tempietto

d’asfalto, museo delle prime

poesie: addio.

 

 

Stella

 

Ora stammi a sentire un po’ che scrivo

senza gusto (ce l’avevo ma l’ho perso,

credimi): ho camminato per la strada giusta

senza vedere nulla capire nulla: le case

come antri squarciati l’estate

nel cielo deserto le braccia

bucate dei pazzi: per strada

non visto che case, palazzi e uffici postali.

 

Tu no, non eri nata per fare la fila

davanti a un negozio di videogames

(Playstation: solo amore che ti grida

dentro, che si insidia

con qualche frame pubblicitario): per te

fu sognata una vita più bella, o figlia

andata a male, scaduta stella.

 

 

E’ nato un fiore sopra il prato, vicino

al bidone bruciato delle plastiche:

è bianco e innominato, quindi coglilo

in fretta e a casa portalo, amore.

 

Non attendere il verde dei semafori, saetta

tra i cofani insabbiati, urla, getta

il grido sacro tra le borse che tintinnano

di chiavi e gravi spicci: vola fresca

primavera a custodire

i bianchi petali, questa mia carezza.

 

 

Nel canale otturato dalle scorie

s’incaglia l’esistenza che snatura:

assorbe tutto il vivere la storia.

 

Se passa ne distilla un succo amaro

che naufraghe le foglie incatramate

deposita vigliacco sulle grate.

 

Tu questo come puoi chiamarlo amore?

 

Mi resta indifendibile il segreto

di te che all’ombra di un depuratore

mi chiedi allora bello come va?

 

 

 

da Battesimo (LietoColle, Faloppio 2005)

 

          Preghiera

 

Uno un giorno si accorge che la vita

è la mancia pietosa che rimane

su una mensola deposta, una reliquia

che penzola scomposta da un altare

di ciaffi rugginosi, e allora s’alza

(in una stanza giallognola, solo)

e sollevando la serranda salta

trentunenne, contro il mondo, in volo…

 

E quindi lo vedi signore il tuo corpo

inchiodato a che cosa è servito, sei morto

tra le risa come muore ogni giorno

qualcuno – e non posa sul fango la rosa,

né perle concede la storia: che sarà

di questo mondo senza più pietà né volgo

non voglio neppure saperlo ma piango

per te o signore che hai morto

come adesso si muore un ragazzo

e che cosa hai risolto, nel mondo?

 

 

 

da Il non potere (Editrice Zona, 2007)

 

La doccia

 

No, la vita non è enorme, si incanala
come un torrente in rubinetti chiusi
e sgocciola, calcarea, di doccia in vano,
si raccoglie, tra gli abusi, sciolti
dei corpi i resti in acquitrini viola
che l'estate dai finestri asciuga.
Così resta, ad un sapone attiguo, un pelo
tuo ricciuto, nero; l'oggi
è quanto resta, scoria
che la fuga della storia elude: un perizoma
sgualcio ai piedi del cesso, un rubinetto
semiaperto, il pacchetto
dei preservativi che raccolgo e getto. Tu
t'accasci sulla tavolozza e pisci
parlando di Bologna e non capisci
che quello che davvero mi stupisce
dal tuo corpo defluisce in nuova fogna.

 

 

Lampi

 

Se pure ti avessi incontrata, vita
sarei rimasto immobile, incapace
a piangere come di fronte a un morto.

Sotto un fiotto di luce se ne stava
col suo camice bianco di angelo
o di dottoressa.
Balliamo dai 'sta sera
sono allegro come un bambino, ehi
mi riconosci?

Noi tutti sui divani a far l'amore
con noi stessi, a premere le mani
sui sessi solitari…

Salutiamoci così, senza lacrime né baci.
Basti una stretta di mano a dirsi addio,
una pacca sulle spalle, da padre antico...

*

Con ali di cemento armato tornerà
il domani a coglierci, di nuovo
impreparati a una seconda vita…

*

Non rispose.
Morimmo sotto braccio, in overdose
nel gabinetto di una discoteca marina.

I nostri corpi tra due fuochi, fuori
la tragedia mattutina, sopra di noi
il bianco neon della cabina...

Così ci salutammo, nello specchio
per ridere di noi nella rovina
come pazzi abbarbicati al secchio
dell'immondizia.

(Il cliente selezionato non è al momento…)

Si parlerà domani di eroina
o di problematiche legate al vuoto
del mondo giovanile.

Eppure muto riuscii a prenderti, selvaggia
maestà delle Puglie: ti chiamo
selvaggia maestà de li mari: li scogli
o l'oblio, il creato e nisciuna: che ridere
amore mio che ridere l'infinito che si scaglia
oltre il parcheggio abusivo…

 

 

 

Davide Nota è nato nel 1981 a Cassano d'Adda (MI) da padre lucano e madre marchigiana. Vive dalla prima infanzia ad Ascoli Piceno.

È co-fondatore della rivista La Gru www.lagru.org

Oltre ad un intensa attività di critico e promotore culturale, ha pubblicato i libri di poesia Battesimo (LietoColle, 2005) e Il non potere (Zona, 2007).

 

 

I testi e le immagini appaiono con autorizzazione dell’autore


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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