Il panevin, mitico falò usato nell’antichità come buon auspicio per l’anno nuovo, rievoca una delle più antiche tradizioni contadine del Friuli e del Veneto.
Quando ero piccola e vivevo ancora al mio paese, Sacile, appena era passato il capodanno si cominciavano a portare dalle case nel piazzale del Foro Boario, il luogo del mercato del bestiame, le cose vecchie da bruciare e le stoppie del granoturco dalle vicine campagne. Sarebbero servite per costruire la grande pira del panevin alta fino a 8-10 metri, con una base circolare di 4-5 metri di diametro composta da rami secchi, sterpaglie, legna e cose inutili destinate al fuoco nella notte dell’epifania.
A seconda delle zone, analoghi riti ancora oggi si chiamano panaìni, palavins (da pane e vino, il cibo povero che si consuma durante il falò), o anche pignarûi, oppure la vècia (vecchia) ritenuta la responsabile di tutti i malanni e le sfortune dell'anno appena passato: per questo le pire possono assumere la forma di un fantoccio o averlo alla sommità; invece nel basso Friuli prendono il nome di foghera o casèra. Solitamente si svolgono la sera del 5 o del 6, ma ne esistono moltissime versioni per tutto il mese di gennaio.
Le origini del panevin sono sicuramente antichissime: sembra che questa usanza risalga ai riti pre-cristiani. I Celti infatti accendevano dei fuochi per ingraziarsi le divinità e bruciavano un fantoccio che rappresentava il superamento del tempo passato.
Igne natura renovatur integra (la natura è rigenerata interamente dal fuoco), è il motto che conferma l’importanza del fuoco come elemento indispensabile per il rinnovamento della natura. In passato mentre il falò ardeva, i contadini in cerchio gridavano e cantavano varie formule augurali. Il rogo talvolta veniva benedetto dal parroco con l'acqua santa e lo scoppiettare del fuoco era identificato con il demonio infuriato che fuggiva.
Il panevin, nato come rito propiziatorio, fu poi influenzato dalla fede cristiana che l’ha interpretato come il mezzo per illuminare la via ai Re Magi che si erano smarriti. Originariamente il panevin celebrava col fuoco il solstizio d’inverno che, secondo il Calendario Giuliano, cadeva il 25 dicembre; tale evento coincise in seguito col giorno della nascita di Gesù e infine fu spostato di 12 giorni alla vigilia dell’epifania.
Dall’andamento del fumo e delle faville si traevano gli auspici per l’anno appena iniziato: se queste andavano verso sud o verso ovest perché spinte dal vento umido portatore di piogge, il raccolto sarebbe stato abbondante; invece se andavano verso nord o verso est, il raccolto sarebbe stato scarso.
Recita il proverbio friulano: se il fum al va a soreli a mont, cjape il sac e va pal mont; se il fum invezit al va de bande di soreli jevât, cjape il sac e va al marcjât (se il fumo va a occidente, prendi il sacco e va sul monte; se il fumo invece va a oriente, prendi il sacco e va al mercato).
Ancora oggi il rito del fuoco del panevin è un momento in cui le persone si raccolgono per stare allegramente in compagnia. Viene accompagnato dalla degustazione del vin brulè (ottenuto dal vino bollito con chiodi di garofano e cannella) e della pinza, la focaccia tipica. Molto spesso ci sono vivaci discussioni sull’interpretazione della mutevole direzione delle faville, causata dalle differenti correnti d’aria; ma questo fa parte della festa e gli scambi “accesi” favoriscono senz’altro le buone relazioni.
La ricetta della Pinza
Far bollire fino alla cottura una zucca tagliata a pezzi. Cuocere poi una polenta con farina gialla, utilizzando l'acqua di bollitura della zucca. Aggiungendo la polpa della zucca a piacere (non troppa). Lasciar raffreddare un po' la polenta e poi aggiungere lo zucchero (quanto basta), i fichi secchi tagliati a dadini, l'uvetta lavata in acqua calda, un bicchierino di grappa, e una bella manciata di semi di finocchio. Dopo aver mescolato per bene (aggiungere un po' di farina bianca se l'impasto è troppo molle), ponete l'impasto su una teglia di forma rettangolare precedentemente imburrata e spolverata col pan grattato. Lasciate poi in forno per circa 40 minuti fino alla cottura.
Alessandra Borsetti Venier