A poche settimane dalla scadenza per l'emanazione del decreto ministeriale in materia di conservazione autologa del cordone ombelicale (29 febbraio 2009) una notizia di cronaca pubblicata sulla rivista Newsweek riapre il dibattito sull'utilità di questa pratica.
Fino ad oggi il divieto di conservazione autologa in Italia si basava sul fatto che mentre la donazione era utile e che molti trapianti eterologhi (dove donatore e paziente sono diversi) sono stati realizzati con successo per curare malattie del sangue, come talassemia e leucemia, non era invece documentata l'utilità del trapianto autologo (dove donatore e paziente coincidono). Argomentazioni non convincenti: la donazione in Italia è un miraggio e l'alternativa al cestino dei rifiuti della sala parto resta la conservazione nelle biobanche private all'estero. Se ad oggi la ricerca scientifica internazionale ha validato solo alcune applicazioni cliniche delle staminali cordonali, in futuro queste cellule potrebbero avere molte altre applicazioni, e la medicina rigenerativa appare sempre il più grande investimento della scienza attuale. Infine il compito dello Stato dovrebbe essere di promozione e incoraggiamento della pratica della donazione, compito fino ad oggi disatteso, ma non di vietare una pratica che non solo non è dannosa, ma che può portare benefici per i propri familiari e, con la formula dell'autologo solidale, a tutta la società più in generale.
A sfatare l'inutilità della conservazione autologa arrivano sempre più fatti di cronaca. L'ultimo è quello di Dallas Hextell, un bimbo americano di 9 mesi che ha ricevuto una diagnosi di paralisi cerebrale, una lesione neuronale molto grave causata da deprivazione di ossigeno in utero o alla nascita. I genitori hanno consultato diversi neurologi, ma le prospettive di guarigione erano pressoché inesistenti. Circa 9 mesi dopo, quando si è presentata l'occasione di far entrare il bambino in uno studio clinico sperimentale della Duke University su trapianti di cellule staminali autologhe (cioè conservate per l'uso eventuale sullo stesso donatore), la coppia non si è fatta sfuggire l'opportunità. Infatti alla nascita di Dallas il sangue del suo cordone ombelicale era stato prelevato e conservato a pagamento in una banca privata. Una settimana dopo il trapianto, il bambino ha iniziato improvvisamente a parlare chiamando la mamma, e oggi che ha 2 anni cammina senza aiuto e ha un'attività impensabile per un bambino con paralisi cerebrale.
Una vicenda e un racconto che inviamo per conoscenza al ministero della Salute, e in particolare alla sottosegretaria Eugenia Roccella che alla fine di giugno scorso, seguendo l'invito che gli giungeva dalle colonne del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire, aveva rimandato l'emanazione del decreto per consentire la conservazione autologa come invece era previsto dalla legge 31/2008.
Al tempo, a fronte delle mie interrogazioni al Senato, il ministro Sacconi disse che erano «deludenti i risultati scientifici circa l'uso autologo» (seduta del Senato del 26 giugno 2008), e la sottosegretaria Roccella fu perfino più netta nel dichiarare che «allo stato attuale non sussistono evidenze scientifiche che riconoscano come valida opzione terapeutica la conservazione di dette cellule per un eventuale uso nel corso dell'intera vita del neonato» (seduta del Senato del 10 luglio 2008).
Confidiamo che la storia di Dallas, nonché il dovuto rispetto del Parlamento che esattamente un anno fa chiese di rimuovere un dannoso divieto e di consentire anche in Italia, come nel resto del mondo, la nascita di biobanche private per la conservazione di cellule, facciano emanare al più presto il decreto.
Donatella Poretti