(In Terra Santa / le Orme di Cristo rifuggono dalla terra insanguinata…) Vagano gl’insetti pellegrini tra fiori-viandanti (stranieri in patria loro), cercando porte-anima cui bussare, sorrisi da accendere/ cuori da riscaldare… L’albero in fiore trema di brividi spauriti, di fronte alla bellezza aggredita e spaventata… Mosè giganteggia sul monte Nebo e piange sulla sua Gerico terrorizzata…
La Striscia di Gaza è lo stage di un teatro più allargato, che chiede tregue pronte a divenire pace duratura.
Il villaggio Corozain rimpiange l’oblio al quale l’archeologia lo ha strappato (e invoca il ritorno dell’ultima predica del Nazareno…). La cappella bizantina, sul Monte degli Ulivi, si richiude sui mosaici nitidi e belli (come madre protettiva e timorosa…). I lezionari armeni avvolgono tesori-immagini-messaggi leggiadri e chiedono consiglio ai rotoli ebraici ancora caldi della costanza fedele e rispettosa che li ha ricopiati (e che ancora si avvicenda attorno ad essi con la riverenza dolce dell’amore). Le miniature degli evangeliari armeni esorcizzano le atmosfere di morte, chiamando a gran voce le presenze amiche della scuola di Mitilene (che più non rispondono dalla Cappadocia…). Un’ampolla-eulogia custodita nel Santo Sepolcro vorrebbe tornarsene nel VI secolo (per non riverberare i brividi di paura che intridono l’aria). L’ascensione di Cristo, nel mosaico bello, sulla volta della cappella del Calvario, nella basilica del Santo Sepolcro, congela l’impulso ascendente di quel volo a mezz’aria (in ascolto e… in attesa dei germogli di primavere-brusii-chiacchierii-fratellanza troppo tardivi). Un’aurea piccola croce palestinese urla, con luce riflessa, la nostalgia dei passi di chi le ha inciso nel cuore le parole “luce” e “vita” (che i formicai umani, impazziti, disattendono…); in un papiro incartapecorito e frammentato le parole lottano per ricomporre l’antica invocazione-preghiera (imprigionata nei frammenti dall’anima disidratata); da una moneta d’oro, coniata dagl’imperatori bizantini, il busto del Gesù Pantocrator lancia silenzi-saggezza (inascoltati). Le iniziali del nome di Cristo in greco (Pi e Ro) suonano melodie placanti, dalla terracotta di un vaso bizantino. L’armoniosa lingua ebraica esce dal rotolo del libro di Ester, dalle liturgie sinagogali, dalla festa di Purim e disegna nell’aria i misteri benefici delle… amicizie (che la guerra ignora…).
Una lucerna di terracotta palestinese si fa lampada sul moggio e trasmette, come impulsi ripetuti, le parole che porta incise da un tempo immemorabile: «La luce di Cristo illumina tutti» (le creature umane, ‘ottundate’ e sorde, non vedono e non sentono…). Il mosaico della sinagoga di Hammat di Tiberiade ammonisce ancora, con il richiamo-insegnamento dell’Arca-custodia del rotolo della Legge (gli uomini, istipuditi dalle ragioni contorte di un vivere stolto, non se ne curano). La cattedrale di Madaba innalza lodi all’arte, alla bellezza e alla pace (ma gli uomini non hanno orecchie che per il rombo malsano della morte). Il deserto di Giuda, alle porte di Gerusalemme, spalanca l’infinito e parla di eternità-immensità, ‘nanificando’ l’uomo… Perché egli non sente la caducità della sua umanità e non tende la mano al fratello smarrito nel vasto creato… (?)
Chi ha portato l’entropia della guerra (…)/ il rantolo della morte/ la barriera cieca dell’odio/ il buio senza luce/ la notte senza giorno/ la luna senza sole (…) nella distesa silente e bella che i calzari di Cristo hanno sfiorato…? Chi ha trasformato la terra in un tunnel senza cielo e l’animo umano in un deserto che ha dimenticato lo scroscio vivificante dell’acqua e il riso argentino dei bambini… (?) Troppi sono coloro che non accolgono il figlio di Dio viandante e rattristato. È tempo di aprire finestre-amicizia e di cancellare inimicizie vecchie e nuove… La Palestina apra il giorno su strette di mano sincere e Israele lo chiuda con abbracci fraterni e leali… (verrà mai quel giorno?). La terra di Israele, l’antico Canaan, chiede pace; pace chiedono (dall’antica Idumea) Ascalon, Azoto, Betlemme, Gaza; pace chiedono l’antica Giudea (con le sue Gerusalemme, Betania, Iamnia, ecc.)/ la Nabatea/ la Perea/ la Samaria/ la Decapoli/ la Auranitide/ la Galilea (con le evangeliche Cafarnao, Magdala, Tiberiade, Cana, Nazaret, ecc.)/ la Gualanitide (con Betsaida, ecc.)/ la Traconitide, la Batanea, la Fenicia. La richiesta di pace si dirama (a cerchi concentrici) dalla Striscia di Gaza (il punto in cui il ‘sasso’ della guerra continua a cadere/ il lago-palude che non sa smettere di incresparsi di onde micidiali…). Pace chiedono genti e luoghi antichi (sepolti come anime nobili nel cuore di quelli contemporanei): i villaggi-paradiso rubati al deserto (fusi con le divisioni amministrative di erodiana memoria), i contadini che arano tra gli ulivi (sulla montagna di Samaria), le colline della Shefela ai piedi della montagna palestinese (con la valle del Terebinto- cassaforte di paesaggi incantati e di natura coraggiosa-irriducibile e sorprendente), i contrasti tra la montagna (dell’alta Galilea e della Samaria) e i fertili campi della pianura di Esdrelon, la terra tra il Giordano e la steppa arabica. Pace chiedono i luoghi vicini e quelli lontani (fino al porto di San Giovanni D’Acri- di Cesarea- di Giaffa). Pace chiede anche l’area compresa tra il territorio palestinese e l’altopiano transgiordanico (e persino l’invaso del Mar Morto, dai suoi meno 400 m.); pace chiede, sulla sponda orientale del mare, nei paraggi di Zoara, il santuario (costruito dai monaci cristiani in onore di Lot -nipote di Abramo che lì trovò rifugio, quando un cataclisma diede origine al mare- secondo il racconto biblico); pace chiede il Giordano (con le sue sorgenti, a Banias, ai piedi del monte Hemon –dove sorgono ‘edicole’ erette da mani antiche alle ninfe- e con la sua foce spettacolare nel lago di Galilea, a sud della pianura della Buteiha).
Pace chiede il mondo per la Terra Santa. Pace sia, infine: si consenta ai luoghi di Gesù di farsi (solo) scrigno di storia e di Vangelo e di goodwill messages/dreams della cristianità, che in quei luoghi ha cercato-cerca-cercherà la polvere dei calzari di Cristo (sia tale polvere quella delle impronte dei divini calzari e non quella che Egli scrolli da essi con disdegno fuggendo dai luoghi divenuti definitivamente e irrimediabilmente inospitali per aver scelto di farsi casa del male).
Minuscolo identik-profilo del luogo
La Striscia di Gaza (in arabo: قطاع غزة, Qita' Ġazzah; in ebraico: רצועת עזה, Retzu'at 'Azza) è una minuscola regione costiera di 360 km² circa, con 1.400.000 abitanti arabo palestinesi. Confina con l’Egitto e con Israele. Non è ancora riconosciuta internazionalmente come stato sovrano ed è reclamata dai Palestinesi come parte dei loro territori. La battaglia di Gaza (2007) segnò l’inizio del governo dell'organizzazione palestinese Hamas sulla Striscia. Una barriera la divide da Israele (poiché l’uomo, purtroppo, è una creatura infida, che non ha ancora imparato a tendersi la mano senza tramare misfatti ai danni del vicino). Le città principali della Striscia di Gaza sono Gaza e Rafah. Questo luogo così piccolo è un metro di misura di quanto la storia umana sappia farsi ‘barometro’ delle pressioni-potere che regolano da sempre e per sempre la convivenza tra singoli e collettività. È una sorta di ‘registro’ degli avvicendamenti-influenze che hanno firmato la storia remota e prossima.
Nota storica
Gli Ottomani conquistarono Gaza (1517) e la governarono fino alla Prima Guerra Mondiale. Fu presa dagli Inglesi (terza Battaglia di Gaza -7 novembre 1917) e divenne parte del Mandato britannico della Palestina, sotto l'egida della Società delle Nazioni. Gli Ebrei furono in Gaza dal 1929. Il dominio britannico sulla Palestina finì con la guerra d'indipendenza israeliana (1948). Le Nazioni Unite (vedi termini del piano di partizione -1947) prevedevano che la zona di Gaza dovesse diventare parte di un nuovo Stato arabo, ma, in seguito allo scioglimento del mandato britannico della Palestina e alla Guerra civile in Palestina (1947-1948), Israele dichiarò la sua indipendenza (maggio 1948). L'esercito egiziano giunse da Sud e invase la zona (vedi guerra arabo-israeliana), fino all’armistizio del 1949. Quell’armistizio, definito ‘linea verde’, nulla ebbe di verde e fu, a mio avviso, un evento nefasto, poiché diede origine alla striscia di Gaza (la terra in cui il demonio ha stabilito la sua dimora e ha continuato a reclamare vite umane, seminando felicemente zizzanie dalle radici contorte e così profonde che vanno ad abbeverarsi a falde acquifere straniere avvelenate). L’Egitto occupò la Striscia di Gaza (dal 1949 al 1967, tranne per quattro mesi del 1956, durante i quali fu occupata da Israele, a causa della Crisi di Suez), ma non riuscì mai veramente ad annetterla; la controllò con un governatore militare e non offrì mai ai rifugiati la cittadinanza egiziana (lasciandoli orfani dell’appartenenza-paternità necessaria ai popoli della terra come manna vitale). La guerra dei sei giorni portò Israele a occupare di nuovo la Striscia di Gaza (giugno 1967) e a tenerla per 27 anni (fino al 1994), durante i quali fornì alla popolazione di Gaza anche amministrazione militare e manutenzione di impianti civili e dei servizi vari. Gli accordi di Oslo permisero a Israele il controllo delle acque territoriali, dell’accesso marittimo (off-shore), dell’anagrafe, dell’immigrazione, dell’import-export, del sistema fiscale e, dulcis in fundo, dello spazio aereo (praticamente di vita e morte della Striscia di Gaza). Gli eventi storici appena descritti sono l’anamnesi e la diagnosi del blocco di insediamento israeliano di Gush Katif (nell’angolo sud-ovest della Striscia di Gaza, nei paraggi di Rafah, al confine egiziano) e di tutti gl’insediamenti israeliani (21, su circa il 20% della totalità del territorio) nella Striscia. Gli accordi di Oslo diedero il via a un graduale passaggio di ‘consegne’ governative ai Palestinesi e alla consegna di buona parte del territorio della Striscia (ad eccezione dei blocchi militari e degl’insediamenti abitativi). L’abbandono di Gaza City (maggio 1994) da parte delle forze israeliane fu un evento epico (che segnò la nascita di una nuova Autorità: l’amministrazione palestinese).
La road map stile ‘gambero’
(che, per ogni passo avanti, ne fa due indietro)
Prima sede provinciale dell’Autorità palestinese fu Gaza (per scelta di Yasser Arafat). Il 1995 (ad appena un anno dagli accordi di Oslo) Israele accettò di firmare con l’OLP (L'Organizzazione per la liberazione della Palestina, fondata a Gerusalemme Est il 2 giugno 1964) un secondo accordo di pace (che estendeva l’amministrazione dell’Autorità palestinese alla maggior parte della Striscia di Gaza e Cisgiordania). Il periodo di Arafat, però, ad onore del vero, non fu affatto un’oasi di buona gestione e si prestò alla messa a dimora di molti semi-disagio (nella Pubblica Amministrazione della Striscia di Gaza e Cisgiordania). Il governo israeliano non arrestò i passi intrapresi sulla via del piano di disimpegno unilaterale israeliano: dispose (il 14 agosto 2005) l’evacuazione israeliana dalla Striscia e lo smantellamento delle colonie (casa per tanti Israeliani, che vi avevano profuso lavoro, creatività, sacrifici, amore e che lì lasciarono i ricordi cari e il cuore). Si può ben comprendere come e perché tale provvedimento-concessione non fu popolare tra gl’Israeliani, che dovettero accettarne il peso e le conseguenze a capo chino e con cuore pesante. Palestinesi e Israeliani (qualunque fosse la ragione che li ha portati insieme) hanno vissuto-respirato-lavorato gli uni nella sfera vitale degli altri (sono diventati fratelli); non se lo dovrebbero dimenticare mai. La storia parla da sé; gli uomini ne possono cambiare soltanto il corso futuro (se e quando sono capaci di sganciarsi dalla zavorra dei risentimenti, dei rancori e degl’intrighi-trame-interessi-armamenti). La buona volontà va riconosciuta e premiata, ove e quando c’è. Misconoscere e far fallire gli sforzi costruttivi (che andrebbero coadiuvati e aiutati a ‘quattro’ mani, se si potesse) non è un bene (è, anzi, un peccato senza rimedio). Israele diede inizio (il 14 agosto 2005) all’operazione “Mano tesa ai fratelli”, con cui chiese alle famiglie israeliane, che vivevano da decenni nella Striscia di Gaza e Cisgiordania, di ‘sgomberare’ le loro terre e le loro case (cioè di abbandonare tutti i loro averi e la loro vita, per sempre e senza la possibilità di rivedere mai più, fino alla morte, i luoghi in cui lasciavano i momenti più significativi della loro vita e i segreti della mente e del cuore- senza la possibilità di tramandare ai loro figli e ai figli dei loro figli le bellezze e gli averi, imponenti o insignificanti che fossero, ‘imbevuti’ dei loro pensieri). Ciò non è ‘poca cosa’, da qualunque prospettiva la si guardi, poiché la vita dei singoli non ha responsabilità nelle linee lontane (e neppure vicine) della ‘politica’ globalmente intesa (interna-esterna-‘casalinga’ o estera). I soldati israeliani, in quel fatidico 15 agosto, passarono casa per casa e ‘convinsero’ i loro stessi concittadini (con le buone o con le cattive) a ‘partire’ e a lasciare le ‘colonie (alias le loro ‘dimore’). Gli ordini governativi erano tassativi: tutti dovevano obbedire entro la mezzanotte, oltre la quale i ‘disobbedienti’ sarebbero stati considerati illegali e perseguiti. Le scene di dolore e di disperazione furono così toccanti che il governo concesse una proroga di due giorni, ma la ‘tolleranza’ aiutò l’esodo circondando i coloni recalcitranti con 40.000 soldati e poliziotti israeliani. Soltanto coloro che ‘obbedirono’ entro la mezzanotte del 16 agosto poterono usare i propri mezzi di locomozione ed ebbero diritto a un indennizzo stabilito dal governo; agli altri fu imposta l’evacuazione forzata. I militari ‘strapparono’ le persone dalle case letteralmente e ne ‘stivarono’ le masserizie in container tipo scatola senza troppi complimenti. In tutte le manifestazioni sociali ci sono sempre ‘giochi’ underground di varia natura e non mancarono, ovviamente, neppure in quell’occasione: militanti contrari all’evacuazione s’infiltrarono illegalmente in Gaza e fomentarono (specialmente in Nevé Dekalim) i fermenti oltranzisti, tra coloro che rifiutavano di abbandonare il territorio nel quale avevano dimorato sin dal 1967. Lo ‘sgombero’ famoso finì il 22 agosto. Le ultime famiglie ‘trasferite’ furono quelle di Netzarim e, di seguito, quelle di Hamesh e Sa-Nur (in Cisgiordania). I comandanti militari di Israele diedero un tono ufficiale all’operazione “Mano tesa ai fratelli” ammainando la loro bandiera. Tale evento accadde l’11 settembre (con una cerimonia semplice e senza fronzoli) tra i ‘resti’ della colonia di Nevé Dekalim (‘resti’ è una parola dalle implicazioni tristi e dolenti legate al mancato buonsenso di chi, impadronendosi di paradisi ai quali aveva a lungo aspirato, non ha saputo fare a meno di vandalizzare e svalutare i tesori di cui entrava in possesso). L’esodo dei mezzi militari israeliani (che stagliò contro il cielo del crepuscolo incombente le siluette scure in ritirata), fu per la Striscia Gaza, sul finire di quel memorabile giorno, uno spettacolo senza paragoni. Il territorio della Striscia famigerata passò (il 12 settembre 2005) in mani palestinesi. Ciò significò, per la gente di Gaza, libero accesso ad aree che erano sempre state off limits (e, ahimè, significò anche gesti inconsulti di ‘vendetta’ che trasformarono in cenere sinagoghe magnifiche e in ‘resti’ circa 10 milioni di edifici-attività-coltivazioni). Al-Fatah poté, così, governare ufficialmente il pezzo di Palestina chiamato Gaza. Nuove elezioni (indette dopo due anni di controllo di al-Fatah) videro salire al potere il partito integralista Hamas (intenzionato ad imporre la legge islamica al nuovo Stato e in chiaro antagonismo conflittuale con al-Fatah, il partito del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese residente in Cisgiordania). Gli scontri tra le due fazioni causarono morti a ripetizione. Hamas fece una campagna militare inarrestabile, finché (il 14 giugno 2007) conquistò la sede dell’Anp e giunse a controllare l’intera Striscia di Gaza. Data la matrice terroristica di Hamas, Europa e USA, a quel punto, interruppero l’invio di aiuti nella Striscia di Gaza (e a pagare, come sempre e come ovunque, furono ancora una volta i più innocenti e i più poveri: i civili inermi, che piombarono in una miseria nera). Hamas diede l’avvio a una nuova fase (fatta di lanci continui di missili Qassam e di tiri di mortaio) del suo conflitto con Israele che, dal canto suo, volendo risparmiare i Palestinesi estranei agli atti terroristici, pianificò azioni ‘mirate’ (per quanto ciò sia utopistico in guerra) contro gli esponenti palestinesi promotori di attentati e di morte. Vittime di tale guerra atipica e testarda non furono soltanto le giovani vite dei militari di entrambi gli schieramenti, ma anche molti civili israeliani e palestinesi (mietuti come fiori di campo senza peso né voce). La mancata importazione ed esportazione ridusse la popolazione palestinese alla disperazione, portandola ad abbattere (23 gennaio 2008) gli sbarramenti di frontiera (valico di Rafah) e di riversarsi in Egitto (a procurarsi, nei negozi di confine, i generi di prima necessità). Il presidente Mubarak gestì tale circostanza con comprensiva pazienza (anche perché, per dirla tutta, i prodotti acquistati dai Palestinesi tutto rappresentavano fuorché un effetto dannoso per l’Egitto).
I passi avanti (sulla via della pace) fatti da Israele si sono sgretolati sotto gli attacchi senza tregua di Hamas (e sono giunti a un punto di non ritorno, ove la sola alternativa pare essere quella di farli cessare). L’esercito di Israele, nel tentativo di fermare gli attacchi continui e feroci, ha invaso l’area con forze blindate, ha distrutto (1 marzo 2008) tutte le installazioni di Hamas che è riuscita a raggiungere e i tunnel della morte (attraverso i quali Hamas importava illegalmente le armi), poi è rientrato nelle sue basi, in Israele. L’Egitto, nel giungo 2008, si è fatto promotore di una tregua di sei mesi (che pareva riaprire la porta alla speranza) inducendo Hamas ad accettare di porre fine al lancio dei razzi (in cambio di un alleggerimento del blocco da parte di Israele). L’orizzonte-pace, però, si è allontanato ancora una volta (e pare non voler più tornare): Hamas ha annunciato (il 18 dicembre 2008) la fine della tregua (senza chiedere allo schieramento avversario che cosa ne pensasse e senza preoccuparsi di ripercussioni-effetti-disastri immediati o postumi). Le ennesime vittime causate dai lanci dei missili di Hamas nel deserto di Negev hanno indotto il governo israeliano a cercare strategie-intervento risolutive; ne è scaturita l’Operazione Piombo Fuso (27 dicembre 2008) contro la Striscia di Gaza. I morti paiono essere 400 (e… paiono includere molti/troppi… bambini – a riprova del fatto che i ‘semi’ di morte non hanno mai saputo/ non sanno/ non sapranno essere mai ‘mirati’). Israele, decisa a far cessare una volta per tutte lo stillicidio di quella guerra senza respiro (che miete vite umane e fiacca la pazienza, facendosi antonomasia della ‘goccia cinese’), è pronta a tutto (nessuno sa di quante parti si componga l’Operazione Piombo Fuso; è certo soltanto che l’offensiva nota non è che la prima parte del piano su cui si basa). Le bombe che cadono distruggono e uccidono portano nella Striscia di Gaza quell’aria di abbandono terribile e di tragedia disperata che soltanto la guerra sa creare… Chiedere a Israele di interrompere le ostilità è la sola cosa che ci venga in mente, ora (anche perché non c’è altro che potremmo fare), ma non riesco a non pensare ai razzi che partivano con cadenza regolare verso-contro Israele (e a domandarmi: “Che scopo avevano/ di quali ‘messaggi’ e di quali ‘risposte’ li credevano forieri gli abitanti della Striscia di Gaza o chi per loro? Potevano i Palestinesi, in tutta onestà, pensare di andare avanti per sempre in quel modo, senza alcuna conseguenza?). I morti sotto le macerie, le madri disperate, le famiglie mutilate, la cittadinanza terrorizzata hanno la priorità assoluta su tutto e su tutti: a loro il cuore del mondo intero (e anche il mio) rivolge vicinanza, affetto e comprensione, insieme all’auspicio di una nuova aurora fatta di esami di coscienza (multilaterali e sinceri)/ di pianificazioni-propositi-rinascita senza intenti double-face traditori/ di relazioni di buon vicinato.
Le caratteristiche-“Navis stultorum” del luogo in questione
- La produzione, già diminuita di circa un terzo tra il 1992 e il 1996, nella Striscia di Gaza, è ai minimi termini (ciò è stato attribuito, a vari livelli, alla corruzione varia, alla cattiva gestione passata -di Yasser Arafat- e alle politiche di chiusura di Israele che, per la verità, ha pagato le varie ‘aperture’ con attentati suicidi, attacchi vari e innocenti trucidati. La violenza è indesiderabile e terribile, da qualunque parte giunga, ma come non comprendere le reazioni agli attacchi continui di vario tipo e, soprattutto, agli attacchi suicidi (che gridano vendetta al cielo per il modo in cui smembrano la creatura umana che ne è causa e in cui abbattono altri innocenti in modo vile, subdolo e demoniaco)? Ne è un esempio doloroso l’attacco suicida recentissimo in Israele, in cui sono periti ragazzi pieni di vita (mentre si accingevano a prendere visione dei risultati scolastici, davanti alla loro scuola). Chi non ha riguardo per la sua vita è condannabile, ma chi non ne ha per la vita dei ragazzi e dei bambini è un mostro alieno in qualsiasi tipologia di ‘patria’ geografica o ideale.
- Un grave effetto negativo sociale del rallentamento economico generale è l’alto tasso di disoccupazione.
- I coloni israeliani di Gush Katif, esperimentando nuove forme di agricoltura, si sono lasciato alle spalle un patrimonio consistente di coltivazioni e di serre (che avevano dato lavoro a molte centinaia di Palestinesi di Gaza). Le serre, al ritiro degl’Israeliani, sono state acquistate con i fondi raccolti da James Wolfensohn (ex presidente della banca mondiale) e date al popolo palestinese (come avvio al risanamento dell’economia che è stata, invece, zavorrata da carenze idriche, incapacità di esportazione, corruzione dei vertici palestinesi). I Palestinesi hanno saccheggiato e distrutto la maggior parte delle serre.
- Circa 25.000 lavoratori dalla Striscia di Gaza andavano per lavoro in Israele, ogni giorno, prima della seconda rivolta palestinese (settembre 2000), poiché i principali partner commerciali della Striscia di Gaza sono Israele, Egitto e la Cisgiordania.
- Israele, Stati Uniti, Canada, e Unione europea, dopo la vittoria di Hamas (2006) hanno tagliato tutti i fondi al governo palestinese.
- Le vittime ‘illustri’ di tutto sono gli ultimi della catena sociale.
Riflessione
Il bene e il male (come sempre/ come ovunque) corrono affiancati. Il bianco e il nero del Tao infinito si confrontano, avanzano-retrocedono-si bilanciano (a turno e a turno si sfidano). Questa è una cosa che tutti sanno. Quello che tutti non sanno (e che avvertono soltanto a livello subliminale) è qualcosa che spande nel mondo un’atmosfera quasi irreale: un cambiamento sostanziale nel rapporto tra uomo e uomo/collettività e potere costituito/ paese e paese/ paese e paesi/ paese e mondo/ paesi e mondo. Gli uomini non si rapportano più tra loro nel modo in cui si rapportavano nel passato; le relazioni umane sono cambiate (in un modo che pare irreversibile). I singoli sono stati robotizzati (e ‘omologati’) da ‘pianificazioni’ costanti e tenaci (che hanno trasformato in manifestazioni commerciali/’commerciabili’ anche i sentimenti più reconditi e genuini). Le collettività si sono ‘aggiornate’ di conseguenza. La politica, la diplomazia, le strategie sono esistite da sempre, ma (con l’avvento della civiltà dei ‘consumi’) qualcosa di profondamente distorto si è incistato nei sistemi sociali nazionali e internazionali, qualcosa che ha sublimato una sorta di escalation senza ritorno, negli ultimi tempi (e che ha creato una corazza non scalfibile -non scioglibile -non rompibile attorno alle caretteristiche umane dell’essenza interiore dei singoli e delle folle). Ciò rende possibile-‘passabile’ qualsiasi evento-comportamento-accadimento (anche se una memoria inconscia di ciò che l’umanità dovrebbe essere affiora ancora nel ‘sonno’ endemico delle popolazioni). Le realtà interne ed esterne ai luoghi piccoli o grandi, alle nazioni e al mondo sono ‘plasmate’ da un ‘morbo’ che non ha consistenza visibile-tangibile e che (pur essendo in grado di condizionare -dirottare -far deragliare la vita sulla terra) è composto di molti elementi che l’uomo ‘cosmetico’ cannot detect e, indi, non c’è… Tutto, dunque, sembra possibile (in un senso più errato che mai): singoli/collettività (come potenti e impotenti del mondo in generale) possono dire/fare/disfare (a nostra insaputa e senza il nostro beneplacito) tutto o niente, a seconda del ghiribizzo. Tu, io, voi sappiamo soltanto che tutto prescinde da noi (che, qualunque cosa possiamo pensare, poco contiamo-decidiamo). È una sensazione spiacevole (e distruttiva piuttosto che costruttiva). È vero: nulla possiamo fare per far cessare la guerra (in Medioriente né altrove), ma non dobbiamo dimenticare che molto possiamo fare per conservare (e tramandare) le cose belle (se le sappiamo individuare). È scoraggiante pensare che, mentre alcuni individui si adoperano in favore della vita (in senso lato), innumerevoli individui e intere nazioni commettono il sacrilegio di togliere, invece, la vita a singoli, a decine, a centinaia (a migliaia e a milioni) di persone e sembra assurdo che uomini donne e bambini muoiano ammazzati, mentre, da qualche parte, nel mondo, c’è gente che va incontro a sacrifici enormi pur di salvare una tartaruga, una balena, un delfino o un qualsiasi animale piccolo o grande. È bene (e fa bene) ricordare che esiste la gente che difende la vita/ esistono persone che salvano la gente e gli animali e che ogni gesto salvante è importante per l’equilibrio universale.
La situazione in Terra Santa è tragica (definirla ‘tesa’ sarebbe un eufemismo)/ occorre un ammontare spropositato di speranza, per credere nella sua risoluzione pacifica. Mi piace immaginare i desideri degli uomini come fili di luce da avvolgere attorno al rocchetto della speranza e sognare che vi siano moltitudini di volenterosi pronti a unire i loro fili e ad avvolgerli attorno a un ‘rocchetto’ immenso. Il mio augurio di buon anno è che (pochi/ molti/ sparuti o nutriti che siano) i gruppi dei sognatori dal cuore buono si uniscano, per desiderare la risoluzione pacifica del dramma israelo-palestinese e per avvolgere il filo di luce di tale desiderio attorno al rocchetto della speranza (più grande sarà il rocchetto più ‘filo’ potrà contenere). Occorreranno tanti sognatori, per riempire il rocchetto miracoloso (quando sarà pieno potrà essere usato per tessere le scale necessarie ai giorni nuovi). L’umanità non ha carenza di fili-desideri (deve soltanto imparare a desiderare le cose giuste). Non so fare a meno, nel frattempo, di desiderare-sognare un mondo non più calpestato dalla peggiore specie di individui-‘genobaca’ umani (esseri umani dal gene-dna bacato): i ‘mercanti’ di morte/ i mercanti d’armi/ i mostri senza scintilla divina nell’argilla originale/ le creature immonde che si affrettano a ‘seminare’ l’incidente giusto (proporzionato a ogni sforzo-distensione), per rompere le tregue, riaccendere le scintille delle deflagrazioni devastanti e assicurarsi le ‘piogge’ future di proiettili-missili-armi letali necessarie a tenere aperto il ‘mercato’ più remunerativo della terra: quello delle armi e cioè della morte.
Bruna S.