Tornata a Vernasca per Natale, mi piacerebbe che la parola scritta recasse in sé una specie di specchio. In quelle che sto scrivendo vedresti riflesse le sembianze del paese più bello del mondo: il mio paese d'origine. Le mie parole hanno la colorazione di un tardo pomeriggio, ma nessun altro luogo ha una sera come questa. Qui il cielo è molto vicino, ma la terra anche e c'è un vento che non ho mai trovato da nessun'altra parte. L'aria è bianca. Il dentro e il fuori hanno lo stesso respiro. Ti mando tutto questo mescolato con l'alfabeto e la punteggiatura. Sono certa che di questo biglietto nella sera avrai cura.
Ad esso aggiungo per i lettori, che hanno la bontà di leggermi, che io so come nutrire interesse nei confronti del pensiero indiano antico possa, talora, dar adito a fraintendimenti o a interpretazioni nostalgico-idealistiche, a vaghezze orientaleggianti et similia tipiche degli anni Sessanta-Settanta, che forse tu hai conosciuto a Pisa... però in me non c’è alcun sincretismo.
In fatto di religione, credo che si debba decidere da che parte stare: io sto dalla parte della religione cattolica e ci sto interamente. Il mio rapporto con la cultura indiana è puramente culturale e intellettuale e ha preso avvio dallo studio glottologico dell'indoeuropeo. È proseguito casualmente con l'esegesi del più antico testo vedico: il Rigveda. Le questioni interpretative mi hanno sedotta e non abbandonata, conducendomi inevitabilmente all'approfondimento di tematiche filosofiche e religiose (la linea di demarcazione di queste ultime due nel pensiero indiano antico è molto labile, anzi - a parere di molti e anche mio - inesistente).
Essere cattolica non mi impedisce di inseguire la spiritualità e le vertigini (oh che vertigini!) intellettuali di altre culture, che ho avuto la ventura e il privilegio d'incontrare sul mio cammino. Sono stata affascinata dalla cultura sorella dell'India e solo la mia ignoranza, i miei limiti congeniti, il caso e il tempo mi hanno impedito di accostarmi ad altre civiltà, allo stesso modo meritevoli di ricerca e di attenzione.
Così mi lascio cullare, quando possibile, dalla sapienza dei Veda. Forse perché ho allevato sulla mia schiena una lunga treccia nera, forse perché il primo inno che tradussi fu un incantesimo d'amore e il sortilegio ancora mi perseguita.
Saluto serale dal mio paese,
Tiziana Soressi
Vernasca in provincia di Piacenza
La zona di Vernasca, abitata sin dal Neolitico, venne strappata dai romani alle popolazioni liguri qui insediate all'epoca della conquista. A guardia della vallata i Liguri avevano eretto sui rilievi una serie dei loro villaggi fortificati, i cosiddetti "castellieri", edificati a vista l'uno rispetto all'altro per consentire alle informazioni di correre veloci. Tracce di castellieri sono state trovate a Rocchetta di Carameto, a Settesorelle ed a Casali di Morfasso. Il sistema dei castellieri, ancora in fase di studio e sul quale sono state formulate numerose ipotesi, interessava comunque tutto l'Appennino piacentino ed era una prerogativa comune a tutte le popolazioni di ceppo celto-ligure della zona.
Successivamente alla presenza romana, dopo il periodo privo di notizie storiche corrispondente all'Alto Medioevo, il territorio di Vernasca entrò a far parte dei possedimenti dell'Abbazia di Val Tolla, fondata presumibilmente nella prima metà del secolo VII. Durante questo periodo il borgo, ancora denominato “Lavernasco” come nella forma originaria, fu dotato dall'Abbazia di un castello (secolo X).
Tale fortilizio è nominato in un documento in cui l'imperatore Enrico II concede un privilegio all'Abbazia stessa.
Il castello venne acquistato nel 1029 dal marchese Ugo di Provenza, quindi passò ai Malaspina per poi tornare all'Abbazia (1048), della quale seguì il destino: passato con tutti gli immobili agli Sforza di S. Fiora rimase per un certo periodo in auge quale sede del giusdicente di Val Tolla (insieme al castello di Sperongia) quindi andò in rovina quando questa funzione civile fu trasferita a Lugagnano. Gli stessi Sforza di S. Fiora (ramo Cesarini) rimasti proprietari del feudo di Vernasca fino al Settecento, furono privati dei propri domini con la venuta degli eserciti napoleonici; durante questo periodo Vigoleno divenne un centro resistenza dei contadini locali contro le depredazioni ed i soprusi dei soldati francesi.
Nel 1815 venne costituito il Comune di Vigoleno, il cui territorio corrispondeva approsimativamente all'attuale Comune di Vernasca; occorre notare come a quel tempo Vigoleno fosse un centro abitato ben più popoloso di Vernasca. Nel 1851 tuttavia, per iniziativa di Carlo III di Borbone, il capoluogo comunale fu definitivamente spostato a Vernasca.
Dal sito del Comune di Vernasca (PC)
www.comune.vernasca.pc.it/storia.shtml
L'immagine in copertina
Vernasca conserva ciò che rimane della Pieve di S. Colombano ovvero il campanile e l'abside risalenti al XII secolo; il resto della chiesa è stato abbattuto ai primi del Novecento, dopo una frana. I resti della Pieve, che in origine edificata nei pressi dello scomparso castello di Vernasca, sono affiancate dall'antica canonica che attualmente ospita il Centro Visita Provinciale della Via Francigena.