Caro Claudio, nell'infinito che ti coinvolge (in mente e corpo), a livello di cose da fare, da dire e da scrivere, i miei messaggi sono un surplus unnecessary. Venia. La mia ultima mail (dal tono scherzoso-faceto) diceva che la tua amicizia è 'pericolosa', perché motivante: è vero. Ti ringrazio per questo, amico mio, e ti ringrazio di aver deciso di inserirmi in Tellus 30. È per me una gioia. La mia conoscenza dell'annuario su Tellusfolio è stata lenta. Perché... la verità è che sono una navigatrice virtuale molto lazy e scadente, e che non mi ero ancora 'orientata' su cosa precisamente Tellus fosse nella sua costruzione tra web e carta piena di rimandi, intrecci, sentieri che si biforcano in modo inusuale.
Ho scritto, nell'altra mail, che mi sarei presa una pausa (nel periodo natalizio). Sono un poco pencolante di salute, perché l'aria in questo periodo contiene una sorta di borotalco marrone invisibile (per l'harmattan), che fa durare il raffreddamento all'infinito. Non mi sono liberata della tosse e temo di aver preso l'inevitabile -qui- tifo (in forma lieve- usi tutte le accortezze, ma altri non le usano e... basta una cena all'Hilton, un po' d'insalata e...). Mi sono decisa a prendere l'antibiotico -oggi- e, anche se con un po' di fiacca, conduco vita normale (il tempo è già così breve). Ho in mente articoli più impegnativi, ma uno corto è meglio di niente e... ti allego questo, intanto. Sono in distress al pensiero di dover smontare tutto qui, partire e tornare alla base (nel clima freddo), ma sono sollevata da un altro canto (quello igienico). Mi conforta pensare che tu abbia ancora due parti dell'articolo sul Congo, così avrò un po' di tempo. Ti auguro buon ritorno a scuola (dopo il ponte festivo). Ti abbraccio.
Otto dicembre 2008
Bruna S.
La valenza incredibile del nome ‘TELLUS’
Non ho domandato (Né alla Labos Editrice-Sansi né a Di Scalzo) il perché della scelta del titolo Tellus per l’annuario di arte, pensosità e letteratura e del titolo Tellus folio per il giornale telematico. La prima volta che la parola Tellus mi è capitata sott’occhio, ho pensato a tell us, raccontaci (cosa poteva esprimere meglio il senso di ciò che accade tra le pagine cartacee dell’annuario e la mente pensante/‘pensosa’ dei suoi lettori e di ciò che accade tra le pagine telematiche di Tellus folio e i suoi lettori?). La valenza mitologica della parola Tellus (terra madre), annidata nelle pieghe nascoste della memoria, ha taciuto, con sorniona bonarietà, senza darsi per vinta, facendosi sentinella silenziosa e discreta di suadenti richiami lontani e mai cessando di disegnare le mappe-sentori di radici affondate in un passato legato al culto della terra e delle sue piante e al fascino irresistibile dei suoi mille incantesimi e delle sue infinite pozioni.
I due significati della parola si fondono, ora, percorrendo i dedali affollati, pluriramificati, pluridirezionali e complessi dei pensieri. Tell us diviene raccontaci e narra della Tellus-dea legata al culto della terra e a tutte le implicazioni fatte di odori, di humus, di umidità e di sofficità delle zolle singole e/o infinite, distese, nei solchi-culla, su semi-neonati cui insegnare il canto degl’inverni innevati e delle primavere risvegliate da brusii infiniti e vitali. Le pagine-tellus si fanno dissolvenze graduali di parole mutanti, celebrazioni mitologiche lontane. Tornano, allora, le celebrazioni del 13 dicembre, con i fastosi rituali celebrati in tutti i templi di Giove e, insieme ad esse, torna lo stesso giorno sacro dedicato a Tellus, la dea della terra (la dea della mitologia romana protettrice della fecondità, dei morti, la divinità potente contro i terremoti e la più antica della religione ufficiale romana -quella ricollegata al culto che si perde nella notte dei tempi: il culto della Grande Madre).
Le feriae sementivae del 24-25-26 gennaio (che prima erano due giorni di celebrazioni, intervallate da una settimana lavorativa, e poi divennero un trittico celebrativo), evocate dal magico suono della parola Tellus, riprendono corpo nel tremila e, di nuovo, fanno convergere le menti verso le palilia del 21 aprile e le robigalia (la seconda delle celebrazioni sementive, quella che simboleggiava il passaggio delle spighe dallo stadio di verdi fuscelli leggeri a quello di spiga pluricoccoides-mini granaio in riempimento).
Le celebrazioni straordinarie, Fordicidia, del 15 aprile, dedicate alla dea Tellus (simbolo della fecondità -raffigurata come una donna dalle molte mammelle o come una donna sdraiata con frutti in una mano e la cornucopia nell’altra), aprono scenari fantastici (su usanze e tradizioni ormai ingoiate dal tempo) e s’imparentano con le Cerialia del 19 aprile (il secondo pilastro dello stesso ciclo) dedicate a Cerere. Tellus e Cerere, sono due divinità sempre affiancate nella mitologia romana (e, non a caso, Ovidio le definisce “madri delle messi”); ad esse i Romani dedicavano celebrazioni solenni e ricorrenti.
Le Fordicidia venivano celebrate, sacrificando in onore di Tellus (“terra”), per la fertilità della terra e del bestiame, alcune vacche gravide (fordae), all’interno dei templi di Giove (sul Campidoglio e nelle singole curie), ove non mancavano mai il tempio di Vesta e le sue vestali, che estraevano i feti dalle vacche, bruciavano le loro interiora e ne conservavano le ceneri che, insieme al sangue del cavallo immolato a Marte nelle Idi di ottobre, servivano per le Palilia del 21 aprile. Le vacche venivano divise e distribuite ai fedeli, le ceneri venivano usate, il 21 aprile, nella celebrazione delle Palilia, appunto, per onorare la dea Pale, protettrice degli armenti e dei pastori (e importantissima, in un tempo di re pastori, che ad essa sacrificavano in periodi pre-bellici, bellici e post-bellici, per la sottomissione e l’annessione di altri popoli che basavano la loro ricchezza e tutto il sistema economico sull’allevamento degli armenti).
La leggenda narra (e mi viene da dire Tells us) che l’oracolo di Fauno abbia consigliato al re Numa di placare la dea Tellus, immolandole due vite in una, in un periodo di carestia e di siccità e che, da allora, tale pratica sia diventata una tradizione continuata fino al 271 a. C. Testimonianze storiche dicono che un tempio dedicato a Tellus sorgesse sulle case di Spurio Cassio, fatte demolire dal senato, nei pressi delle Carine (Val. Max. 6, 3, 1).
L’immaginazione risveglia scene di un lontano passato ormai perduto e ne ritrova i colori intatti e le suggestioni inenarrabili e rare; in esse le vestali intessono danze fiabesche, dai disegni incredibili, e innalzano canti che si fondono con l’imperversare del vento e delle bufere e le donne biancovestite (citate da Tacito) tornano a celebrare le Cerialia, correndo lungo percorsi simbolici e disegnando con le torce accese i messaggi-talismano che soltanto la dea Cerere avrebbe saputo dipanare. Sono convinta che, nel giorno delle Cerialia, i fedeli accorressero a migliaia a guardare con occhi incantati il rito delle volpi luminose, poiché pare che, trattenute e poi lasciate libere, con delle torce accese legate sul dorso, divenissero come saette lucenti sparse verso i punti cardinali. Tale usanza dovrebbe riallacciarsi alla conquista del lago Regillus, donde, se la memoria non m’inganna dovrebbe giungere ai Romani l’acquisizione del culto della dea Cerere (legato alle vicissitudini dei Latini).
La stagione della semina, il periodo più importante dell’anno, torna, per merito del nome Tellus, dal passato, a dire agli uomini che dalla terra e da come l’uomo ne comprende il linguaggio (e ne sfiora la superficie con mano sapiente) dipende la vita di grandi e piccini e la durata di essa sul pianeta rotante. Gli antichi Romani dedicavano alle cerimonie agricole celebrazioni solenni di riti dedicati agli dèi, onde ingraziarsene il favore e ottenere una produzione abbondante, sola vera base di qualunque benessere-ricchezza. Vicine e quasi inscindibili, le dee Tellus e Cerere si contendevano il culto della terra e dei suoi frutti e troneggiavano sulle festività bucoliche. Tellus riceveva e benediceva l’offerta di una scrofa gravida, alla fine della semina, a gennaio, e Cerere riceveva il sacrificio della porca praecidanea (Cereri porca praecidanea porco femina, priusquam hasce fruges condas- Catone), all’inizio del raccolto, in gran festa, insieme ai serti di spighe di spelta, di cui adornarsi.
La dea Tellus sarebbe stata identificata con Gea e, con il tempo, sempre più frequentemente con Cerere e sarebbe rimasta abitatrice incontrastata delle antiche leggende e dei racconti tramandati di bocca in bocca (andati perduti con le inevitabili stratificazioni culturali leggendarie e/o protostoriche).
La mente si attarda tra le immagini belle degli antichi campi del triticum spelta (il farro antico che più si avvicina al grano tenero dei nostri tempi- anche dal punto di vista cromosomico-esaploide) e ne ammira le distese, belle come superficie di acque increspate dal vento. Lo spelta bianco con le reste, quello bianco di spiga rada, quello rosso con le reste o con spiga rada, quello a spiga bianca senza reste sembrano ancora ondeggiare attorno ai templi della dea protettrice e potente, che richiamava folle immense di fedeli e singoli individui in preghiera (e pare ancora richiamare le mani esperte delle vestali anziane, maestre provette dei serti cerimoniali, che le giovani vergini dovevano portare con movenze leggiadre da bianche rondini danzanti).
I tempi antichi più non sono… I tempi nuovi non hanno templi per gli dèi (hanno molti templi-molti nomi per Dio e pochi cuori da mettere nelle preghiere), ma ci sono uomini che ancora innalzano templi alla ‘pensosità’ e che da essa risvegliano le menti dopate da un malinteso ‘progresso’. Tellusfolio, Tellus annuario e Labos Editrice sono fra questi templi.
Bruna Spagnuolo