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Tiziana Soressi: Un oceano, un albero e una verità. Trittico.
Fabrizio Fadini, L
Fabrizio Fadini, L'albero della vita 
22 Dicembre 2008
 

Caro Claudio, mesi fa mi chiedesti, forse perché progettavi un volume per Tellus-Annuario: “Ci sono storie fantastiche, miti, fiabe, bestiari, filosofie fantastiche, in quanto hai studiato?”.

Mi è venuto uno scritto così: non un racconto, ma una specie di trittico anche da scomporre in pezzi separati (a tua discrezione) per un’eventuale pubblicazione su Tellusfolio.

Buona serata, caro amico delle “narrazioni” di ogni dove, con i miei auguri natalizi di pace.

 

Tiziana

 

 

 

Un oceano, un albero e una verità. Trittico

 

 

I

L’uomo-oceano e altri abissi

 

II

L’albero della verità: del frutto e della radice

 

III

Nel nome della verità

 

 

I

 

Inabissamento primo: una teoria indiana antica1 sostiene che tu, uomo, fra tutti gli esseri viventi sei il più dotato di intelligenza e sei anche in grado di esprimere ciò di cui hai avuto conoscenza: sai che cos’è il domani, il mondo e il non-mondo. Attraverso ciò che è mortale cerchi di raggiungere l’immortalità. Sei è un oceano. Sei al di là del mondo intero. Raggiungi qualcosa? Pensi sempre a ciò che è oltre.

Così, definito dall’immensità del tuo anelito, dalla tua vocazione a trasformare le emozioni in oggetto di contemplazione e di discorso, tu, uomo-oceano, hai il dono incomparabile del pensiero anticipatore.

Sei una creatura d’alta marea, destinata ai peripli e alle immersioni. Sei tu a decidere la rotta, a sillabare l’alfabeto delle stelle. Il vento ti solleva il cuore. Lo slancio dissipa il caos. Il tuo oltre è sempre oltre. Delfino e gabbiano, guizza, librati, innalzati!

Inabissamento secondo: si dice che tu abbia intelligenza per capire e parole per dire. Per dire il vero e il falso. E questo è il punto.

Quanto a verità e falsità, i testi della sapienza non ti lasciano dubbi: “Questo mondo è duplice, non ce n’è un terzo: verità e menzogna”2 e un antico divieto ti ammonisce: “Non bisogna dire il falso!”.3

Nel contempo, però, ti è offerto anche un rimedio per le falsità sfuggite dalla bocca o dal cuore: nasconderle nella terra e trattenerle lì sotto il più possibile.4

Il terreno che calpesti è il ricettacolo delle falsità. Nei suoi ciechi interstizi dimora la dea Nirṛti “con la sua bocca terribile”.5

La terra: fosca mistura di menzogna e melma e foglie. La terra mente, uomo-oceano. E tu?

 

 

II

 

Considera quest’immagine:6 un albero. Ora osserva i suoi rami: la verità è il fiore e il frutto della parola. Dicendola, l’uomo acquisisce fama e gloria.

Sposta, invece, lo sguardo alla sua base: sai qual è la radice recondita di questo albero? La falsità.

Tuttavia, come un albero si inaridisce e muore se le sue radici sono esposte all’aria, così l’uomo che dice il falso espone le sue radici, perciò si dissecca e muore. È per questo che tu, uomo-oceano, non devi mentire.

Con la menzogna denudi la tua verità più profonda.

Le parole false proferite e assorbite nelle latebre della terra si trasformano poi in parole potenziali, non dette. Non ci crederai, ma sono proprio loro a costituire l’humus della verità che tu manifesti in un discorso articolato e sonoro. Sono loro la radice del fiore e del frutto. Trattienile nel buio e nutrile con gli umori sotterranei, sono loro a strutturare le parole veritiere che pronunci e che si staccano da te come frutti maturi.

La falsità non avvelena la tua linfa fintantoché non confluisce nella parola detta e non diventa atto di comunicazione. Dunque il vero, nella sua pienezza, ingloba il falso e lo tiene occultato.

Tu, uomo-oceano, affondi con i tuoi piedi nella menzogna, ma il frutto che generi è la verità. La tua infiorescenza ti salva e i suoi frutti sono prodigiosi. Sei alto nel mare. Sfiori il cielo e ti chiedi ancora: cosa c’è oltre?

 

 

III

 

Una parola per dire “verità”: ce ne sono tante. Ogni lingua ha la sua verità. Puoi chiamarla, per esempio, alétheia, altre volte veritas. Qui la chiamiamo satyá.7

Il termine deriva dal participio presente del verbo “essere”, sat “essente, esistente”, anche con il valore aggettivale di “vero”, “essenziale”, “reale”, “corretto”, “buono”.

Dunque satyá è “ciò che è in conformità con il sat”, “ciò che concerne l’esistente”, ovvero è la realtà, la verità che esiste realmente. Tuttavia l’esistente, in quanto tale, è nello stesso tempo un garbuglio fallace di verità-e-menzogna. Tu lo sai bene, uomo-oceano. In satyá sono contemplati sia il vero che il falso.

Qual è il bandolo di questo intrico? Occorre entrare nel tessuto malleabile della parola, perlustrarne le trame ad una ad una, badando a non disfare l’ordito. Altro inabissamento: facciamoci ago che trapunta sottilmente! Nel nome della verità l’esistente va preservato.

Ti viene suggerito8 che la parola satyá è scomponibile in tre sillabe: sa-ti-yam. La prima sillaba sa è sat, la verità, la sillaba di mezzo ti è la falsità, la terza yam significa ancora la verità ed è collegata con la radice verbale YAM- “tenere”, “contenere”.

Quest’ultima, dunque, con la sua posizione garantisce il superamento dell’opposizione precedente: come vedi la verità vince. Il suo duplice assedio trasforma il falso in vero, anzi lo pone al suo centro e lo controlla a vista. Dunque rassicurati, la falsità non ha scampo e tu sei salvo!

Se conosci questa etimologia occulta della parola satyá, puoi preservarti dalla menzogna.

E poco importa se alcuni segmenti formali utilizzati per rappresentare il falso, come per esempio –ti-, non hanno alcuna corrispondenza con la lingua realmente parlata. Tu, uomo-oceano, che hai compreso il senso profondo di questo artificio etimologico, sei anche consapevole che la falsità è avviluppata nella verità stessa e lì giace sepolta, come le radici dell’albero che faranno germogliare, a tempo debito, i fiori e i frutti.

E per te, uomo oceano che conosci questo, il raccolto, in verità, sia abbondante! O desideri nuove mietiture?

 

Tiziana Soressi

 

 

Bibliografia essenziale di riferimento

C. MALAMOUD, Féminité de la parole, Parigi, 2005.

 

 

1 Aitareya-Aranyaka II,3,2.

2 Shatapatha-Brahmana I,1,1,4.

3 Nanrtam vadet (Taittiriya-Samhita II,5,5,6).

4 Shatapatha Brahmana XIV,1,1,30.

5 Shatapatha Brahmana V,2,3,2.

6 Aitareya-Aranyaka II,3,6; II,3,6. H. OLDENBERG, Vorwissenschaftliche Wissenschaft, Die Weltanschauung der Brahmana-Texte, Gottinga, 1919, p. 214.

7 A. DEBRUNNER, Die Nominalsuffixe, vol. II, 2 da J. WACKERNAGEL, Altindische Grammatik, 1896-1954, Gottinga, 1954, p. 780. R.L. TURNER, A comparative dictionary of Indo-Aryan languages. London: Oxford University Press, 1962-1966 s.v. satyá-.

8 Brhad-Aranyaka-Upanisad V,5,1; 5.4.1. Cfr. anche altre analisi etimologiche in Chandogya-Upanisad 8.5.4: 8.3.5; Taittiriya-Aranyaka VII,2,7.

 

 

 

Il “Trittico” di Tiziana Soressi, assieme ad altre sue scritture, comparirà nel nuovo annuario TELLUS 30: Narrazioni per 4 stagioni. Dall'Illuminismo a Internet-Tellusfolio, in uscita nel maggio 2009.


Foto allegate

Roberto Caruso, Arancio in fiore con le more
Gustav Klimt, L
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