Distratti dalle inchieste di Napoli, Potenza e Pescara, poca o nessuna attenzione si è prestata a due vicende che invece ne meriterebbero moltissima. Entrambe sono oggetto di interrogazioni dei deputati radicali; chissà se, e quando, il ministro della Giustizia riterrà di rispondere e chiarire.
La prima vicenda: nell’’ambito dell’operazione “Perseo”, che ha condotto in carcere una novantina di boss storici e giovani affiliati di Cosa Nostra, tra gli altri è arrestato il boss Gaetano Lo Presti, capo-mandamento di Villagrazia. Il boss nella serata del 16 dicembre si sarebbe tolto la vita nella cella del carcere di Pagliarelli, dove è stato tradotto. Per uccidersi sembra abbia utilizzato i laccetti delle scarpe; si sarebbe impiccato allo spioncino della cella. Dinamica che ha dell’incredibile, ma è pur vero che si vive dove l’incredibile accade tutti i giorni.
La domanda però è questa: perché a Lo Presti non sono stati tolti i laccetti delle scarpe? La risposta sembra sia stata: “Perché non era obbligatorio farlo”. Si ammetterà che se davvero è stata data questa risposta, al giornalista che ne aveva chiesto conto, si tratta di risposta stupefacente.
Fatto è che Lo Presti, così come aveva fatto tre anni fa Francesco Pastoia, braccio destro di Bernardo Provenzano, è morto. C’è chi ipotizza che non abbia retto alla lettura della gran quantità di intercettazioni che lo inchiodavano al suo ruolo di grande oppositore del volere di Totò Riina… Se è così, la reazione – chiamiamola così – di Lo Presti, andava prevista, e scongiurata. E non basta dire che non è misura obbligatoria, per giustificare il mancato sequestro dei lacci delle scarpe.
La seconda vicenda, anch’essa viene dalla Sicilia, liquidata in poche righe; e invece merita tutta la nostra attenzione. Bisogna andare a Catania, penitenziario di Bicocca. Dov’era rinchiuso un ragazzo di 25 anni. La storia di quel ragazzo fece scalpore, nell’agosto scorso: quando l’avvocato Antonio Fiumefreddo, intervistato da Klauscondicio, la trasmissione di Klaus Davi, racconta che questo ragazzo «scriveva poesie e aveva modi che potremmo definire effeminati. Non so nemmeno se fosse omosessuale, ma così venne ritenuto dagli altri detenuti e fu trattato in carcere come tale. Fu violentato da un gruppo di otto detenuti, tutti in carcere per gli stessi reati, e fu costretto al ricovero in infermeria con nove punti di sutura all’ano. L’episodio non è l’unico, credo che sia accaduto anche molte altre volte».
L’altro giorno quel ragazzo si è impiccato. C’è una relazione tra quel suicidio e quello che ha patito in carcere? E anche qui, cos’è stato fatto perché non accadesse quello che invece è accaduto?
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 19 dicembre 2008)