La pièce di Jean Paul Sartre Morti senza sepoltura del 1946 è stata scelta da Elisa Rocca per il suo Saggio di Diploma del corso di Regia dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.
Il Saggio ha visto poche repliche presso il Teatro Studio “Eleonora Duse”, dove gli allievi Enoch Marrella, Nicola Nicchi, Andrea Paolotti, Luca Sannino, Nicolò Scarparo, Maria Scorza, Pino Smiraglia, Marco Trebian, Carlo Zanotti, Dario Iubatti e Marco Palvetti, grazie alle loro capacità interpretative ed ottimamente coordinati dalla Rocca, hanno riproposto sulle tavole del teatro della Scuola la condizione senza via d'uscita di alcuni partigiani della Resistenza francese nella seconda guerra mondiale, divenuti prigionieri dei collaborazionisti e obbligati a 'scegliere' prima di morire.
Assistere a queste perfomances dei giovani dell’Accademia è sempre piacevole, perché il loro impegno è sicuramente al massimo delle loro possibilità. Da questa scuola negli ultimi tempi sono usciti Artisti del calibro di Emma Dante e Maria Paiato e parlo di due donne, perché in questo saggio chi scrive segnala il particolare impegno di Maria Scorza, unica rappresentante del sesso debole nel cast: la sua ‘Lucie’ rimane impressa per l’intensità interpretativa sia nei momenti di dolcezza sia in quelli altamente drammatici del lavoro di Sartre.
Il teatro dell’autore francese è teatro di situazione, dove la polis è il centro dell’azione e l’uomo quotidianamente deve trovare una propria modalità d’esistenza, affrontando la vita e i suoi diversi accadimenti.
«Il teatro, un tempo», spiega «era fatto di caratteri: si facevano comparire sulla scena personaggi più o meno complessi, ma interi, e la situazione non aveva altra funzione che di “mettere alle prese” quei caratteri, mostrando come ciascuno di essi venisse modificato dall’azione degli altri. Ho dimostrato altrove come sia necessario il teatro di situazioni.
Niente più caratteri: gli eroi sono altrettante libertà prese in trappola, come tutti noi. Quali sono le vie d’uscita? Ogni personaggio non sarà che la scelta di una via d’uscita e varrà la via d’uscita scelta in un certo senso, ogni situazione è una trappola da sorci: muri da ogni parte. La via d’uscita s’inventa. E ciascuno, inventando a propria scelta, inventa se stesso. L’uomo è da inventare giorno per giorno».
Sartre raccomanda un teatro dove si discutano le grandi questioni contemporanee, attraverso personaggi presi in situazioni limite, violente, la cui sfida è sempre la libertà, la responsabilità, il senso dell’esistenza, estremi predicati spesso in contraddizione con l'azione.
Morti senza sepoltura è la storia di sei partigiani che, catturati dai fascisti torturatori del regime francese di Vichy, cercano di scegliere una morte giusta, una morte che li salvi dal nulla. Lo fanno zizzagando tra il suicidio di uno di loro, l'uccisione barbara di un altro che, essendo il più giovane e più sprovveduto, può trasformarsi in un pericolo per i suoi compagni, la morte infine che li spazzerà via tutti.
Costretti a confrontarsi con se stessi e i propri ideali, dinanzi a loro, apparentemente, hanno una sola prospettiva: la morte, custode di ogni segreto. Ma il tempo dell’attesa, riempito da atroci torture, li rivela a loro stessi. Sapranno resistere o si arrenderanno alla violenza dei propri aguzzini? Ambientato nella Francia del 1944 durante il Regime di Vichy, per l’autore stesso la vicenda avrebbe potuto essere collocata durante la guerra di Spagna o in Cina, ovunque la tortura è utilizzata dai governi come strumento per estorcere informazioni utili alla lotta contro i dissidenti.
I personaggi dibattono una questione che ha tormentato la generazione sartriana – nata a inizio Novecento e ossessionata dai ricordi di guerra dei propri padri – “Come mi comporterei io dinanzi alla tortura, alla sofferenza fisica imposta?”. Ma in scena vive soprattutto quel particolare tipo di intimità che nasce tra torturatore e vittima e che supera ogni conflitto di principio. Oltrepassata la soglia della violenza bruta, infatti, la lotta per i propri ideali non conta più: ciascuno tocca invece con mano la propria vigliaccheria o le proprie ferite d’orgoglio.
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 18/12/2008)