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«Non può esistere cristianesimo senza la libertà individuale» 
L’intervista ad un gigante del cristianesimo: Eugen Drewermann
Eugen Drewermann
Eugen Drewermann 
05 Marzo 2006
 

«Non può esistere cristianesimo senza la libertà individuale», mentre la Chiesa di oggi sembra volere dal cattolico «superstizione, alienazione, arrendevolezza, dipendenza». Lo afferma in una lunga intervista al quindicinale tedesco di informazione religiosa Publik-Forum (n. 2/2006) il teologo tedesco Eugen Drewermann, scrittore e psicoterapeuta, che lo scorso dicembre, nel corso di un’intervista televisiva, ha annunciato di avere abbandonato la Chiesa cattolica.

Drewermann, che ha elaborato la sua teologia a partire dalla psicologia del profondo, è stato stato sospeso dall’insegnamento di Storia della Religione e Dogmatica presso la Facoltà cattolica dell’Università di Paderborn e dalla predicazione nel 1991, quindi è stato sospeso a divinis, nel 1992, dal vescovo di Paderborn.

Pubblichiamo di seguito l’intervista, in una traduzione dal tedesco curata dall'agenzia Adista.


Quali sono stati i motivi principali della sua uscita dalla Chiesa cattolica?

«Da quindici anni non potevo più insegnare, né esercitare il mio ministero sacerdotale. Avrei potuto ricevere un sacramento soltanto se avessi ritrattato ciò che per me è importante e l’avessi riconosciuto pubblicamente come peccato contro la retta dottrina. Ma ciò che agli occhi della Chiesa costituisce un peccato, per me è un requisito principale: tradurre il messaggio di Gesù in modo tale che entri in contatto con il disagio spirituale delle persone, che limiti gli aspetti disumani presenti nella vita pubblica e che operi a vantaggio del dialogo con le culture. Per me sono centrali anche il mantenimento della pace, la difesa dell’ambiente e degli animali. Il pacifismo, il vegetarianesimo e una relativizzazione dei diritti dell’Homo sapiens rispetto alla sopravvivenza degli animali non sono mai stati presi sul serio dalla Chiesa. Su nessuno di questi punti ho mai sentito la Chiesa cattolica realmente aperta al dialogo».


Con le sue richieste lei ha battuto la testa contro un muro?

«È grave la schizofrenia che il dogma ecclesiale provoca consapevolmente: che l’interpretazione della Bibbia e dei contenuti della fede cristiana non deve essere fatta a livello simbolico ma soltanto ideologico, nel senso di dogmi oggettivi o di fatti storici. L’illuminismo filosofico del XVIII secolo non ha ancora raggiunto fino ad oggi questa Chiesa, e nemmeno l’illuminismo psicologico. Solo sotto il pontificato di Giovanni Paolo II in Vaticano hanno avuto luogo 30.000 esorcismi. Come si può leggere il messaggio di Gesù in modo terapeutico, se la psicologia delle persone diventa una demonologia della carne? Così non si rende giustizia alla Bibbia e alla fede. Così resta soltanto una scelta: o credere in modo ingenuo e conforme al sistema, o scivolare in modo illuminato nell’incredulità. La sintesi di fede e pensiero che vivo come vincolante a partire dal messaggio di Gesù, e che dà forma a tutto il mio pensiero teologico, la vedo fondamentalmente tradita dalla Chiesa cattolica. Il filosofo Hegel diceva in proposito: Il cattolicesimo fa di Dio una cosa, possiede lo Spirito in modo non spirituale. È così!»


Lei è rimasto a lungo nella Chiesa...

«Formalmente sono stato anche questi quindici anni membro della Chiesa grazie alle persone che soffrono in questa Chiesa e per questa Chiesa. Sono stato dentro la Chiesa contro di essa. Ma non può vivere a lungo la propria fede chi sa che verrà condannato da questo sistema Chiesa. Non sono mai partito dall’idea che la Chiesa fosse riformabile, altrimenti avrei sperato che ci fosse uno spazio di tolleranza, in cui le persone potessero vivere con le loro difficoltà.


Questo significa che lei non è solo rassegnato, ma che si sente essenzialmente fallito in questa Chiesa?

«Ho sempre pensato che le richieste di Gesù si trovino in un rapporto grottesco rispetto al comportamento della Chiesa romana; che è un tradimento sostanziale il fatto che la questione di cosa sia la verità religiosa non venga messa in relazione con la vita delle persone, ma con il potere di preti, vescovi e cardinali. È un errore totale delegare la soggettività, che appartiene alla fede, semplicemente alla conformità oggettiva a determinate formule e riti della Chiesa. Dal punto di vista di Gesù, che cosa sarebbe tanto grave da provocare un fallimento? Tradire se stessi, la propria verità - Dio - è infinitamente più grave che non essere all’esterno vittoriosi. Il nostro compito è assumere la responsabilità per se stessi; ciò che esula da questo è nelle mani di Dio».


Si sente abbandonato dalle altre teologhe e dai teologi che hanno apprezzato o approvato il suo pensiero?

«In realtà questo non è stato un mio problema. Però della questione di Gesù non si può fare un motivo per dosare cattedre di insegnamento ecclesiali o statali retribuite, o posti di potere. La questione della vita non può essere ridotta a questioni di dottrina. È una totale deviazione. La dottrina diventa più importante della questione di come vivere. Gesù non ha voluto redigere alcuna nuova dogmatica, ma cambiare la nostra vita. Perciò io non sono mai stato "professore" di teologia. "Docente privato" era ancora ancora tollerabile. La teologia accademica si è tanto allontanata dal messaggio profetico di Gesù quanto la Chiesa a cui presta il suo servizio».


Lei ora è un teologo più libero?

«Lo sono sempre stato. Ma ora non voglio spiegare più questo sistema inumano in modo umano. Qui si vuole la superstizione, l’alienazione, l’arrendevolezza, la dipendenza. Ma la questione fondamentale non è: che cosa vuole il papa? La domanda fondamentale è che persone siamo e come ci trattiamo a vicenda».


E se ora la si accusa di un individualismo occulto e di aver rifiutato la sua comunità di fede?

«Penso che la comunità cominci nell’incontro con una persona reale e non con rappresentanti di interessi che scambiano Dio in modo arcaico con lo "spirito" o il demone del proprio gruppo di riferimento. Io ho sofferto molto nella Chiesa cattolica per il fatto che non fosse possibile parlare di persona con diversi rappresentanti ecclesiastici. I vincoli ideologici erano più importanti della testimonianza personale. In primo piano vi era sempre la questione del controllo. Per spiegare il Natale, bisogna credere per forza che Maria fosse biologicamente vergine? Io non credo! Si nega forse la resurrezione se si afferma che non è necessario credere in una tomba di Gesù fisicamente vuota? Io non credo! La Chiesa invece, ritenendo il contrario, riduce il messaggio a fatti storici nei quali la fede nel suo complesso in sostanza diventa insignificante. In questo, le immagini della Bibbia e i riti del cristianesimo hanno indubbiamente un notevole potere di attrarre e riunire persone. Ciò può avvenire soltanto nella libertà, nella consapevolezza della potenza significativa di questo simbolo, ma lontano da ogni tentativo di cristallizzazione vincolante di Dio in termini umani. Abbiamo bisogno di segni ma Dio è il punto di riferimento di tutto, e se non parla prima al cuore dell’individuo - come nella mistica - non vi è alcuna vera comunità».


Ciò significa che per lei la cosa fondamentale è l’incontro quotidiano e che lei ritiene la Chiesa superflua?

«La parabola di Gesù del Buon samaritano dice solo una cosa: segui il tuo cuore, che ti insegna ad avere compassione verso la persona in difficoltà. E smettila di correre dietro al prete che ti porta solo nel tempio. Dio non vive lì! La convinzione che Gesù abbia fondato una Chiesa è grottesca».


Che cosa dice lei a quanti vogliono riformare la Chiesa - come il movimento della Chiesa-popolo o l’iniziativa Chiesa dal basso, per esempio - e che per questo hanno contato anche su di lei?

«C’è stata solo una Riforma, quella del 1517. Tre anni dopo, il riformatore Lutero si recò alla Dieta di Worms e dichiarò: io sto qui come persona, e dico quello che vedo, penso, sento e credo. Punto! Così iniziano le riforme. Ma non organizzando maggioranze. Non vi è alcun cristianesimo senza la libertà della vita individuale! I movimenti di riforma, in tutto il tempo in cui sono esistiti, hanno mai raggiunto l’orecchio di chi volevano cambiare? No. Il mio problema è: nessuno può aspettare che un’autorità romana gli consenta o meno di vivere la sua vita. Che uno si debba separare o no o che sposi un’altra donna non può dipendere dalla capacità di comprensione di Roma. Deve saperlo da sé.


Molti agiscono già così, ma restano nella Chiesa...

«Questo accade a causa di un doppio standard. Ho comprensione per chi per esempio fa la comunione anche se ufficialmente non potrebbe. Ma per me non poteva essere una soluzione, perché ero un personaggio pubblico di questa Chiesa. In qualche modo dovevo prendere sul serio questo sistema Chiesa. L’ultima iniziativa, quella di uscire dalla Chiesa, è stata, se vuole, una notifica di pensionamento. Per ricevere la mia miserabile pensione, ho dovuto sottoscrivere una dichiarazione, in cui affermavo che non avrei mai più esercitato il mio sacerdozio. E così io adesso non dovrò mai più rappresentare ciò in cui non mi sento più rappresentato. Vorrei questa libertà per ciascuno».


La Chiesa evangelica non costituisce un’alternativa per lei?

«La Chiesa evangelica afferma molte cose che per me sono essenziali: sottolinea la libertà degli individui e ha trovato il modo giusto di leggere la Bibbia. E, soprattutto, conosce l’assoluta necessità della grazia per tutte le questioni di morale e di giustizia. Ma, come tutti sanno, Gesù non era né cattolicoprotestante. È tanto semplice essere membri di una istituzione; ma diventare cristiani è qualcos’altro».


Come vede i suoi progetti per il futuro?

«Continuerò a svolgere la mia attività di direttore spirituale libero, inoltre scriverò altri libri, in cui renderò conto delle mie esperienze e terrò conferenze. In estate uscirà un ponderoso volume sul rapporto tra neurologia e teologia».


E la sua situazione finanziaria?

«Per fortuna i libri mi fruttano abbastanza, quindi posso continuare a svolgere gratuitamente i colloqui di consulenza».


In una frase, il suo stato d’animo attuale…

«Mi sento bene e sono grato».


(da Ecumenici “Leonhard Ragaz”, 03/03/2006)


 
 
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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