La Pornotax, introdotta come misura meramente estetica nella Finanziaria 2006, entra in vigore con il decreto 185 del 29 novembre 2008 in materia di misure anticrisi. Un decreto in cui il ministro ai Beni Culturali dovrà dettare criteri per determinare cosa si debba intendere per materiale pornografico, ossia quello «in cui siano presenti immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti» e i cui proventi avranno un prelievo fiscale aggiuntivo del 25% e un aumento al 120% degli acconti da versare al fisco.
Questo provvedimento sarà nei fatti il vero salasso per Sky che, secondo stime di operatori del mercato, sempre smentite da Sky che però non ha mai fornito i dati, ricava un terzo dei suoi profitti, fino a 900 milioni di euro all'anno, proprio dai 26 canali porno della pay tv.
Un provvedimento che se non è mai entrato in vigore dalla Finanziaria del 2006 ha un'unica spiegazione, che fornì allora il viceministro all'Economia Giuseppe Vegas alla relatrice Daniela Santanché, paladina della misura: attenzione, è di difficile applicazione e rischia di aprire un contenzioso con l'Unione Europea.
Una tassa perbenista e bigotta che in nome dello scandalo, della decenza e della morale giustifica un aumento di tasse in nome del mercato. Tantomeno di quello europeo dove operatori dello stesso mercato pornografico si troverebbero ad essere in concorrenza sleale tra di loro rischiando di aprire possibili procedure di infrazioni. Ogni Stato membro Ue può tassare come crede i propri prodotti a condizione che non si crei una turbativa della libera concorrenza. Se quindi si tasseranno prodotti stranieri sarà la Commissione Europea a chiedere chiarimenti al Governo.
Donatella Poretti