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Nicola Falcinella: Intervista a Charles Burnett (su Obama) e piccola scheda sul suo cinema
Charles Burnett
Charles Burnett 
05 Dicembre 2008
 

Ottimista ma senza trascurare il razzismo profondo che potrebbe fare capolino nel segreto delle cabine elettorali. Così Charles Burnett, uno dei grandi esponenti del cinema afroamericano, sulle possibilità che Barack Obama diventi il primo nero presidente degli Stati Uniti. Non solo Spike Lee, ma, con John Singleton, Melvin e Mario Van Peebles e F. Gary Gray, c’è anche questo sessantaquattrenne energico, gentile e pacato poco noto in Italia (tra i suoi film Killer of Sheep, My Brother’s Wedding e To Sleep with Anger con Danny Glover) ma che negli anni ’60 e ’70 fu tra i protagonisti della nascita del cinema nero indipendente che reagiva ai luoghi comuni e ai pregiudizi proposti da Hollywood. Da allora, grazie al cinema, alla musica, alle arti, alla politica molta strada è stata fatta ma ci sono ancora insidie.

Ne abbiamo parlato con Burnett a Ginevra, dove il Festival “Tous Ecran” gli ha consegnato un premio alla carriera e dedicato un’importante retrospettiva.

 

«Esistono ancora persone che non voteranno Obama solo per il colore della sua pelle», ha detto il cineasta. «Preferiscono affidarsi a Sarah Palin che non ha alcuna esperienza o a John McCain che è come George W. Bush. In questi anni i repubblicani hanno convinto gli americani di essere costantemente minacciati e questo potrà pesare».

 

La comunità afroamericana sosterrà Obama?

 

«Sì, gli afroamericani voteranno Obama. Molti hanno già votato per corrispondenza, temendo che si ripetano anche questa volta i brogli legati al malfunzionamento delle macchinette per il voto. In alcuni stati i repubblicani hanno anche cercato di privare alcuni cittadini neri dei loro diritti elettorali perché i loro nomi si troverebbero sulle liste della polizia. Anche se i sondaggi dicono che Obama vincerà, alla fine ci sarà chi cambierà idea e voterà McCain».

 

Se vincerà Obama cosa succederà?

 

«L’elezione di Obama sarebbe una piccola rivoluzione non violenta. Sarebbe una tappa significativa nella storia degli Stati Uniti, così come la crisi finanziaria. Questi due avvenimenti insieme possono cambiare, spero in meglio, gli Usa e il mondo intero».

 

E se dovesse perdere a causa del razzismo a cui si riferiva ci saranno problemi?

 

«Se Obama perderà potranno esserci delle tensioni. Gli americani sono molto frustrati ora. L’economia va male e si stanno perdendo molti posti di lavoro. Non potremo più sostenere economicamente un’altra amministrazione che con un colpo di testa deciderà di partire per una nuova guerra. Ci sono persone che parlano di lasciare gli Usa nel caso vincesse McCain. Di certo il malcontento sarebbe diffuso».

 

Come si manifesta oggi questo razzismo e questo pregiudizio nei confronti dei neri?

 

«Faccio un esempio personale. Per molti anni ho girato film in modo indipendente con piccoli budget, poi per caso è successo di fare un film per la Disney, Nightjohn, che mi interessava perché parlava della schiavitù e alcune cose per la televisione. Bene, mi è capitato che una volta alla fine delle riprese mi dicessero: è stato un piacere lavorare con te, sei una persona gentile e paziente, invece noi credevamo che tu fossi una persona dura e arrabbiata. Questa è l’idea che avevano di me solo perché facevo film sulla comunità nera fuori da Hollywood. E di Obama ci sono ancora molti che si sorprendono che sia preparato o che parli così bene l’inglese!»

 

Nicola Falcinella

 

 

 

PICCOLA SCHEDA SUL CINEMA SUL CINEMA DI CHARLES BURNETT

 

Prima di Spike Lee, c’era un piccolo gruppo di cineasti che operava in California. Negli anni ’70, poco dopo il fenomeno della Blaxploitation, degli studenti dell’Ucla - Billy Woodberry, Haile Gerima, Julie Dash e Charles Burnett - aprirono un modo indipendente per il cinema afroamericano, la “Film Rebellion”. Tra questi un ruolo di spicco, come continuità, valore artistico delle opere e pluralità di compiti svolti (regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia), lo ebbe Burnett, emblema di una generazione di neri che non voleva più farsi ritrarre dai bianchi. Un paladino di un cinema coerente e nuovo, che, dalla metà degli anni ’90 in poi, si è diviso tra grande e piccolo schermo in modo paritario.

Nato nel 1944 nel Mississipi e cresciuto nel quartiere di Watts a Los Angeles, Burnett fu a metà anni ’60 tra i primi neri a studiare cinema all’università. Nel 1977 realizzò il suo primo lungometraggio, Killer of Sheep sulla dura e violenta vita di un macellaio nel quartiere. Un tranche de vie folgorante su Stan, cittadino “tipo” del ghetto: giovane, sposato, una figlia piccola e una propensione allo stare con gli amici e al sogno, se non fosse che lavora in un macello a sventrare bestiame. Burnett filma in un modo al tempo stesso documentaristico e lirico senza giudicare. Un affresco potente della vita nel quartiere, dove le settimane si ripetono uguali e non c’è via d’uscita.

Dopo Killer, Burnett firma la fotografia di Bush Mama di Haile Gerima e nell’83 realizza My Brother’s Wedding. I dilemmi gravi – partecipare al funerale del migliore amico o al matrimonio del fratello di cui sarebbe il testimone – non mancano al protagonista Pierce, che in pochi giorni è costretto a ripensare al suo posto nel mondo e alle sue priorità. Nell’84 Burnett è sceneggiatore e direttore della fotografia per Bless Their Little Hearts di Billy Woodberry, storia di un disoccupato alla ricerca di un lavoro.

Grazie alla presenza di Danny Glover come interprete, nelle vesti di un enigmatico vagabondo che dal sud va a Los Angeles a trovare un vecchio conoscente e la sua famiglia, produce nel ’90 To Sleep with Anger, l’altro suo capolavoro. L’uomo sovverte la routine dei quattro portando mistero e una componente di dolore e di magico, che ricorda il passato e le origini al nucleo familiare imborghesito.

Nel ’94 il suo quarto lungometraggio va in concorso al Festival di Locarno: è The Glass Shield, con Elliot Gould, Michael Boatman e Ice Cube, un dramma poliziesco carico di tensione sulla corruzione e il razzismo dentro il Los Angeles Police Department. A metà anni ’90 la carriera di Burnett si apre a lavori televisivi: The Wedding con Halle Berry per la serie “Ophra Winfrey Presents” che ha un buon successo nel ’96, Nightjohn con Beau Bridges e il documentario Dr. Endesha Ida Mae Holland su una prostituzione che arrivò al dottorato e divenne simbolo della lotta contro il razzismo. Nel ’99 gira la commedia interrazziale The Annihilation of Fish con Lynn Redgrave e James Earl Jones, poi torna alla tv per alcune serie e il documentario Nat Turner: A Troublesome Property dove appare anche il regista culto Ossie Davis. Davis torna con Ruby Dee, un’altra icona del cinema black, in Finding Buck McHenry sempre per la tv. Per la serie “The Blues” di Martin Scorsese racconta, in Warming by the Devil’s Fire, il blues degli anni ’20 e ’30 seguendo la traccia autobiografica del ritorno di un ragazzino nel profondo sud dei Robert Johnson e dei pionieri. Prima di tornare al cinema con Namibia: The Struggle for Liberation (2007), gira per la tv anche alcuni episodi di “American Family” e For Reel? nel 2003 e Relative Stranger, ora in postproduzione.

 

Nicola Falcinella


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