201.
è un perpetuo ordigno d’acqua marcia, un acrobata da guardare con lo sforzo della resistenza.
202.
le persiane hanno il colpo della rondine. le misure di un guizzo.
203.
dal pomeriggio alla notte il passo è brevissimo, di pozza in pozza con un canovaccio di sterpi.
204.
in un cantuccio di elemosine ho visto il senso, la premura cortese sul far del vero. nessuna tristezza, anzi, una raucedine di sorriso.
205.
accanto al più mansueto dei cipressi e nessuna noia
206.
truffa geniale sedersi in poltrona con il petto in pace
207.
quale un muso in punta di pesticida, sto attenta a non somigliarmi troppo
208.
in un mucchio di vapori ho chiuso l'indice: tutto s'intuisce senza leggere il contenuto, questo vuol dire che è tutto riuscito
209.
queste, mi dite, le ultime sembianze di un cuore curvo.
210.
in un mazzo di crisantemi ho visto nascite di api, mieli sfacciati, timbri intonsi, palloncini al polso
211.
le torri innamorate di rondini e pipistrelli
212.
il dolore è l'equivalente di una lente d'ingrandimento: il corpo è tutto nell'arrossamento degli occhi, nel fiato in gola del petto a tamburo, nell'insonnia e nella drammaturgia del canto a bocca chiusa.
213.
c'è stato un giorno in cui la divisione fu la saetta del male, il controllo assoluto da parte della fine che oggi mi tocca sopportare e portare a compimento.
214.
si parla di due cose diverse e si crede d'intendersi, una logica dell'ingenuità questo scarto che dà inganno o solo creduta voglia di comunicare verso un intendersi che in un cristallo è il vuoto e la luce un lampo di fosfeni.
215.
e poi è qui che ci si stordisce per poter sopportare la curva del lacrimare, la sciatta scempiaggine del vero.
216.
da ragazzina si giocava ai banditi e facilmente si fingeva di morire, da adulta sono stata bandita e duramente l'opacità del vero
217.
il disadorno è davvero l'affascinante, mai sciatto davvero parlante, dicente quasi benedicente in un angolo, in una crosta di formaggio che non avrà morte né noia mai
218.
molti palazzi sono tumefatti, partigiani resistono alle intemperie.
219.
in una sciatteria di condanna i libri del disavanzo. a testa bassa, in ascensore, guardo le scarpe. nulla s’impara nulla si può insegnare. con le marette infelici nella vasca da bagno ho chiuso la giornata.
220.
dalla finestra la furia del mare invernale, penzoloni le lanterne del lungomare le stracche luci con alone e gocce hanno l’affanno della perplessità dell'ultimo pescatore, il torto del fulcro di notte quando un pendolo stordisce nell’eco del vuoto
221.
nel semolino della sera mio padre cesurava la furia della morte. i peli bianchi della barba tremolavano sotto il peso del boccone liquido. per un po’ la tregua guarniva il ruzzolone nella notte.
222.
la riva sul crepuscolo del logico
foto del senso, foto del segno
223.
i non-luoghi non portano amore ma sorprese di sopportazione. si guardano le merci come cosette d'anima.
224.
in un boccale di birra l'arenile del bello, il cosmetico miracoloso al pari delle docce collettive o del silenzio.
225.
il rimorso asperrimo di una natalità sgarbata, sbadata in un angolo di terz'ordine, in sordina dietro l'angolo di un circo.
226.
con la norma del cortocircuito sto nell'infernetto odierno della milizia dello stento
227.
ho riammesso il bendaggio sulle ortiche, non voglio più toccare terreno né nominare.
228.
le curve acidule del tempo, questo gomitolo di gomiti dove l'occhio nero del boxer è la bellezza, la normalità accerchiate del letto sfatto o fatto.
229.
con uno scambio di occhiate tutta la capienza del mondo si fa esaurita.
230.
chiamami col calcio del fucile, rendimi impossibile
231.
il rumore della moto è la prepotenza di un esistere senza udito
232.
la contaminazione della smorfia di dolore in tutta l'aria attorno e dopo e prima e per sempre. nulla sarà bazzecola, una maculetta sul lapidario del finito l'immenso dolore immenso
233.
su quale arcano finirà la voce passata per le armi?
234.
un sillabario di rovine questo stordire di vino in palio al nulla di capirci niente
235.
le donne stanno dritte e monocordi verso il sistema che le dà per vinte
235.
al call center, in fila in fila, teste che compiangono la nascita
236.
era un portento da figurare in gioco
237.
con un chiavistello d'inedia ho tratto il tratto
238.
quale intuito apporrà manopole al dislivello del giorno?
239.
in uno scenario di vento ho appeso l'abaco
contratto sotto il peso dell'aria forte
240.
con un commiato latente si sprigiona il sole
241.
con le nocche perdenti non osa bussare presso la porta dell'ultima casa
242.
la lancinante apatia chiude la salute in un post-it che si scolla e che ricordava di comprare il detersivo per gli indumenti di lana. il telecomando ha la polvere così come la tastiera del pc. la tana non basta più ad arginare la pena, la noia morde, le lamentele tolgono lo sterno dal petto in un buco di voragine.
243.
in un lettino di figlio ho visto il mondo
dotarsi di comandi di forca.
244.
la giovinezza succede in un far di straccio
un vellutello sgualcito alla nomea del tempo.
245.
in un giaciglio di cornucopie ho spinto il sonno ben sistemando le bisacce del ritorno per le calamitose enfasi di chi conosce il vero: sacchetti di sabbia l’anfiteatro tutto intorno
246.
in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a farsi dominante così da poter sbattere le coperte in piena pace dal balcone.
247.
le rivalità dell'ombra giochicchiano imbattute
248.
con il limite degli occhi ci guardiamo in cagnesco
249.
con una biglia so giocare come fosse un anfiteatro
250.
col mento nella fossa sento piangere
Marina Pizzi