Un'esplosione nel deserto puntinato di cactus e cespugli, ai piedi di scabre rocce, inutili residui di un passato remotissimo, sotto un cielo ventoso e dolente. Una roulotte abbandonata che prende fuoco. Un fuoco che divampa impietoso, (im)purificatore. La pioggia che riga come lacrime i vetri dell'anima. L'oceano che mugghia possente sbattendo contro impervie scogliere. Una bellissima donna che si strugge nel ricordo di un passato tormentoso e per dimenticare, e dimenticarsi, si dà a ogni primo venuto. The burning plain (in italiano Il confine della solitudine) è l'opera d'esordio alla regia di Guillermo Arriaga (nella foto, con la locandina dell'edizione italiana, ndr), già sceneggiatore di fama (premiato con l'Oscar per Babel e 21 grammi. Il peso dell'anima). Ancora, una figlia da un amore clandestino e osteggiato, abbandonata in fasce. Poi, quando tutto sembra consolidato o quando tutto precipita senza tregua, un nuovo incontro con il vecchio amore. L'amore come araba fenice. Lieto fine? Forse. Solo apparente.
Un cupo – nonostante i cieli di Messico e Nuovo Messico, ma a far da contraltare c'è una plumbea Portland: i paesaggi come stati d'animo – drammone familiare tutto a flashback e ritorni improvvisi, violenti al presente. Un amore nascosto e fuorilegge che arderà, metaforicamente e non solo, per trascinare due famiglie nella rovina, ma l'amore ha viste illimitate, praterie sterminate, dove ci si può ritrovare senza volerlo o volendolo contro ogni luogo comune, contro ogni barriera, contro ogni insulto o straziante graffio della memoria, contro ogni scelta sbagliata.
Charlize Theron con il passare del tempo diviene sempre più bella e più brava. Coprotagonista del film e produttrice esecutiva, la Theron interpreta la sofferente Sylvia, figlia e sorella-madre, adolescente-amante e madre-bambina, amante disperata, donna e madre, in fuga perenne da se stessa e dai propri ricordi, ma costretta a fare i conti inaspettatamente con ciò che ha fatto, e soprattutto, lasciato. Una dichiarazione di Charlize-Sylvia al riguardo: «A un certo punto della vita ognuno di noi è costretto ad affrontare i propri demoni e la realtà. Questa è la vera differenza tra noi e gli altri animali: noi riusciamo a superare l'istinto naturale che porta gli animali a proteggersi e difendersi sempre dal dolore evitando di affrontarlo».
Strepitosa anche l'interpretazione di Kim Basinger-Gina, moglie confusa e martire di passione. Per l'ex sex symbol di Nove settimane e mezzo una prova di enorme spessore artistico, in una parte non facile, quella della donna fedifraga e pure pura. Una donna reduce dal cancro, mutilata e ancora colma di passione. Il suo abbandono sentimentale darà il via a una tragedia senza pari. Nel fumo che sale nel cielo spoglio, atemporale, feroce e tenero del Nuovo Messico.
«Come è possibile che una cosa così bella come due persone che fanno l'amore possa ostacolare l'amore di altri personaggi? Questo è uno dei grandi misteri romantici e essere in grado di esplorarlo anche solo per un po' attraverso il cinema è un dono che non dimenticherò mai», ha spiegato Arriaga.
Dalle incontrollate pulsioni d'amore alla morte il passo sovente è breve, ma anche il passaggio dalla morte all'amore, come il fiore che nasce dalla polvere, dalla feccia e dall'arida sabbia. Il maledetto genere umano, cacciato dall'Eden, ha pur sempre un cromosoma divino.
Alberto Figliolia