Il 4 novembre del 2008 è una data simbolo. In Italia la politica guardava all'indietro: i nostri governanti erano impegnati nelle celebrazioni della “vittoria” di una guerra di novant'anni fa. Esaltavano l'unità d'Italia del 1918, onoravano gli “eroi” combattenti contro l'impero austro-ungarico, festeggiavano le Forze Armate mistificando la storia. Quello stesso giorno l'America guardava avanti, al futuro, voltava pagina, eleggeva un Presidente nero che ai 240.000 sostenitori che affollavano il Grant Park di Chicago per festeggiarlo, si è presentato dicendo «Il cambiamento è arrivato». Due istantanee che ben rappresentano la realtà di due paesi mai così diversi e lontani.
Barack Hussein Obama è il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d'America, figlio di una bianca (del Kansas) e di un nero (del Kenia), cresciuto lontano dai centri di poteri. Di se stesso ha detto: «Ho rinunciato al prestigio di grandi studi legali per fare l'organizzatore di una comunità di chiese, per ottenere giustizia in nome dei più deboli; ho lasciato Wall Street per dedicarmi alla formazione di chi non aveva un lavoro e per aiutare i ragazzi di strada di Chicago. Mi sono candidato non per soddisfare un'ambizione personale, ma per quella che Martin Luther King chiamava “la feroce urgenza dell'adesso”». Al di là di quello che potrà e saprà fare realmente nei prossimi quattro anni, ciò che ora ci interessa di Barack Obama è come sia riuscito a mettere in campo tante speranze e mobilitare tante energie positive. Nella sua campagna elettorale Obama ha attivato milioni di persone che non si erano mai interessate alla politica.
Otto milioni di volontari, organizzati in 35.000 gruppi locali, 30.000 eventi, raduni negli stadi con 20.000 persone, che donavano ciascuno pochi dollari. Giovani e giovanissimi si sono fatti parte attiva: “Bush ci ha rubato l'America, questa campagna elettorale è l'occasione per riprendercela”. L'elemento più interessante è stato certamente l'utilizzo di internet: il sito ufficiale della campagna di Obama invitava i visitatori a diventare qualcosa di più che osservatori esterni, finanziatori, elettori, o semplici tifosi: proponeva di partecipare ad un evento nella propria città; organizzare in casa propria una piccola raccolta di fondi; aprire un blog in cui condividere pensieri e riflessioni; raggiungere via mail i comitati volontari sparsi in tutta America; offriva strumenti pratici per agevolare l'attività dei volontari, la possibilità di telefonare agli indecisi e di mettersi in contatto con altri volontari. Internet è stata utilizzata non per sostituirsi ai rapporti umani, ma per favorirli, rafforzali, facilitarli, annullando le immense distanze americane.
Ora che Obama è stato eletto non è pensabile che questo gigantesco movimento si sciolga. È più probabile che si costituiscano tanti gruppi indipendenti sempre pronti a ricordare al presidente le promesse fatte. In questi mesi i milioni di sostenitori hanno discusso molto fra di loro, di sanità, di scuola, di energie alternative, di occupazione, di pace, di diritti umani e civili. «Il nostro obiettivo», è scritto su un loro blog, «non è mai stato solo quello di far eleggere Obama, ma soprattutto di creare una nuova generazione di americani che riscoprano il valore dell'impegno civile».
Sono molte le aspettative e le sfide che attendono la nuova amministrazione americana. Per quanto riguarda la politica estera ci auguriamo che una svolta avvenga davvero nel rispetto reale dei diritti umani, che il ritiro dall'Iraq sia veloce e indolore e che sia posta fine anche alla sanguinosa guerra in Afghanistan. Ma il banco di prova del profondo cambiamento di cui il mondo intero ha bisogno, è quello dell'economia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti dovrà incoraggiare i suoi consiglieri ad immaginare una rivoluzione teorica dell'economia. È urgente un cambiamento radicale dell'economia, altrimenti nel 2050 le risorse fondamentali, a partire dall'acqua, scarseggeranno per tutti. L'obiettivo non dovrà più essere la crescita infinita, ma la salvaguardia dell'ambiente e la giustizia sociale.
Bisogna salvare il mondo dalle tragiche conseguenze dello sfruttamento che ha distrutto più ricchezze di quante ne ha create.
La sera dell'elezione di Barack Obama abbiamo visto ragazzi e ragazze bianchi e neri, commossi e felici. In mezzo a loro c'era anche il reverendo Jesse Jackson, leader afroamericano collaboratore di Martin Luther King. Era presente a Memphis quando King fu assassinato e pianse di disperazione. C'era anche a Chicago la sera dell'elezione di Obama e l'abbiamo visto piangere di gioia. Quelle lacrime siano l'auspicio di un buon 2009, per tutti.
Mao Valpiana
(da Azione nonviolenta, dicembre 2008)