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Moonisa: altre notizie dal fronte nigeriano. 
Plateau State: protetti da chi, per prevenire la mattanza, ha l’ordine di servirsi della mattanza stessa
02 Dicembre 2008
 

I titoli con cui i giornali nigeriani annunciavano la rabbia e la furia omicida, esplosa in Jos venerdì 28 novembre 2008, parlano di una Nigeria abituata a simili notizie allarmanti e terribili. Il modo di riportare gli eventi era diverso, ma i titoli convergevano su un: JOS BOILS AGAIN a caratteri cubitali. Lunedì 1 dicembre i giornali locali titolavano, in minuscolo: 200 confirmed dead. Ciò la dice lunga sull’anamnesi remota, immediata e futura dei tragici eventi (da parte di chi racchiude nell’inconscio, più che nella consapevolezza reale, nozioni-cultura decodificanti assenti nell’inconscio collettivo di gente estranea alle dimensioni-lupus in fabula).

 

Le testate occidentali avrebbero titolato zummando su ‘tragedia’/ ‘dramma’/ ’morte’/ ‘orrore’ e ‘terrore’ e avrebbero speso pagine e pagine per le foto spaventose dei cadaveri riversi nella polvere, ammonticchiati ai bordi delle strade o carbonizzati. I giornalisti locali si sono attivati, per fare una cronaca asettica, ridotta al minimo indispensabile (priva di critica-commento-interpretazione), limitata alle dichiarazioni ufficiali reperite in loco o per telefono e assolutamente priva di parte iconografica. Le sole foto riportate (1° dicembre) sono quelle delle truppe militari, riprese sotto il Nigerian Air Force Charlie jet NAF 913, prima che venissero ‘airlifted’ da Kaduna a Jos. Tutte le componenti governative della nazione si stanno dando la mano, per tenere la situazione sotto controllo, e, a tale scopo, cercano di ridurre i danni, sminuendo la tragicità degli eventi (e ‘arrotondando’ il numero dei morti, onde ‘ammansirne’ gli effetti-rebound).

La verità è stata rimpicciolita, di proposito. I giornali hanno parlato di morti, ma non ne hanno citato mai il numero giusto. Hanno parlato prima di 20 morti, poi di 50; qualcuno di essi si è spinto a ipotizzarne 300, ma poi tutti si sono accordati su 200. Martedì 2 Dicembre, qualche giornale comincia a parlare di 500 morti. La verità sta ancora da qualche altra parte ed è terribile pensare alla vita umana in termini così spaventosamente annichilenti…

 

Non è stato possibile secretare completamente le notizie dei riots di Jos, a causa dei notiziari stranieri, ma il governo nigeriano, se avesse potuto, avrebbe tenuto la cosa sotto silenzio e… io, che sempre mi scaglio contro chi depriva la gente del diritto ‘a sapere’, comincio a capire che la mancata diffusione delle notizie ha una base di saggezza, perché i vari Stati nigeriani confinanti sono come ‘pentole’ i cui fuochi individuali lancino lingue di fiamma gli uni verso gli altri. Ciò che è accaduto in Jos, infatti, è trapelato, per cause di forza maggiore (perché migliaia di Hausa e di gruppi etnici, che i giornali locali definiscono di northern nationalities -come se fossero di altre ‘nazioni’-, si sono spostati in massa, per sfuggire al massacro e perché i notiziari stranieri hanno mostrato le immagini dei cadaveri ammonticchiati nella moschea di Mosalachin Jumma e ai bordi delle strade). Il risultato è stato un immediato aumento della ‘pressione’ in altre città e altri Stati (vedi, per esempio, Onitsha e l’Anambra State). Il governatore dell’Abia State, Teodore Orji, che era in Awka, per le votazioni dell’Ohaneze, è tornato a rotta di collo a casa, per prevenire ed eventualmente contenere l’espandersi delle mattanze e della distruzione indiscriminate. La principale preoccupazione di tutti i governatori è veicolare ai vari gruppi etnici un messaggio ben preciso: “È soltanto una disputa elettorale! Non è una crisi etnica!” Sperano, così, di evitare un’escalation spaventosa della violenza sanguinaria. Il governatore Orji ha rilasciato alla stampa questa dichiarazione: «There is tension in Aba and Umuahia now. We are not happy about what happened in Jos. It was strictly an election matter and nobody should make it look like an ethnic crisis. We are concerned and we hope it will not escalate. Right now, members of the northern community are running to us for protection. We have to do something about it. (C’è tensione in Aba e Umuahia ora. Non siamo contenti di ciò che è accaduto in Jos. È stato solo un problema elettorale e nessuno dovrebbe farlo sembrare una crisi etnica. Siamo preoccupati e speriamo che non ci sia un’escalation. Al momento, membri della comunità del Nord corrono da noi in cerca di protezione. Dobbiamo fare qualcosa)». Chi vive in Awka, la capitale dell’Anambra State, e che ha madri, figli, fratelli, in Jos, fa appello al governatore locale di fare qualcosa, per proteggere i loro cari che, in Jos, hanno perso tutto ciò che avevano.

 

Il seguito di questa storia è che Le scuole hanno anticipato la scadenza di chiusura e hanno rispedito gli studenti a casa. Gli studenti prigionieri nell’università di Jos, con la protezione militare, sono ormai tutti in viaggio verso le proprie case. I soldati della prima divisione dell’esercito nigeriano hanno, invece, lasciato le loro case, per raggiungere quella destinazione troublesome della loro nazione. Il Maggiore-Generale Moses Obi ha indirizzato, nella base NAF di Kaduna, alle 140 truppe in partenza, un discorso nel quale dava loro informazioni necessarie circa i superiori temporanei di riferimento e prometteva un ritorno a casa in tempi incoraggianti. Ciò che vale la pena di citare, di quel discorso, è la parte in cui egli dice: «You are going for your normal internal security duty. I don’t want to hear you brutalize any civilian. You are performing your constitutional duty. You must realise that you must protect lives and property. (Andrete là per il vostro normale servizio di sicurezza interna. Non voglio sentire che brutalizziate qualche civile. State facendo soltanto il vostro dovere costituzionale. Dovete rendervi conto che è vostro dovere proteggere le vite e le proprietà.

 

Confesso che quelle parole sono davvero un conforto in un quadro che appare alquanto nebuloso (e mi fanno venir voglia di ringraziare chi le ha pronunciate e di sperare che chi le ha udite abbia anche voglia di ascoltarle). L’ottica con cui l’esercito è stato mandato là, in ogni caso, fa ben sperare ed è tutto racchiuso nelle parole del Colonnello Mohammed Yerima: «As you are all aware of the current situation in Jos, we in the One Division are just supporting, with two companies of soldiers, to aid the civil authorities. (Tutti siete consapevoli della situazione attuale in Jos, noi della Divisione Uno stiamo giusto dando una mano, con due compagnie, per aiutare le autorità civili)» e ancora: «The Police are there but they are not sufficient in number and the government felt the military should come in and assist, which is a normal thing. (Ci sono i poliziotti, ma non sono sufficienti in numero e il governo ha ritenuto che l’esercito dovesse assisterli, il che è normale.

Queste parole sono altrettante rassicurazioni importanti, perché i superiori non hanno ‘pompato’ i soldati circa la situazione a rischio e li hanno messi nell’ottica di pattugliare la zona con attenzione e disciplina e di collaborare con la polizia, senza l’aggiuntiva aggressività che, per il luogo già ‘dolorante’, sarebbe davvero troppo.

Il problema, però, è che il governatore del Plateau State ha dato ai soldati uno shoot-on-sight order (l’ordine di sparare a vista). Il governatore Jang, oltre a dare all’esercito questo ordine, ha ‘consigliato’ ai residenti di all vulnerable areas di non uscire. Il ‘consiglio’ è: «Stay indoors, as security operatives may not be able to distinguish peaceful residents from hoodlums. (State al chiuso, perché il personale di sicurezza potrebbe non essere in grado di distinguere i pacifici residenti dai teppisti. Non uscite, in altre parole, perché i militari ‘prima sparano e poi fanno domande’ a chi è già morto. Ciò mette in fuga la serenità ricevuta dalla parole del Maggiore-generale Obi e del Colonnello Yerima. Il periodo militarizzato è il peggiore di ogni rivolta e rappresenta l’ora cruciale dell’ingiustizia e di una svalutazione della vita umana che va oltre ogni commento possibile. Non c’è giustizia per i poveri e, ciò che è peggio, non c’è speranza. Sono morti, in Jos, a centinaia. Sono caduti come le mosche sotto i colpi di fucile e di machete. Sono stati trasportati negli ospedali e ammonticchiati come legna secca e inutile e sono fuggiti in mille direzioni, come gazzelle cacciate e macellate senza pietà. Sono 'protetti' ora da chi, per prevenire il riesplodere della mattanza, ha l’ordine di servirsi della mattanza stessa. Nessuno saprà mai quanta gente cadrà per mano della ‘legge’, là dove a parlare sono le armi e a cadere sono i poveri più poveri, quelli che pesano meno di tutti sulla bilancia nazionale e mondiale. Questa è l’ora più cruciale, perché l’ira dei poveri, che ha infiammato i cuori e rispolverato i machete delle guerre tribali, nulla può contro il potere precostituito e non può che soccombere. All the better, pensano i politici, poiché contenere determinati fenomeni e impedire loro di allargarsi a macchia d’olio e di trasformare l’iniziale guerra etnico-tribale in una vera e propria guerra allargata all’intera nazione, è cosa tutt’altro che semplice e scontata. I security agents, avevano, entro domenica, arrestato 1500 persone collegate ai riots scoppiati venerdì. I morti portati all’Ospedale universitario di Jos, all’Ospedale specialistico del Plateau, all’Ospedale ECWA e ammonticchiati nella moschea Mosalachin Jumma (in numero 'estimated' -vale a dire: ipotizzato- da 20 a 50, a 200, a 300, a 500) ora sono, auspicabilmente, sepolti. Sono sicura che nessuno potrà appurare la verità ‘vera’ sul numero reale, perché le fonti ufficiali devono far di tutto per non allarmare la popolazione e non incoraggiare il ripetersi del tragico evento altrove o nello stesso luogo e perché l’area del fenomeno è così vasta che non è stata raggiunta capillarmente dai furgoni della polizia. Sono convinta che molti siano i corpi rimasti insepolti e le ‘sparizioni’ di cui la popolazione potrà rendersi conto soltanto con il passare del tempo. La situazione ora è sotto controllo, ma soltanto perché l’esercito invade e pattuglia le strade, sparando su tutto ciò che si muova. Il vero controllo (quello della consapevolezza popolare) giungerà molto in là e non avrà che episodi separati di storie tristi e tragiche da raccontare. Il direttore delle relazioni con la stampa ha detto: «The government is on top of the situation, as governor Jang has ordered security men to shoot-on-sight to forestall the crisis from escalating». Il governo ha la situazione in pugno, perché i militari hanno l’ordine di sparare a vista!

 

È una ben triste consapevolezza… Sospetto anche che i ‘rivoltosi’ arrestati altro non siano che miserabili beccati a rubare. La stampa locale dice, infatti, che coloro che vengono arrestati sono quelli colti con della refurtiva. Questa è un’altra notizia poco rassicurante e molto triste, in verità, perché ritengo che soltanto la gente della classe media possa essere raggiunta dai comunicati radio e televisivi, che la gente di strada nulla abbia saputo delle ‘istruzioni’ del governatore, che la maggior parte dei poveri non sia stata in grado di resistere alla tentazione di attingere al ben di Dio (lasciato incustodito e già in parte saccheggiato) dei negozi sfasciati e che la zampa leonina delle forze militari possa cadere (come sempre) soltanto sui più derelitti della terra. Il gran dispiego di forze, che deve servire a scoraggiare nuove sommosse, è notevole: truppe governative dell’esercito nigeriano sono state spostate domenica 30 novembre dal confinante Kaduna State (l’altro Stato cristiano a rischio e sempre sotto ‘osservazione’) a Jos; forze militari sono affluite da altri Stati confinanti (Benue, Nasarawa, Abuja e persino Ciad e Niger); molti mercenari, con la divisa dell’esercito, sono stati chiamati da Bauchi, Gombe e Kano. Uno schieramento di forze così impressionante è giustificato dalla mattanza che si è consumata e dalla furia distruttrice che ha incendiato e raso al suolo chiese, moschee e case in varie località (Sarkin Mangu, Abbatoir, Katako, Angwan Rimi, Ali Kazaure, Eto Baba, Bauchi road, Apata, Kabong, Jenta Adamu, Jenta Mangoro, Kwarafa, Zaria road, Congo Russia, Tudun Wada, Angwan Rogo) e, soprattuto, dal rischio che “l’infezione” si propaghi e divenga incontenibile. ‘Ronde’ assortite di Polizia, Esercito e personale dell’Aviazione effettuano blocchi stradali, (in Jos e dintorni, Bukuru e dintorni) e controllano e perquisiscono la gente in uscita o in entrata. Il governatore Jang ha fatto il giro delle zone devastate e il senatore della zona senatoriale Plateau North, Gyang Dantong, si è recato da Abuja al Jos Teaching University Hospital, dove il personale lotta per salvare la vita alla gente ferita e orribilmente sfigurata.

 

La terribile mattanza appare già lontana e si tende a farla dimenticare alla gente, ma c’è ancora chi rimugina e borbotta sugli venti e sulle loro cause, pur senza essere cosciente del fatto che qualcuno ha gettato benzina sul fuoco occasionale elettorale e ha rinfocolato odi e differenze etniche mai sopiti. L’All Nigeria Peoples Party (ANPP) ha sospettato brogli elettorali e piani eversivi preorganizzati (e ne ha circostanziato i sospetti), il Peoples Democratic Party (PDP), dal canto suo, ha incassato la vincita (in sedici delle diciassette circoscrizioni). La vittoria di detto partito è stata decretata ancor prima che lo spoglio venisse completato. L’ex governatore del Plateau State, Mr Joshua Darye, ha avuto per l’attuale governatore, Mr Jonah Jang, parole durissime e accusatorie: «This is a failure of governance, the desperate and callous move by the government to deny the people their right to choose their leaders. A government who has elevated tribal agenda to state policy has lost the moral ground to lead. (Questo è un fallimento di governo, la disperata e incallita mossa del governo di negare alla gente il diritto a scegliersi i propri leader. Un governo che ha elevato le esigenze tribali al rango di politica ha perduto il terreno morale per stare alla guida)». Egli ha poi invocato il governo federale, come unica soluzione del breakdown of law e come solo contrafforte per il ritorno all’ordine. Ha espresso la sua solidarietà alle famiglie dei molti morti e ha lanciato un appello alla calma e al restraint, ma ha, soprattutto, teso ancora e ancora il dito accusatore contro l’amministrazione Jang: «The creation of development areas districts and chiefdoms, especially in Jos, by the Darye administration achieved the desired result of a sense of belonging and peaceful co-existence. Their dissolution by the Jang administration, without any option, created negative effects. (La creazione di aree di sviluppo e capi zonali, specialmente in Jos, realizzata dall’amministrazione Darye aveva raggiunto il voluto risultato di un senso di appartenenza e di pacifica co-esistenza. La loro eliminazione da parte dell’amministrazione Jang, senza alternative, ha creato effetti negativi)». Le sue parole, benché interessate, hanno un senso, non suonano avulse da saggezza e sembrano essere le sole linee-guida senza bavaglio di tutta la faccenda, nella quale, i politici importanti non si sono esposti e il governo locale ha saputo soltanto dare all’esercito ‘licenza di uccidere’. Mr Darye ha anche chiesto al governo centrale di annullare l’esito delle votazioni e bene avrebbe fatto il presidente Yar’adua a dargli retta, poiché quelle elezioni sono chiaramente la prova che chi, per comandare, usa la prepotenza, l’ingiustizia e la violenza, la fa sempre franca. Provo ammirazione e stima per Mr Darye, quanto meno per il suo coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di non trincerarsi dietro la paura di esporsi, come fa la maggior parte delle persone in vista. Il senatore John Shagaya, per esempio, ha saputo soltanto dire che l’accaduto era ‘unfortunate’ e che lui non era stato ‘fully briefed’ per esprimere un’opinione. Il governatore Jang, intanto, avrebbe avuto il coraggio di celebrare solennemente, sui cadaveri e sul sangue, in Jos, il giuramento dei nuovi eletti (che aveva fissato per lunedì), se il presidente federale (consapevole della miccia esplosiva che tale provocazione avrebbe riacceso) non avesse preso in mano il telefono e non gli avesse intimato perentoriamente di chiudere quella sua insana idea in cantina! Vorrei che il presidente avesse fatto di più, ma mi accontento di questo, per ora, e spero che, in futuro, egli faccia qualcosa di eclatante per far rispettare le leggi (che, in Nigeria, esistono e sono ‘buone’ -il problema è come vengono interpretate-applicate-ignorate-smantellate). È notizia certa che the State Indipendent Electoral Commission (SIEC) ha annunciato i risultati del Thursday local council polls e a me pare altrettanto certo che quell’annuncio sia la somma di irregolarità gravi e che tra quei risultati e le prospezioni reali debba trovarsi il precipizio-dicotomia che fa da sarcofago al sangue versato e alle vite perdute nel Plateau State. Il presidente di detta commissione, Gabriel Zi, ha detto che il candidato del PDP, Timothy Buba, fratello dell’ex boss della dogana, avrebbe vinto con 92.907 voti e che al candidato dell’ANPP, Aminu Baba, sarebbero andati 72.980 voti. L’Action Congress sarebbe arrivato terzo, con 2.459 voti. In Bokkos, il PDP avrebbe preso 18.259 voti e avrebbe sconfitto di poco il partito minoritario AC, che ne ha preso 18.034. I risultati da Langtang North non erano ancora arrivati e la vittoria del PDP era già stata annunciata. L’ANPP racconta un’altra verità (di cui ho parlato nell’articolo precedente), che, oggi, scopro confermata e che dà ai fatti sanguinosi una nuova doppia lettura: mentre i sostenitori dell’ANPP scendevano per strada, alle cinque e mezza del mattino, al collation center, in Gada Biju, dove si contavano i voti, i rappresentanti elettorali si sono rifiutati di comunicare i risultati, quando hanno visto che vinceva l’ANPP. Sono nati litigi tra agenti di partito e ufficiali elettorali e la cosa è trapelata all’esterno pattugliato da giovani intenzionati a proteggere la veridicità del risultato elettorale. La polizia ha subodorato movimento e ha lanciato gas lacrimogeni. I giovani hanno rifiutato di disperdersi e hanno reagito lanciando sassi. La polizia ha sparato e il primo sangue è stato versato. La terribile mattanza tistemente nota ha avuto, perciò, due focolai iniziali e questo è uno di essi.

 

I fatti contingenti affondano le loro radici in cause complessamente stratificate nella storia etnica e socio-ambientale. I modi di rapportarsi ai fatti e di leggervi dentro la verità sono infiniti. Le verità raccontate sono tante quante sono le facce di coloro che credono in esse o che fanno di tutto perché altri vi credano, ma ciò che mi dà un brivido poco rassicurante è la mentalità del popolo che non viene intervistato dai giornali e che è il termometro reale di ciò che davvero ‘bolle in pentola’, per dirla con la terminologia dei Media locali. Ho domandato in giro, ai semplici, gli ultimi della catena sociale, che cosa pensino di ciò che è accaduto a Jos. Le risposte sono state davvero complesse e, sì, poco rassicuranti, perché supportate dall’anamnesi storica e geografica dello Stato Federale. Tutti sanno che la Nigeria è un calderone di identità etniche e culturali infinite, riunite dagli Inglesi sotto il nome Nigeria, che, in effetti, è soltanto una realtà simbolica (una grande bandiera che, a seconda dei vari angoli della nazione, rispecchia le identità tribali e culturali infinite della parte di popolo che è ancora lo zoccolo duro dei vari Stati e dello Stato federale). Ecco che cosa pensano della mattanza di Jos manovali e artigiani: – Il problema sono gli Hausa, come sempre.

Gli Hausa sono una stirpe guerriera e prepotente come quella afghana. Hanno più mogli e centinaia di figli, di cui non si curano. Si moltiplicano e si estendono e, se commetti l’errore di dare alloggio a uno di loro, in una angolo della tua proprietà, puoi star certo che domani reclamerà tutta la tua proprietà come sua e la porterà via ai tuoi figli.

Ogni Hausa ama dominare la zona in cui va a vivere e questo è il problema di Jos. Non c’erano Hausa a Jos. Sono andati là a vendere e a fare commerci vari, perché loro sono tutti alhaji e venditori. La gente del Plateau ha commesso l’errore di concedere agli Hausa un angolo in cui fermarsi. Ora loro dicono di essere i padroni di Jos.

Giàaa! Quella gente ha una gran faccia tosta. Nessuno degli antenati hausa proviene dal plateau, qualsiasi storia scritta o detta dai vecchi lo conferma, ma loro sostengono il contrario.

Le etnie originarie del Plateau sono circa 7, i cui nomi non ricordo…

Io mi ricordo quelle Anghas, Beron e Lantan... ma, ciò che conta è che nessuna di esse ha a che fare con gli Hausa. Le case bruciate nel Plateau sono degli Hausa.

Sì, bene hanno fatto a bruciare le case dei ricchi alahaji prepotenti, sfruttatori e bugiardi.

Hanno capito, finalmente, che non basta bruciarle e che bisogna anche abbatterle, altrimenti quelli tornano.

No, questa volta sarà difficile che tornino: i “padroni di casa” hanno giurato che non si lasceranno portare via la loro terra e che non permetteranno che quella stirpe infida alligni ancora nel Plateau State.

Proprio così! Sono del nord loro! Se ne tornino nella zona di Kano, invece di andare in giro portando guai! Dovunque arriva, quella gente pianta grane. Non è una bella razza!

Parlare di contrasti religiosi, perciò, è, a dir poco, semplicistico, poiché la situazione richiede analisi altre ben più complesse e diversificate.

L’anamnesi remota dei focolai delle endemiche piaghe-inimicizia e degli attriti etnici secolari non fa sperare di veder presto coincidere il nome Nigeria con la sua reale estensione geografica e con il puzzle impressionante di Stati, né le etnie comprese tra i confini di ogni Stato con quelle di altri Stati e con quelle con cui hanno condiviso e condividono i siti abitativi.

Si può parlare di popoli fratelli, utopisticamente, ma tale verità viene sbaragliata da una pluralità che è testarda memoria di identità e delle inimicizie ad esse connesse. Tenere la situazione under control sarà, a mio modesto avviso, un’impresa difficile e porterà a una pace che è soltanto, purtroppo, temporanea e che, alla lunga, è destinata ad essere ancora insanguinata.

Gli esempi belli di convivenza pacifica e di armonia di intenti, tra la gente di alto livello culturale, sono infiniti e fanno bene al cuore, ma avranno bisogno di ‘moltiplicazioni’ stoiche accelerate, per scongiurare le stragi future che (ancora e sempre), purtroppo, nidificano negli ieri e negli oggi dei domani (ancora timorosi). Il presidente del senato, il senatore David Mark (cristiano) e lo speaker della House of representatives, Mr Dimeji Bankole (mussulmano), hanno condannato duramente la violenza. Il senatore Mark ha detto che i riots sono manovalanza di fanatici che non appartengono a nessun credo religioso, che certa gente si nasconde dietro i motivi religiosi per commettere crimini efferati e che, in ogni caso, i fanatici violenti di qualsiasi religione sono da condannare senza appello. Ecco le sue parole più salienti: «I totally condemn religious fanatics. I am not aware of any faith that advocates violence. Every faith that I know of condemns killing. So when you go out of your way and kill in the name of religion, you should be punished. (Condanno totalmente i fanatici religiosi. Non sono a conoscenza di nessun credo che invochi la violenza. Ogni fede di cui so condanna l’uccisione. Perciò quando esci di senno e uccidi nel nome della religione, dovresti essere punito)». Mr Bankole, parlando di tolleranza religiosa, ha detto: «Acrimony between religions has been a constant feature in our national life for a long time. We need to put and end to it for us to move forward and develop our dear country. (L’astio tra religioni è stato un motivo costante nella nostra vita nazionale per lungo tempo. Abbiamo bisogno di darci un taglio per poter fare un balzo in Avanti e sviluppare la nostra cara nazione».

Le parole di questi due Nigeriani illuminati (di religioni diverse, ma di uguale saggezza) sono la realtà nigeriana nella quale voglio credere e nella quale spero che i Nigeriani tutti vogliano credere. Ai semplici non acculturati che, a dispetto di qualsiasi atto legale di proprietà o di possesso, tornano alle legacy tribali e razziali soltanto il tempo potrà dare risposta (ove e se la nazione chiamata Nigeria saprà dare ai loro figli istruzione sufficiente a dipanare la ricchezza delle culture antiche alla luce dei tempi moderni).

 

e, intanto, Kano (la grande città dall’antico cuore africano indomito e possente, che è sempre stata la cartina di tornasole di ogni fremito guerriero e di ogni rivoluzione e che ha sempre risposto ai ‘segnali’ lanciati da Jos -come uno strumento direttamente accordato sulle corde dei suoi luoghi- simbiondi) è stata posta sotto assedio dalle forze dell’ordine, onde evitare i rigurgiti della mattanza di Jos. Una vera e propria macchina bellica è stata sciorinata per le strade, con carri armati e plotoni bene armati in parata, posti di blocco compositi e agguerriti e… ‘segni’ vari della forza (che deve impedire lo spargimento di altro sangue e che, comunque, nel farsi temere, mostra la vasta gamma di tutti i suoi talloni di Achille…).

 

Moonisa


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