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Yoani Sánchez. Mancano le marce
01 Dicembre 2008
 

Dal blog Generación Y

30 novembre 2008

 

 

Faltan las marchas

Algo brilla por su ausencia en nuestro paisaje cotidiano. Esas convocatorias a marchar, que hace dos años eran tan frecuentes, han ido espaciándose en el tiempo y dejando atrás la impresión de una ciudad permanentemente crispada. Era raro un mes en que los habaneros no fuéramos citados a una manifestación para gritar consignas y aplaudir encendidos discursos. Se nos administraba –periódicamente– la cucharada de histeria necesaria para que nos sintiéramos en un permanente estado de sitio.

Aquellos días de sucesivas marchas, los servicios al público se cerraban y el transporte de toda la urbe trasladaba a gente que, desde otras provincias, venía a engrosar el número de participantes. Jornadas en que las calles se llenaban de banderitas de papel pisoteadas y de pipas de agua para calmar la sed. La ciudad colapsaba y los que esperábamos que el desfile pasara teníamos esa sensación de estar viviendo una movilización que nunca terminaría. Eran días en que lo mejor era quedarse en casa, esperar a que los gritos, el nerviosismo y los altavoces se atenuaran.

No obstante, tampoco era totalmente como lo mostraban las cámaras y los reportes en la prensa. Los mítines políticos –organizados por el propio gobierno– tenían también su lado de disfrute. A los alumnos de la secundaría les encantaba que se suspendieran las clases para juguetear en medio de la muchedumbre. En los centros de trabajo, muchos preferían el desorden de la manifestación -que les permitirían escabullirse a casa– que una jornada laboral bajo el control del administrador. Hasta los que manosean cuerpos en los ómnibus tenían en la apretazón de las manifestaciones un magnífico lugar para sus excesos lascivos.  Los vendedores informales esperaban que las turbas terminarán de gritar “Vivas” y les vendían incalculables cantidades de maní, pan con pasta y refresco.

No es que extrañe las marchas, pero se ve diferente mi ciudad sin esos arranques de euforia, sin el líder gritando en la tribuna, sin los miles de auténticos o falsos entusiastas que agitaban banderitas.

 

Yoani Sánchez

 

 

Mancano le marce

Qualcosa brilla per la sua assenza nel nostro paesaggio quotidiano. Le convocazioni a marciare, che fino a due anni fa erano così frequenti, sono andate diradandosi nel tempo e si sono lasciate alle spalle l’impressione di una città permanentemente esasperata. Era straordinario che passasse un mese senza che noi avaneri venissimo convocati a una manifestazione per gridare parole d’ordine e applaudire infiammati discorsi. Ci veniva somministrata periodicamente la cucchiaiata di isteria necessaria per farci sentire in un permanente stato di assedio.

In quei giorni di marce frenetiche, chiudevano i servizi pubblici e i mezzi di trasporto di tutta la città trasferivano persone in arrivo da altre province per ingrossare il numero dei partecipanti. In quelle giornate le strade si riempivano di bandierine di carta calpestate e di cisterne d’acqua per placare la sete. La città andava in tilt e noi che aspettavamo la fine della sfilata avevamo la sensazione di vivere una mobilitazione che non sarebbe mai terminata. In quei giorni la cosa migliore da fare era restare in casa, aspettando che le grida, il nervosismo e gli altoparlanti si attenuassero.

Nonostante tutto, la situazione non era neppure come veniva mostrata dalle telecamere e dai giornalisti della carta stampata. Le adunanze politiche organizzate dal proprio governo avevano anche il loro lato piacevole. Gli alunni della secondaria erano contenti che venissero sospese le lezioni per poter giocare in mezzo alla folla. Nei centri di lavoro, molti preferivano il disordine della manifestazione che poteva consentire di svignarsela a casa piuttosto che una giornata lavorativa sotto il controllo dell’amministratore. Persino coloro che fanno la mano morta sugli autobus avevano nella calca delle manifestazioni un luogo magnifico per i loro eccessi lascivi. I venditori informali aspettavano che la folla terminasse di gridare “Evviva” per vendere un buon quantitativo di noccioline, pane con salsa e bibite.

Non è che abbia nostalgia delle marce, però sembra diversa la mia città senza questi slanci di euforia, senza il capo che grida dalla tribuna, senza le migliaia di autentici o falsi entusiasti che agitavano bandierine.

 

Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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