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Bruna Spagnuolo: Carlo Forin e la stirpe degli uomini alati
28 Novembre 2008
 

Indice: La stirpe degli uomini alati/ Amiloidosi sistemiche e… tre buone notizie/ Cerebropatia amiloide congofila/ Notizie sulle cure possibili

 

Chi apprende che un amico è ammalato attraversa varie fasi di metabolizzazione della notizia. Esse vanno da una prima ribellione al fatto puro e semplice, a una tristezza rassegnata, a una razionalizzazione informata e al bisogno di ‘farsi vivi’ e di star vicini alla persona in distress. Apprendendo della malattia di Carlo Forin, ho attraversato anch’io queste fasi e sono giunta a scrivere questo articolo, teso a far sentire la mia presenza a Carlo e a chi ha letto i suoi “Giobbe 2008”. È stato durante una delle fasi suddette e, quando ancora non sapevo quanto grave fosse la patologia del nostro comune amico (acquisito nella ‘famiglia’ Tellusfolio), che ho fatto un viaggio attraverso l’Africa (nella quale vivo, al momento) e che ho rivisto scene che già conosco, purtroppo. 

 

Ci sono, ai lati delle strade, in alcuni luoghi lontani dalla capitale, uomini che io chiamo 'uomini ragno'. Hanno le gambe rattrappite e 'annodate' e hanno bisogno di tavole con ruote per potersi muovere e accattonare. Sono ex bambini storpiati (appositamente, a scopo accattonaggio), da gente che li ha 'comprati' dai genitori. Hanno vissuto una vita da ragni umani; moriranno non sanno come/ non sanno quando, ma sanno che moriranno come hanno vissuto: da esseri umani-ragni, che nulla delle loro doti intellettive/fisiche hanno potuto 'investire' e far crescere. Ho sempre pensato, vedendoli: “Che spreco triste di infanzia, di giovinezza e di vite…! Che crimine efferato!” Ho pensato la stessa cosa, quella particolare volta, ma, avendo in mente la diagnosi di Carlo Forin, ho pensato anche: “Sicuramente Carlo potrà usufruire della giusta terapia e tornare a stare bene, ma... anche nella peggiore delle ipotesi (che so non essere vera) egli avrebbe all’attivo una vita magnifica e tanta eredità-cultura da lasciare… Quale eredità potranno, invece, lasciare al mondo queste sfortunate creature-ragno? Trovo che sapere di non aver vissuto sia la cosa peggiore che possa accadere a un uomo. Aver vissuto e aver raggiunto tutte le cime che la mente ha saputo osare è, praticamente, aver realizzato la scultura che Dio aveva in mente per il marmo che ogni essere umano è.

 

Le diagnosi di malattie infauste gettano la gente nello sconforto (e come potrebbe essere diversamente?) e la portano, prima di comprendere che ci sono, in effetti, spiragli-finestre-guarigione, a pensare in termini di fine della vita (e del mondo). Quelli sono i momenti in cui gli uomini cercano dentro e fuori di sé qualcosa che soltanto i grandi (i ricchi di spirito) trovano e che i Turchi chiamano aslaðan gürür: il coraggio del leone. Occorre molto coraggio sempre, per dare un senso alla caducità di certi concetti (come salute, benessere, sicurezza, stabilità, felicità), ma occorre il coraggio di un esercito di ‘leoni’ a chi ha ricevuto una diagnosi indesiderata e deve vivere il day by day dell'attesa. I momenti dell’ansia, dell’angoscia, della paura (di ignote o note condanne) sono una medaglia a due facce, come tutte le medaglie: una delle facce si fa fucina di catarsi e cesella l’animo di turno rendendolo capace di cogliere minuzie-squallori-grandezze-musiche e di farne parte. Ciò, per chi crede in Dio, si chiama completare la 'scultura' che Dio aveva in mente per quella specifica anima e adempiere allo scopo della venuta sulla terra…

 

Nessuno sa quando, come, perché la scintilla della propria mente o della propria vita si spegnerà, anche se chi è ammalato pensa di sapere come. La nascita è un fitto mistero legato all’estremità iniziale del filo della vita e la morte è il mistero arcano legato all’altro estremo dello stesso filo (anche nei casi di malattie ben diagnosticate). L’uomo crede di sapere sempre tutto e, spesso, non sa di non sapere; non sa (o dimentica) che basare le supposizioni sul ‘linguaggio’ della materia e della scienza non esclude l’imponderabile aleggiare del soprannaturale… La vita è e resta un mistero (che s’infittisce e diventa inestricabile nel tragitto che unisce la sua parte finita a quella infinita). Chi è ammalato potrebbe essere portato a pensare che il suo ‘destino’ sia ormai tracciato, che la fine della sua vita sia imminente e potrebbe altresì lasciarsi invadere da un senso di vuoto in cui tutto potrebbe apparire inutile (dimenticandosi persino di ciò che ha realizzato, di tutte le scalate impossibili effettuate, di tutte le cime raggiunte) e… sarebbe un errore grandissimo, perché il tempo (di qualunque durata si parli) può avere accezioni-estensioni-musiche dalle infinite ‘tarature’ magnifiche e personali e non è, in fondo, quantificabile per nessuno… Il film Blade runner (tratto dal romanzo di Alan E. Nourse/ diretto da Ridley Scott) propone una scena toccante, in cui un ‘lavoro in pelle’ (essere umano creato dagli uomini), che ha tentato disperatamente, uccidendo a ripetizione, di conoscere la programmazione del punto-fine del suo orologio biologico, parla di tutto ciò che i suoi occhi hanno visto e si spegne parlando… Il protagonista dello stesso film (lo sterminatore degli umani con padre umano - che s’innamora di una splendida giovane donna creata dall’uomo e sceglie di vivere con lei e per lei, sfidando la legge), a chiusura della storia, si chiede quando lei cesserà, di colpo, di muoversi, di parlare, di esistere… La risposta che egli si dà è per tutti noi: …nessuno conosce il momento della fine, neppure i figli di Dio (e aggiungerei: neppure i figli di Dio ammalati). Chi conosce, in effetti, la programmazione del proprio orologio biologico? Ci sono casi in cui la morte avviene perché la ‘corrente’ semplicemente cessa di fluire e ‘spegne’ il cuore, come un interruttore (la scienza ne prende atto). Il momento preciso della fine (in cui i pensieri cesseranno di fluire, le labbra cesseranno di socchiudersi con armonia, le ciglia smetteranno di farsi ventaglio dell’invisibile aria, le pupille dimenticheranno di farsi specchio della realtà circostante, il cuore dimenticherà di ‘parlare’ e il torace di rispondergli, il corpo scorderà la flessuosità della grazia in movimento, i passi s’impiglieranno per sempre nell’attimo cementificato…) è stato- è- sarà da sempre e per sempre un mistero. È dato (all’uomo/ anche all’uomo malato) godere dei giorni in cui la corrispondenza amorosa tra tempo-corpo-anima-pensieri fluisce ancora; gli è dato essere testimone della notte e del giorno e… persino delle ambasce. Il resto era- è- sarà nelle mani di Colui che tutto poteva- può- potrà (e lì l’uomo lo lascerà), evitando di appesantire il suo cuore con elucubrazioni-garbugli-arrovellamenti sul tempo (più o meno breve) che gli occorrerà per trovarsi a sfiorare (con piedi già leggeri) il sentiero ignoto che unisce il respiro al non- respiro/il non-respiro umano al respiro metafisico perenne/il tempo dell’attimo fuggente al tempo dell’attimo ‘domato’/ il tempo delle metamorfosi dolenti al tempo dell’eternità che resta dov’era e dove sarà sempre…

 

La scienza serve l’uomo, ma è e resta umana. L’uomo la onora e bene fa, perché ‘fatto fu’ “per seguir virtute e conoscenza”, purché ricordi sempre che ha in sé la scintilla dell’eterno… Il problema che Carlo Forin sta affrontando, però, ‘regala’ alla sua mente e al suo inconscio vie intermedie-‘traverse’ arrovellanti, simili a letti di ortiche infide (perché per lui il dilemma non è to be or not to be, ma to be… howand up to when) che lo portano a spiare la sua mente, in attesa dei primi segni-vacillamenti e delle prime avvisaglie di tradimenti-deterioramento. Caro, grande Carlo dalla mente alata, abbi fiducia nella terapia appropriata, non spiare il tuo cervello, non domandarti niente: vola, come hai sempre fatto; continua a tenere in ordine quelle tue ali robuste pronte alle traversate degli oceani culturali; sii il te stesso di sempre e che sa farsi immagine-parola detta-esempio (per parenti, amici, conoscenti) e parola-cultura scritta per Tellusfolio e per tutti. La conoscenza che ti abita (a magnifico respiro di orizzonti) non ha limiti-scadenza, per almeno due ragioni: 1- ne hai lanciato i semi alla rosa dei venti, da dove ha già raggiunto punti imprevedibili che nemmeno immagini (le idee sono come l’erba del vento, che ho visto germogliare ‘in cielo, in terra e in ogni luogo’, cioè sui tetti, sui muri, sui sassi, nei crepacci, nel mondo vicino e lontano e forse pure nell’aria stessa); 2- avrai ancora tanto-tanto tempo per continuare a lanciarne le sementi promettenti. Nessuno può prevedere i piani di Dio sulle creature umane, neppure la scienza. Hai una diagnosi: questa è la sola certezza. Il resto è e resta nelle mani di Colui che ti ha voluto (pensato-plasmato) dal prima del tempo. Domandarsi quando-come smetteremo di vivere è umano, domandarsi quando smetteremo di pensare coerentemente è, più o meno, la stessa (anche se può apparire più terribile/temibile) cosa, che, pur in presenza di diagnosi certe, non ha risposte ‘certe’. Io sento, però, che vivrai a lungo/ invecchierai salutando il giorno che nasce e che muore (dandogli un’attenzione speciale)/ vivrai le albe, i meriggi, i tramonti, le notti nuvolose o stellate, gl’inverni e le primavere (con una cupidigia dolce e quasi dolorosa)/ immagazzinerai esperienze vivide e quasi pungenti/ raccoglierai provviste di tesori che non immaginavi potessero esistere e ti troverai con provviste-alveari di ricchezze straripanti da condividere con il resto del mondo. Non saprai più (a novanta o a cento anni) se avrai vissuto una vita o più vite. Il Padre Celeste, che ti predilige (Paolo II mentore lo prova) non lesinerà i giorni delle lodi, né quelli dei vespri e delle compiete. L’ippocampo ne sentirà l’alito-zefiro e resterà savio (ancora per tanto-tanto tempo) per i fertili dialoghi tuoi-suoi ininterrotti. Vivere da uomini alati non è da tutti e ha valenze-tempo non paragonabili con le limitate unità di misura delle miserie umane. Chi appartiene alla stirpe degli uomini alati, può osare cieli che l’uomo pedestrian non conoscerà mai: a quella stirpe appartieni tu, Carlo; con e per quella stirpe intessi i voli della cultura e della gioia di vivere (alla faccia di tutto/ a dispetto di tutto e in nome del torrente di luce gorgogliante-non spegnibile che collega il tuo cuore al marchio divino dell’umanità universale); in nome di questo ti siamo e ti saremo tutti legati (ti vogliamo e ti vorremo bene).

 

 

Amiloidosi sistemiche e… tre buone notizie

 

Venendo a conoscenza della malattia di Carlo Forin, mi sono sinceramente sentita toccata. Le notizie tristi sono, in genere, inaccettabili e lasciano in noi il bisogno di razionalizzare, in modo del tutto personale, l’impatto con la cattiva notizia di turno. Le malattie sono ‘soggetti’ poco amati, poco ‘ambiti’ e poco letti, ma il ‘diario’ a puntate tenuto da Carlo rende ‘familiare’ il nome di una malattia di cui buona parte della gente non ha mai sentito parlare. Sarebbe, forse, il caso di saperne qualcosa di più e di fare un piccolo-umile tentativo di ‘riassunto’/placebo per chi si senta annichilito da una parola così ‘aliena’. Che dite: se ci provo, faccio cosa gradita o sgradita ai lettori di Tellusfolio?

 

Buona notizia numero uno: la maggior parte dei tipi di amiloidosi sistemiche (così si chiamano) trova oggi, per fortuna, cure efficaci (ove e se la malattia viene diagnosticata in tempo): la diagnosi precoce è di importanza vitale. Questa è davvero una buona notizia (perché scoprire l’esistenza di malattia ‘strane’ sconcerta e fa sentire più che mai il bisogno di appigli rassicuranti).

 

Buona notizia numero due: esistono metodi diagnostici che individuano i tipi di proteine anomale che si accumulano, sotto forma di fibrille, e formano i depositi chiamati amiloide (responsabili dei danni agli organi coinvolti e, quindi, dei sintomi dei vari tipi di amiloidosi) e che sono diverse da paziente a paziente. Questa notizia straordinaria apre il cuore alla speranza e orizzonti rassicuranti per gli ammalati.

Si conoscono più di venti tipi di amiloidosi, ognuno causato da una diversa proteina (prodotta dall’organo interessato alla malattia).

 

Buona notizia numero tre (appendice alla numero uno): le terapie esistenti possono ridurre o addirittura annullare la produzione della proteina che causa i problemi indesiderati. Le cure dei vari casi di amiloidosi, tutte diverse tra loro, sono mirate e… possono essere addirittura risolutive. Questa notizia apre il cuore alla gioia…

 

Le amiloidosi sistemiche sono, per fortuna, rare, anche se… soltanto in Italia compaiono almeno per 800 volte all’anno. Si annunciano con sintomi diversi, che dipendono dall’organo ‘di turno’. Gli organi generalmente ‘colpiti’ sono il rene e il cuore, con una sintomatologia di edemi (gonfiori) alle gambe e affaticabilità (con difficoltà di respirazione). Le amiloidosi del rene si possono preannunciare con creatinemia/colesterolemia alte e proteine nelle urine. Quelle cardiache sono diagnosticabili con ecocardiografia. Le ‘spie’ più comuni (fegato gonfio, svenimenti da pressione bassa, inappetenza, perdita di peso, alterazione della sensibilità degli arti, diarrea) sono simili a quelle di altre patologie (è necessario indagare, perciò, in modo appropriato), ma ci sono ‘segni’ specifici (utili a stanare le amiloidosi): aumento delle dimensioni della lingua, macchie rosso porpora su viso, collo e zona perioculare.

La diagnosi identifica i tessuti (per mezzo della colorazione di un tessuto-campione). Un prelievo veloce e semplice (ambulatoriale) è l’agoaspirato del grasso periombelicale, (attraverso il quale l’operatore esperto ha l’80% di chance di trovare i depositi-amiloide – ove esistano) e l’esame (di verifica) successivo è la biopsia di una ghiandola salivare minore labiale. Pochissimi sono i casi in cui occorra arrivare alla biopsia dell’organo interessato. Il passo successivo importantissimo è l’individuazione del tipo di proteina-causa di amiloidosi, poi… si può prescrivere la terapia efficace (questi sono i casi in cui dire: “Viva la scienza!” è d’obbligo).

 

 

Cerebropatia amiloide congofila- Questa è la diagnosi fatta a Carlo Forin ed è, certamente, una spada di Damocle che egli sente pendere sul capo. I passi fatti dalla scienza, però, sono così giganteschi (in questo campo) che lasciano ben sperare. Non so in quale stadio la diagnosi s’inserisca nella malattia di Carlo, ma so che esistono gli studi per accertare “se i contatti gliovasali” (dell’Alzheimer) “siano in qualche modo implicati nel processo della deposizione dell’ameloide per mezzo di studio topografico della gliosi” (processo di proliferazione di astrociti) “comparato a quello della distribuzione delle lesioni di base”. È importante ciò che dice una nostra ricercatrice insigne (Maria Teresa GIORDANA - Professore associato -Università di Torino - Istituto Clinica delle Malattie del Sistema Nervoso - Clinica Neurologica II Fac. Med. e Chirurgia): «1.0. I contrassegni biologici e neuropatologici principali della malattia di Alzheimer riscontrabili primariamente nell'ippocampo, nucleo amigdaloideo e neocortex sono rappresentati dalla degenerazione neurofibrillare (DN), dalle placche neuritiche e dalla deposizione extracellulare di fibrille amiloidi (4-8nm) nelle placche neuritiche e nei vasi. Le lesioni vasali vanno sotto il nome di angiopatia congofila. Le differenze tra la m. di Alzheimer e l'invecchiamento fisiologico sono, dal punto di vista neuropatologico, puramente quantitative. La DN è costituita da filamenti elicoidali appaiati di 10 nm, e, in misura minore da filamenti diritti di 10-15 nm. L'amiloide delle placche dei vasi contiene un peptide di 42 aminoacidi di 4 Kd, noto come proteina A4 o beta-proteina. Esso rappresenta una parte di una molecola precursore più grande, di 79 Kd, che è una proteina integrata della superficie cellulare del neurone (recettore di membrana). Essa è affine al "core" proteico di un eparansolfato proteoglicano della linea cellulare PC12. GAGs* si trovano in tutte le lesioni tipiche dell'Alzheimer. Le stesse si presentano collegate ad una attivazione della microglia per la quale esiste una grossa problematica di origine. Un suo marker, alfa-1-antichimotripsina è un inibitore della proteasi e si trova nella amiloide. Nella m. di Alzheimer vi è una gliosi corticale, specie attorno ai piccoli vasi. La adesione glio-vascolare sembra modificata e comportare un disturbo di barriera. Ciò potrebbe allacciarsi alla presenza di sostanza P nell'amiloide, sostanza che non si trova mai nel tessuto nervoso normale, nè nei neuroni dell'Alzheimer senza DN. Un vero disturbo di barriera tuttavia non è mai stato dimostrato».

 

 

Notizie’ sulle cure possibili- Mi permetto di riportare le informazioni contenute nel sunto seguente, By Labmedinfo © 2005, poiché credo che possano arrecare conforto illuminante a molte persone: «Per la maggior parte dei tipi di amiloidosi sistemica esistono cure efficaci. Allo stato attuale delle conoscenze, come già ricordato, l'obiettivo della terapia delle amiloidosi sistemiche è rallentare o arrestare la produzione della proteina che dà origine ai depositi. Naturalmente, i metodi per ottenere questo risultato sono diversi nei vari tipi di amiloidosi e dipendono dalla diversa proteina in causa. E' per questo motivo che individuare con certezza il tipo di amiloidosi ha un'importanza fondamentale. Riducendo la produzione della proteina che forma l'amiloide, diminuisce rapidamente la quantità del materiale disponibile per formare nuovi depositi, il processo che ha portato alla malattia si arresta, i depositi di amiloide possono essere riassorbiti e la funzione degli organi danneggiati, se il danno non è già irreversibile, può essere recuperata anche completamente. La possibilità, nelle fasi iniziali della malattia, di ripristinare la normale funzione degli organi colpiti dall'amiloidosi sottolinea l'importanza di una diagnosi precoce. Infine, è molto importante anche la terapia di supporto, che sostiene la funzione degli organi interessati dall'amiloidosi, durante il tempo necessario alla terapia specifica per agire sulla causa della malattia».

 

La conclusione possibile è una soltanto: non molto tempo fa le speranze erano praticamente ‘ovo’, cioè zero assoluto. Oggi le speranze ci sono e sono ‘plastiche’ (vere, reali). La differenza tra le aspettative dei malati di ieri e quelle dei malati di oggi è abissale e mi sento di dire: grazie a Dio (e ai ricercatori noti e ignoti, che, notte dopo notte, si prodigano, divorati dalla febbre della conoscenza, immemori delle diottrie in più che aggiungono agli occhiali).

 

Altre fonti:

Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia – Policlinico Universitario San Matteo.

Società Italiana per l'Amiloidosi (IRCCS Policlinico San Matteo-Pavia). Si prefigge di favorire la diffusione della conoscenza della malattia e di prestare assistenza e ausilio alle persone affette da amiloidosi e ai loro familiari.

 

Bruna Spagnuolo


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