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Yoani Sánchez. Matrimonio senza patrimonio
22 Novembre 2008
 

Dal blog Generación Y

20 novembre 2008

 

 

Matrimonio sin patrimonio

Dos de mis amigos se casaron en los años noventa para comprar el cake y las cervezas que asignaba el mercado racionado en caso de bodas. No eran una pareja y jamás habían intercambiado algo más que un abrazo, pero la reventa de la bebida y del azucarado pastel les produjo suficiente dinero para vivir varios meses, cada uno por su lado. Como ellos, un montón de gente firmó el acta matrimonial a la espera de los ansiados productos y de las tres noches de luna de miel en un hotel, cotizadas a muy buen precio en el mercado negro.

Con esas referencias alrededor, me cuesta tomarme en serio la firma de un contrato matrimonial. Vivo desde hace un montón de años bajo una unión consensuada sin rastro de papeles. Así mismo, muchos de mis conocidos cohabitan con una pareja con la que jamás han pisado una notaría o certificado su unión. No se trata sólo de una moda postmoderna e irreverente, sino de la pérdida del sentido de rubricar el matrimonio. Entre los motivos de ese desvanecimiento, está la ausencia de un patrimonio familiar que preservar con la firma de un contrato. Qué diferencia pueda haber en que un hijo tenga padres legalmente unidos o no, si ellos carecen de bienes que heredarle, ni posesiones que necesiten del visto bueno de las leyes.

Los que tenemos hoy menos de cuarenta años, arribamos a las relaciones amorosas portando como propiedad principal aquella contenida en nuestra epidermis. Para cuando llega el final del idilio, las pertenencias caben –frecuentemente– en un maletín. Con el nido del amor ubicado en la casa de los padres y con un salario que no alcanza para adquirir bienes perdurables o transmisibles, poco importa ya el papel firmado y el cuño legal que da fe del matrimonio.

 

Yoani Sánchez

 

 

Matrimonio senza patrimonio

Due amici miei si sposarono negli anni Novanta per comprare la torta e le birre che il mercato razionato assegnava in caso di nozze. Non erano una coppia e non si erano mai scambiati neppure un abbraccio, però la rivendita delle bevande e della dolcissima torta permise loro di procurarsi abbastanza denaro per sopravvivere diversi mesi, ognuno per conto proprio. Come loro, parecchie persone firmarono l’atto matrimoniale solo per ottenere i sospirati prodotti e le tre notti di luna di miele in un hotel, beni quotati a buon prezzo sul mercato nero.

Circondata da questi racconti, non riesco a prendere sul serio la firma di un contratto matrimoniale. Vivo da parecchi anni un’unione consensuale senza bisogno di carte. Alla stessa maniera, molti miei conoscenti coabitano con un compagno con cui non sono mai entrati in uno studio notarile per certificare la loro unione. Non si tratta soltanto di un’irriverente moda postmoderna, quanto del fatto che non ha più senso contrarre matrimonio. Tra i motivi di questa perdita di interesse, c’è l’assenza di un patrimonio familiare da tutelare con la firma di un contratto. Quale differenza ci può essere tra un figlio che abbia genitori legalmente uniti oppure no, se questi ultimi non possiedono beni da trasmettere in eredità e possedimenti bisognosi di nullaosta legale?

Noi che oggi abbiamo meno di quaranta anni, arriviamo alle relazioni amorose portando come principale proprietà quella contenuta nella nostra epidermide. Quando la storia d’amore giunge alla fine, gli oggetti personali entrano – frequentemente – in una valigetta. Con il nido d’amore situato nella casa dei genitori e con un salario che non basta per comprare beni durevoli o trasmissibili, serve a poco il foglio firmato e il timbro legale che comprova il matrimonio.

 

Fino al 27 di questo mese, ogni nuovo post recherà in calce un promemoria delle votazioni on line per i premi The Bobs. Ricordo che Generación Y sta concorrendo per tre categoria: miglior weblog, premio speciale Reporter senza frontiere e miglior blog in spagnolo. Qui il link per votare.

 

Traduzione di Gordiano Lupi


 
 
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