4.
Riesco a mettere insieme un po’ di notizie su La Pira, da porre a cappello dell’intervista. E’ nato il 9 gennaio del 1904 a Pozzallo (Ragusa), in Sicilia. Ma sembra più vecchio. Dà l’impressione, almeno a me, di non essere mai stato ragazzo, adolescente.
Invece lo è stato. Primogenito di sei fratelli. Famiglia povera. Che non si tira indietro, però, quando lui decide di studiare. Diventa ragioniere, ma non gli basta. Di lì a poco si laurea in giurisprudenza. Centodieci e lode e diritto di pubblicazione. E’ il 30 giugno 1926. La Pira viver a Firenze. La città gli piace molto.
Dedica la tesi, pubblicata da Vallecchi, a Contardo Ferrini “che per tutte le vie mi condusse nella Casa del Padre”.
Inizia a insegnare e nel 1930 ottiene la libera docenza di diritto romano. Nel 1933 vince la cattedra. Ha ventinove anni. A Messina è diventato terziario domenicano con il nome di Raimondo.
S’impegna nel mondo cattolico. Scrive e anima l’Azione Cattolica. Scrive per la rivista “Frontespizio”. Fonda anche la rivista “Principii”. Ma il fascismo non ci sta e gliela blocca. Nel frattempo, è diventato fra Donato, domenicano del convento di San Marco.
Nel 1943, tra il 15 luglio e l’8 settembre, dà vista al giornale clandestino “San Marco”.
I fascisti lo cercano. Vogliono arrestarlo. Ma lui riesce a farla franca.
Raggiunge Roma.
Alla liberazione di Firenze, torna e riprende a insegnare all’Università. Qualcuno lo definisce monaco per vocazione.
Mi dà l’impressione di un uomo molto solo. M’impressiona la scelta di vivere senza tenere in alcuna considerazione i soldi.
E’ povero. Lo è sempre stato. Non ha neanche una casa sua. Vive in una piccola cella in San Marco.
Finisco verso le tre del pomeriggio. L’intervista è lunga. E ne rendo conto. Ho cercato di tagliare, semplificare, ma non sono riuscito a scendere sotto le sei cartelle dattiloscritte. Fitte fitte.
Entro da Bilenchi con una certa emozione.
“Ce l’hai fatta?”
“Spero”.
Bilenchi prende i fogli e li mette alla sua destra. “La leggo tra poco. Poi ti dico”.
5.
Attendo invano. Alle 3 di notte esco dal giornale d’umore nero.
Perché non mi ha detto niente, Bilenchi?
Non va bene? Ma lui non è l tipo che te le manda a dire dietro. Te le spiattella sul muso, senza ipocrisie.
Dormo poco e male.
Rifletto su quel che ho scritto. Mi sono limitato a riferire quel che ha detto La Pira. Ho ridotto al minimo i dati biografici e colore. Ho cercato di dar fondo alle mie capacità di sintesi, ma non ho potuto superare un certo limite, oltre il quale si sprofonda nella superficialità.
Bilenchi lo ha capito? Deve averlo capito.
Mi rendo conto, mentre bevo un caffè e latte, nella latteria posta sotto casa mia, che l’intervista deve avere un seguito. Evo entrare in casa democristiana per farmi dire come stanno realmente le cose. Chi è pro e chi è contro la candidatura del professorino.
Mi verrebbe utile la Volpe. E mi metto a cercarlo. M’infilo in bar e latterie che so nel suo itinerario.
Lo vedfo in Piazza della Repubblica. E’ appena uscito dalle Giubbe Rosse. E’ insieme a un tizio che mi par di conoscere. Sono incerto fino a dieci metri dai due. Poi ricordo. Colui che parla fitto fitto con la Volpe è un uomo di Gronchi, uno che ho visto insieme anche a Tambroni. Fa parte del gruppetto che porta con sé gli ideali del Partito Popolare.
Li chiamano in un modo che non riesco a ricordare. Per me sono nostalgici. Non so quanto potere abbiano nella Dc.
Che ci fa il tizio a Firenze?
La sua presenza è legata alla possibile candidatura di La Pira?
Che un pisano interferisca nelle decisioni dei fiorentini? Ci credo poco.
Gli sento dire, a un certo punto, “contenti loro”.
La Volpe mi vede e mi saluta con un cenno di mano.
Gli faccio capire che voglio parlargli. Non ho furia.
Ho mal di testa e voglia di parlare con Lucia. Sono giorni che non la vedo, né la sento.
Lo dice sempre, lei: “Facciamo due lavori che non ci dànno una mano”
Lei è ostetrica in una clinica privata in Piazza Indipendenza. Lavora sodo.
L’ho conosciuta in circostanze particolari. Suo marito era un operaio della Galilei. Un giorno, un venerdì mi sembra, la chiamano per informarla che suo marito ha avuto un incidente. E’ ricoverato. Le sue condizioni preoccupano. E’ al “San Giovanni di Dio” in Lungarno.
In realtà, vi è arrivato già morto.
Trovo l’infortunio nel solito giro e mi precipito all’ospedale. Parlo con lei. Ma più che tirarle fuori notizie, mi vien fatto di confortarla. E’ così sola in quella stanza d’attesa, spoglia, pregna dell’odore urtante dell’etere.
Riesco a farmi dare una foto del marito. Scopro che erano sposati da un anno appena. Che progettavano d’avere un figlio. Che lui veniva dal Senese, famiglia di contadini. Che lei era nata a Brozzi, ma c’era stata poco perché, con la morte dei genitori, ammazzati da una cannonata, era stata costretta ad andare dai nonni materni a Fiesole.
Scopro che è ostetrica.
Dice: “Che faccio ora?”
E’ sola. Non ha fratelli. E i nonni sono così vecchi e malmessi. E i parenti di lui stanno lontano e non è che abbiano visto di buon occhio l’abbandono del podere da parte del figliolo.
Non mi sento di lasciarla. “Puoi disporre di me”.
“Non ci conosciamo”.
“Sono un giornalista. Ritengo d’essere una persona seria. E non mi va di lasciarti qui sola, in una situazione del genere”.
Non disse nulla. Piangeva. Avevo tempo per scrivere l’articolo. Avevo tempo tutto il pomeriggio. Al centralino dell’ospedale chiesi il piacere di fare una telefonata al giornale. Un minuto per fissare lo spazio. Era una notizia grossa. Andava in prima pagina.
È passato un anno. Mi vedo con Lucia. Siamo amici. Da amici ci comportiamo. Non potrebbe essere diversamente. La ferita non è risarcita.
La Volpe saluta il tizio e mi raggiunge.
“Che c’è?”, chiede.
“C’è che ho intervistato La Pira. Mi ha detto che non ne sapeva nulla della sua candidatura”.
“E’ un marpione. Dietro quella faccia da santo si nasconde un diavoletto. Più sorride e più devi stare attento. Qualcuno dice che è uno che viaggia con la testa tra le nuvole. Io sostengo che è tutta apparenza”.
“Sarà come dici, ma a me è sembrato sincero. Per di più molto solo. Indifeso”.
“Sei cascato nella trappola”.
“Non mi sembra d’avere visto trappole. Ha risposto con cortesia e senza pararsi dietro atteggiamenti ipocriti. Ma questo non c’entra con quel che voglio da te”.
“Vuoi qualcosa da me?”
“Sì, voglio parlare con qualche dirigente della Dc. Voglio sondare. Voglio capire che aria tira”.
“Non credo che vogliano parlare con te, in modo particolare di La Pira”.
“E con chi parlano?”
“Tra loro. Giornali e giornalisti, li tengono alla larga”.
Sempre saputo che i più non amano apparire. Sono quelli che si muovono dietro le quinte, che tirano i fili, che manovrano.
Non so quanto abbiano a che fare questi individui con La Pira. Come parlare del giorno e della notte.
“Che ci facevi con quel tipo lì, gronchiano doc?”
“I gronchiani vogliono dire la loro”.
“Non ci credo”.
“Sai, La Pira è un personaggio. Sono tanti quelli che credono che soltanto lui possa dare una spallata ai socialcomunisti e buttarli fuori da Palazzo Vecchio”.
“Ma c’è anche chi non ne vuol sapere. Un terziario domenicano, un monaco, sindaco. Il solo pensiero fa venire l’orticaria a gente come il Mandragola. Non è così?”
“Con chi hai parlato?”
“Con nessuno. Ho tirato due somme. E’ un po’ che bazzico il mondo politico fiorentino”.
“Beato te che ci capisci qualcosa”.
“Ci capisci, ci capisci anche te. Soprattutto te”.
“Mi dài più importanza di quella che ho”, fa la Volpe con un mezzo sorriso. “Io sono un semplice galoppino. Mi dicono fai questo, e io lo faccio”.
“Ti hanno detto anche di soffiarmi la notizia su La Pira?”
“No, no. E’ stata una mia idea”.
“Te, un democristiano, che spiffera una notizia importante, delicata, a un giornalista di un quotidiano di sinistra, filocomunista. Ci sono tutti gli ingredienti del complotto. La notizia finisce sul giornale dei comunisti e La Pira è fottuto. Che te ne pare?”
“Ti sbagli. Ti sbagli di grosso. Io sto con La Pira. E mi sono mosso per smascherare certi giochetti, per mettere a tacere i mestatori”.
Non gli credo. Ma, a me, le lotte intestine dei democristiani fanno gioco. “Se non sei dentro un complotto, aprimi le porte di qualche democristiano che conta, oppure butta fuori tutto quel che sai. Dimmi nomi e cognomi di chi è con La Pira e di chi è contro”.
Ci pensa un po’ su. Poi: “Fanfani è a favore. Gronchi, don Sturzo e Tambroni, no. Don Sturzo lo ama come il fumo negli occhi, se non di più. I vecchi popolari, insomma, ne parlano male. Dicono che Firenze ha già avuto un Savonarola. E uno basta e avanza. Li contrastano gli universitari cattolici, quelli dell’Azione Cattolica e il cardinale Elia Dalla Chiesa. La Pira ha un buon rapporto con il cardinale. Sant’uomo”.
“Beh, io ci andrei piano con il sant’uomo. Ci sono certe lettere pastorali sugli ebrei, che fanno accapponare la pelle”.
“Ma che dici?”
Dico la verità. Le ho lette. Te le porterò”.
“ Non è mai venuto fuori nulla “.
“Verranno fori, prima o poi. Al momento giusto”.
“Per le elezioni”.
“Non credo. Perché siano efficaci, devono star fuori della battaglia elettorale. E’ roba da storici, questa”.
“Allora voglio fare come San Tommaso”.
“Liberissimo. Ma il discorso ora è un altro. Il nostro uomo è La Pira. Mi hai fatto nomi, diciamo, romani, in particolare per i contrari. A me interessa sapere anche di Firenze. Chi a Firenze è contro?”
“Hai rammentato il Mandragola. A parole, è dalla sua parte. Sbandiera l’amicizia con Fanfani. In realtà, trama. Dice che Firenze ha bisogno di un politico con gli attributi. E’ lo stesso che dica: eccomi qui, pronto al sacrificio. Ma non so quanto seguito abbia”.
“Chi ancora?”
“Il segretario cittadino. Dice che non si può governare con la Bibbia”.
So che sono notizie di seconda mano, che la Volpe va presa con le pinze. So tutto questo. Però un pezzo posso tirarcelo fuori, affidandomi a qualche condizionale.
Lo scrivo di getto. E lo porto a Bilenchi.
Noto che l’intervista è sempre sul tavolo, alla sua destra. Ho l’impressione che abbia ancora da leggerla. Non può essere. Non è da lui.
Dico: “E’ un pezzo d’ambientazione democristiana. Può essere messo di corredo all’intervista”.
Bilenchi sembra distratto, triste.
Non ho l’animo di fare domande.
Dice: “Grazie, ti faccio sapere”.
Ma non mi fa sapere nulla, e passo ore a macerarmi.
Riccardo Cardellicchio
Fine seconda puntata