Quello che segue è l’intervento di Matteo Mecacci nel corso della seduta della Camera dei Deputati di martedì 18 novembre.
Signor Presidente, credo che il dibattito in corso su questo provvedimento offra un'opportunità, che non abbiamo avuto dall'inizio di questa legislatura, di iniziare a discutere che tipo di politica estera vogliamo per il nostro Paese. È evidente che il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, ha scelto un certo tipo di politica estera sicuramente diversa da quella degli anni precedenti nella scorsa legislatura. Tuttavia, si tratta di una politica estera che credo debba - spero anche dai banchi della maggioranza - aprire una riflessione sulla direzione che si vuol dare al nostro Paese.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato, nel corso delle ultime settimane, la priorità di far ricoprire al nostro Paese il ruolo di ponte, in particolare, tra l'Europa e gli Stati Uniti. Si tratta del ponte necessario per confrontarsi con una Federazione Russa che, nel corso degli ultimi anni, purtroppo, ormai chiaramente ha scelto una via autoritaria alla risoluzione dei conflitti che ha sia al suo interno, ma anche all'esterno. Non dimentichiamo ciò che è accaduto negli anni scorsi in Cecenia: la distruzione di una capitale, come Grozny, che è stata rasa al suolo e il nostro Presidente del Consiglio, a fianco del Presidente Putin, ha dichiarato che si faceva garante di quanto stava avvenendo in Cecenia.
Il Presidente Putin ha scelto in questi anni l'autoritarismo, limitando l'attività delle organizzazioni non governative e di tutti coloro che si oppongono politicamente al suo regime. Ha scelto la militarizzazione di una società, attraverso, prima, la guerra in Cecenia e, adesso, abbiamo visto che, oltre alla guerra all'interno dei confini della Federazione Russa per opporsi alle spinte secessioniste della Cecenia, si è scelta la via militare anche per fare i conti con la Georgia, che è solo l'esempio di un Paese che vuole integrarsi nell'Unione europea, che ha una cultura profondamente europea, così come l'Ucraina. Tuttavia, la Russia di Putin non consente che questi paesi possano, in modo pacifico e sulla base di processi democratici, decidere di aderire alle istituzioni di cui l'Europa e la NATO fanno parte.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato in questi giorni che occorre evitare il ritorno alla guerra fredda. Credo che occorra che qualcuno in quest'aula ricordi che la guerra fredda va rivendicata dal momento che è ciò che ha consentito all'Europa decenni di pace: è stata la risposta necessaria all'impero sovietico che minacciava i nostri confini e le nostre case. La scelta di campo di chi ha fatto parte della NATO e di chi ha condotto per decenni la guerra fredda è una scelta che va rivendicata, non va considerata come uno spauracchio ed è stato il modo per opporsi a chi, attraverso un sistema dittatoriale, mirava a conquistare l'Europa e opprimeva centinaia di milioni di persone.
Ora che il Presidente del Consiglio Berlusconi, colui che ha fatto dell'atlantismo e della promozione della democrazia un leitmotiv degli ultimi anni, dica che il problema è stato quello della guerra fredda credo che sia sbagliato. Credo che l'anticomunismo, come l'antifascismo, siano stati valori fondanti delle democrazie liberali ed occidentali e, quindi, usare lo spauracchio della guerra fredda semplicemente per nascondere altri tipi di interessi che si promuovono credo che sia profondamente sbagliato.
Si tratta quindi di una politica estera molto spericolata che cerca rapporti con la Russia di Putin, ma anche con la Libia di Gheddafi. Voglio ricordare che anche questo decreto, ad esempio, prevede l'estensione della collaborazione con il regime libico di Gheddafi, senza che vi sia, in materia di immigrazione, alcuna garanzia sul rispetto degli standard minimi internazionali in Libia. La Libia non ha ratificato la convenzione sui rifugiati, non concede il diritto d'asilo ai propri cittadini, né a quelli che vanno all'estero, né a quelli che si trovano sul suo territorio. Si collabora dal punto di vista della gestione dell'immigrazione clandestina con questo tipo di Governo e si firma un trattato (che prima o poi arriverà anche in quest'Aula per la ratifica), di amicizia e di partenariato con la Libia, nel quale non si prevede alcuna di quelle clausole che sono previste in tutti gli accordi di cooperazione siglati dall'Unione europea con i paesi terzi: la clausola relativa alla materia dei diritti umani, ad esempio l'articolo 2 di alcuni accordi di cooperazione, non è prevista nel trattato che è stato firmato a Bengasi lo scorso 30 agosto dal Presidente del Consiglio. Nonostante ciò, si continua questo tipo di cooperazione.
In questo decreto si parla anche della situazione in Afghanistan. Il nostro Paese ha scelto fin dall'inizio di essere parte dell'operazione militare in Afghanistan dal 2001 e lo ha fatto con un obiettivo chiaro, su mandato delle Nazioni Unite, quello di rimuovere il regime dei talebani e di puntare all'instaurazione di un regime democratico e liberale. Noi sappiamo che, dal 2001, sicuramente sono accadute cose positive in quel Paese, ma, dal punto di vista della sicurezza, all'interno di quel Paese sappiamo che la situazione è molto difficile e va peggiorando. Ci sono dei dati che sono sotto gli occhi di tutti: il 2008 è già l'anno in cui c'è stato il record degli attacchi militari contro le forze della NATO e degli americani con la missione Enduring freedom. Il 2008 è stato già l'anno del record delle vittime civili del conflitto; poi nel dettaglio discuteremo, in un successivo ordine del giorno, il tema delle vittime civili di questo conflitto. La maggioranza di coloro che vengono uccisi in Afghanistan oggi è il risultato di attacchi delle forze che si oppongono al Governo di Karzai a partire dai talebani. Ma c'è ormai un crescente numero di vittime civili che sono vittime dei nostri attacchi militari.
Nel momento in cui, in modo unanime probabilmente, ci apprestiamo ad approvare questo decreto e a dare quindi un sostegno pieno alle nostre Forze armate, abbiamo anche il dovere di chiedere che queste operazioni militari vengano svolte per il raggiungimento degli obiettivi che si prefiggono. Quando le operazioni militari determinano, ormai in modo strutturale, un aumento delle morti tra la popolazione civile si produce l'effetto opposto rispetto a quello che si vuole ottenere. L'effetto è quello dell'aiuto alla propaganda delle forze che si oppongono a Karzai; si mette in difficoltà questo Presidente che si trova anche nell'impossibilità di condurre delle indagini e di verificare quanto avviene in queste occasioni. Abbiamo assistito ormai da troppo tempo a vertici militari della NATO che hanno, troppo spesso, negato qualsiasi responsabilità, affossando le indagini e affermando che anche i dati forniti dalle Nazioni Unite non erano credibili: credo che tutto ciò debba finire. La sospensione, come avviene nel caso in cui nel nostro Paese vi fossero delle vittime civili per il comportamento - sbagliato o giusto verrà poi accertato - da parte delle Forze armate o delle forze di polizia, è un atto necessario in un teatro di guerra come quello; è un atto necessario per impedire che la propaganda contro l'occupazione e contro l'indifferenza dell'Occidente rispetto alle vite dei civili afgani continui ad essere alimentata.
Realizzare questo tipo di iniziative e sostenere il Governo Karzai, facendo presente che ci assumiamo le responsabilità, a partire dalle nostre Forze armate, è la più grande arma a trazione di massa che possiamo avere per far comprendere ai cittadini afghani che ciò che li aspetta non sono gli omicidi senza quartiere portati avanti dalle forze che si oppongono a Karzai, ma sono forze che sanno assumersi anche le responsabilità di ciò che fanno.
Sempre in ordine all'Afghanistan, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui l'Italia è in prima fila a livello internazionale per la lotta al traffico di droga. L'Italia da ormai molti anni è rappresentata nell'Agenzia delle Nazioni Unite, che ha sede a Vienna e che si occupa di ciò, con il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, ora ricoperto da Antonio Costa.
In Afghanistan la politica proibizionista di lotta alla droga segna in modo oggettivo un fallimento completo. Sono stati investiti decine di milioni di dollari e predisposti programmi di tutti i tipi ormai da decenni (in particolare nell'ultimo) nel Paese per cercare, già sotto il regime dei talebani, di porre fine al commercio illegale che è ormai evidente a tutti, anche se per molto tempo lo si è negato. È evidente che vi è una connessione diretta tra la guerriglia e i finanziamenti che derivano dal commercio illegale di droga.
Questo è il fallimento che il nostro Paese, sia con i Governi di centrosinistra che di centrodestra, ha realizzato. I dati lo dimostrano e continua anche, dall'inizio delle operazioni in Afghanistan, la produzione illegale di oppio che è giunta a livelli record rispetto a quelli degli anni passati.
La delegazione radicale, con un ordine del giorno che ha presentato, chiede di iniziare a riflettere su questo dato e di non nascondere la testa sotto la sabbia, poiché occorre iniziare a discutere ed a prendere in considerazione quelle proposte esistenti a livello internazionale che vogliono disegnare un percorso alternativo rispetto a quello che ormai, da troppo tempo, si continua a perseguire.
Si tratta della possibilità di fornire anche all'Afghanistan l'opportunità di rientrare nel mercato legale dell'oppio, per quanto riguarda la produzione di farmaci a livello internazionale. A tale riguardo, assistiamo all'ironia, per cui l'Afghanistan, Paese che più produce oppio a livello mondiale, si trova in una situazione di scarsità di accesso ai medicinali oppiacei, ma anche alla morfina negli ospedali afgani.
Esistono dei progetti pilota, già sottoposti alla comunità internazionale e, in particolare, a coloro che sono responsabili della situazione e della sicurezza in Afghanistan, per portare gradualmente una parte delle colture di oppio attualmente presenti in Afghanistan verso la produzione di medicinali e ciò per creare un mercato legale che possa servire da alternativa rispetto a quello illegale.
Queste sono tematiche che non sono presenti attualmente nel dibattito politico e non ne abbiamo sentito parlare neanche in questo Parlamento. Tuttavia, riteniamo che, se si vuole davvero promuovere la pace e la democrazia, lo si debba fare, utilizzando non solo lo strumento militare, come spesso illusoriamente si immagina di poter fare, ma elaborando anche politiche di sostegno - dal punto di vista istituzionale e del rispetto del principio di legalità e della messa in legalità di tutti coloro che si trovano ad essere ricattati - come condizione essenziale per costruire una società democratica.
Quindi, noi sosteniamo in particolare questo emendamento in relazione alla possibilità di un'attività di finanziamento per lo sminamento nelle regioni del Libano, che sono state devastate anche dai bombardamenti di due estati fa, che hanno prodotto una serie di vittime civili.
Il Libano è un Paese dove ormai da molti mesi è in funzione un tribunale delle Nazioni Unite, ovvero una Corte speciale istituita dal Consiglio di sicurezza, dopo l'assassinio dell'ex Primo ministro Rafik Hariri.
È un tribunale che ha svolto delle indagini che hanno chiaramente indicato responsabilità da parte dei servizi di sicurezza legati al Governo siriano in quel Paese, che da allora ha posto fine all'occupazione del Libano, ma che ha continuato, da quel momento in poi, uno stillicidio di attentati che hanno decimato una classe politica democratica (molti dei suoi rappresentanti, in queste settimane e in questi mesi), rispetto al quale questo tribunale ha il compito e il mandato di intervenire da parte del Consiglio di sicurezza.
Ora, con gli ultimi eventi, con l'accordo di Doha anche tra le varie fazioni libanesi, in particolare con gli hezbollah, si rischia di essere in una situazione di stallo completo e di ricatto permanente da parte di questa fazione politica rispetto al Governo legittimo libanese.
Credo che il Governo italiano, oltre all'impegno presente nella missione Unifil, debba anche rafforzare il proprio impegno a sostegno di questo tribunale internazionale, che deve essere finanziato, perché, altrimenti, se non si ottiene giustizia, è davvero difficile immaginare di ottenere la pace. (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico)
(da Notizie radicali, 21 novembre 2008)