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Riccardo Cardellicchio. Fermate La Pira. Romanzoweb a puntate. I
Giorgio La Pira
Giorgio La Pira 
15 Novembre 2008
 

Il treno, proveniente da Roma, arrivò a Firenze, stazione di Santa Maria Novella, con dieci minuti di ritardo. Era l’inizio di un pomeriggio di una domenica uggiosa, umida.

Scesi attento a dove mettevo i piedi. Gli occhi avevano cominciato a darmi qualche problema.

Chiamai un taxi.

Volli passare da via Capponi. Negli ultimi anni abitava in quella strada, in una stanza piccola, invasa dai libri. Sul tavolo, l’icona regalatagli dal patriarca di Mosca.

Era il 6 novembre 1977.

Il giorno prima, Giorgio La Pira era morto nella clinica delle suore inglesi in via Cherubini, nel cassetto la lettera di Papa Paolo VI, inviatagli da poco.

Un grande evento per lui.

Poi, mi feci portare a San Procolo, dov’era esposta la salma.

Trovai volti noti.

Ci furono strette di mano, mezzi sorrisi.

Parole bisbigliate. “Sembra che sia spirato dopo aver detto: nel sabato senza vespri che non conosce tramonti”.

Fioretta Mazzei era inginocchiata nella prima panca, il volto tra le mani. Si sussurrava che fosse lì, in quella posizione, da un paio d’ore.

La prima benedizione alla salma era stata impartita dal cardinale Giovanni Benelli, arcivescovo di Firenze, pochi minuti dopo il decesso.

Nella notte, don Giuseppe Dossetti aveva celebrato la messa alla presenza dei familiari e degli amici intimi.

Poi la salma era stata portata in San Procolo.

“Non rimane qui - sentii dire – ma va in San Marco fino a domani, giorno dei funerali”.

Decisi di rimanere.

“Era un santo”, mormorò qualcuno.

 

Mai vista tanta gente a un funerale.

Corteo interminabile.

Toccò la chiesa di San Marco, l’Università, Piazza Santissima Annunziata, San Michelino Visdomini, la Badia Fiorentina di San Procolo, Piazza della Signoria, infine Santa Maria del Fiore, per il rito funebre, celebrato dal cardinale Benelli.

Tante, le parole pronunciate. A cominciare da quelle poetiche di padre David Maria Turoldo. Eppoi quelle politiche del sindaco Elio Gabbuggiani, del senatore Amintore Fanfani, del professor Giuseppe Lazzati.

Paolo VI, la domenica, l’aveva ricordato nel corso dell’Angelus in Piazza San Pietro.

Non seguii la salma fino alla sepoltura nel cimitero di Rifredi. Andai il giorno dopo, di prima mattina. L’avevano sotterrato accanto a don Giulio Facibeni.

E rimasi lì a lungo, incurante della pioggia.

 

1.

Ci sono mattine che faresti a meno d’infilarti nella vita.

Stamani è una di quelle.

Me ne vo su Lungarno Corsini, ingrugnito per non so cosa.

Non guardo. Non mi piace vedere, osservare con questo stato d’animo.

A dire il vero, sono rannicchiato in me stesso. A fare i conti. A rimuginare sulla scelta d’abbandonare la provincia per Firenze. Obiettivo: fare il giornalista. Con tutti a dirmi, i miei familiari a dirmi: non è un lavoro.

Uno scandalo per la mia famiglia, commercianti conosciuti e di successo. Usciti quasi indenni dai guasti della guerra.

 

Dall’altra parte della strada scorgo  la Volpe. Uno che, se attacca bottone, non la finisce più. Darebbe a intendere che Cristo non è morto in Croce. Pretenderebbe di sapere il nero, il bigio e il turchino della politica fiorentina, e non solo. Dei democristiani, può darsi. E’ uno pappa e ciccia con Zoli.

Faccio finta di non averlo visto, ma lui mi chiama e attraversa la strada.

“Proprio te”, dice. “Sei un bravo ragazzo e voglio darla a te, la notizia. Primo in assoluto. Ma mi devi promettere che la pubblichi. Se non la pubblichi, con me hai chiuso”.

Mi dà noia anche fisicamente. Dico: “Bisogna vedere che notizia è”.

“È di quelle buone, ragazzo”, dice lui quasi offeso.

“Sentiamo”. Non sono uno che si scalda facilmente. Eppoi davanti a un tipo come lui.

“Caro il mio Franchini, beccati questa: nella Democrazia Cristiana fiorentina si sta facendo un nome da contrapporre a Mario Fabiani per Palazzo Vecchio”.

“E che nome è?”.

“Ti ci volevo, caro il mio Giulio”.

“Me lo dici, sì o no?”

“Certo che te lo dico”. Accende una sigaretta.

“Allora?”

“Giorgio La Pira. Il professorino siciliano, che ha messo la zampino nella nostra bella Costituzione”.

“Non ci credo. Ne ho sentito parlare. Mi dicono che sia un uomo molto religioso. Un tipo poco politico. Uno che vola alto”.

Ride, la Volpe. “Uno che usa lo stesso linguaggio dei socialcomunisti, ma non è socialcomunista. Uno che spiazza, te lo dico io”.

Mi fermo: “Lo dài per certo?”

“Al novanta per cento”.

“Il dieci chi rappresenta?”

“Roma”.

La Democrazia Cristiana nazionale è contraria?”

“Non tutta. C’è qualcuno che stintigna, forse messo su da qualche fiorentino ambizioso”.

“Ho capito. Allora si può calare la percentuale del consenso”.

“Fossi in te, non lo farei”.

“Fai qualche nome dei fiorentini contrari”.

“Il segretario”.

“No, allora no. Conta poco. Non ha spessore”.

“Sono d’accordo. Comunque, sonda. Il giornalista sei te”. Tossisce gettando la cicca. “E ora offrimi un caffè. Penso di meritarmelo”.

M’infilo nel primo bar che trovo e mi disimpegno.

 

2.

Romano Bilenchi è direttore del “Nuovo Corriere” dal 1948.

È colui che ha avuto fiducia in me.

Ha sempre la porta aperta per me. Mi consente di scavalcare il redattore capo.

Non ho bisogno d’aspettare la riunione di redazione.

Sono le undici quando entro nel suo ufficio.

“Che c’è di tanto importante?”, mi chiede sornione.

“Circola la voce che vogliono… che la Dc vorrebbe puntare, alle prossime comunali, su Giorgio La Pira. Dicono che sarebbe l’unico in grado di contrastare Fabiani sul suo stesso terreno”.

Mario Fabiani è il sindaco di Firenze, eletto il 26 novembre 1946. Fabiani ha avuto 86.435 preferenze nella consultazione del 10 novembre. Nessuno pensava che arrivasse a tanto. Il Partito comunista ha ottenuto il 33,67 per cento, al secondo posto la Democrazia cristiana con il 23,75 per cento. Poi il Partito socialista con il 21,97, L’Uomo qualunque con il 13,66, quindi il Partito liberale (3,43), il Partito repubblicano (2,22) e il Partito d’Azione (1,31).

I fiorentini aventi diritto al voto erano 269.106. Hanno votato in 198.107, pari al 73,6 per cento.

Mario Fabiani, operaio, nato a Empoli il 9 febbraio 1912, attivista del Partito comunista, ha vissuto anni intensi d’opposizione al fascismo.

Riesce a fuggire a Parigi e, nel 1932, frequenta l’Università leninista a Mosca. Rientra in Italia, ma nel 1934 viene arrestato. Lo condannano a ventidue anni di carcere. Ne sconta nove. Esce di carcere nel 1943 e s’aggrega ai partigiani. Diventa ispettore delle Brigate Garibaldi. Organizza bande partigiane e i Gap. C’è lui dietro gli scioperi del 4 e 5 marzo 1944. Firenze è liberata l’11 agosto 1944 e Fabiani diventa vicesindaco della giunta di Giovanni Pieraccini. I comunisti hanno puntato su di lui. E ci hanno visto giusto.

Al momento dell’insediamento, nella sala dei Duecento di Palazzo Vecchio, Fabiani non ha parlato a lungo. Ha messo in evidenza l’importanza del momento. Ha sottolineato che la libertà conquistata l’11 agosto 1944, prendeva forma e sostanza con l’investitura della rappresentazione popolare democraticamente e liberamente eletta.

“È un’eredità tremenda – ha aggiunto – quella che prendiamo su di noi”.

“Per il 1947 – ha sottolineato – si può prevedere fin da ora un deficit non inferiore ai settecento milioni. La ricostruzione è stata avviata, ma di fronte a noi resta ancora da percorrere tutto il cammino”.

“I principii che ispirarono questa amministrazione – ha detto ancora – saranno principii che ispirano tutti gli uomini onesti”.

È una bella figura. Hanno applaudito i consiglieri della maggioranza. È un consiglio importante. Ci sono numerose donne. È la prima volta. Sono Eleonora Benvenuti Turziani, Albertina Formigli Pistolesi, Dina Bitossi, Elena Ricci, Bianca Bianchi e Lucia Banti. Vera Dragoni, eletta sia a Firenze sia a Impruneta, ha scelto quest’ultimo Comune.

Gli assessori sono undici, più tre supplenti.

“Contrastare Fabiani – dice Bilenchi – non è impresa facile. I fiorentini gli vogliono bene. Non per nulla lo chiamano il sindaco della ricostruzione. Sa dove mettere le mani. Certo è che gli ci vorrebbe un Partito comunista più forte”. Non sono completamente d’accordo con lui, ma – vigliacco – mi guardo bene di dirlo. “Comunque – aggiunge Bilenchi – sentiamolo, La Pira”.

“Lo intervisto?”

“Certo che sì. Fagli domande pepate”.

Non è facile fare le interviste. Si fanno di rado.

Mi si prospetta una bella esperienza.

 

3.

Trovo La Pira fuori di San Procolo, dopo la messa. Lo avvicino. Gli dico chi sono, cosa vorrei.

“Intervista?”

“Certo, un’intervista, professore”.

“È sicuro?”

“Sicuro”.

“Ne ha parlato con il suo direttore?”

“Mi manda lui”.

La Pira sorride. “Il Bilenchi…”. Stenta a crederci.

Il Nuovo Corriere è quotidiano di sinistra, fiancheggiatore del Partito Comunista, anche se Bilenchi ha avuto modo di dire che lui è per il dialogo con i cattolici, l’unità sindacale, l’unione delle sinistre, di tutte le sinistre di tutti i partiti, di non credere alla dittatura del proletariato che porta alla dittatura della polizia politica.

“Come mai questo interesse per me?”.

“Professore, in questi giorni si parla di lei a Firenze”.

“A che proposito?”.

Sorrido. È lui a far domande, non io. “Non mi dica che non sa niente…”.

“Cosa dovrei sapere?”, fa candido.

“Professore, si parla di lei come capolista della Dc al comune di Firenze. Insomma, si punta su di lei per conquistare la poltrona di sindaco”.

“È la prima volta che lo sento dire”.

“Non può essere. Si dice che la proposta sia arrivata anche a Roma”.

“Allora, se è vero, è un po’ che ne parlano. Peccato che nessuno m’abbia informato. Dovrei essere io a decidere se accettare o meno. Non è che possano decidere gli altri, chiunque sia. Anche perché, mio caro, io non ho la tessera della Dc, né altre tessere. Sono un indipendente”.

“Cattolico”.

“Certo, cattolico”.

“Che è stato eletto, nel 1946, alla Costituente per conto della Dc. Che l’anno dopo, quattr’anni fa, ha dato vita alla rivista “Cronache sociali” con Rossetti, Fanfani e Lazzati. Che nel 1946 è stato nominato sottosegretario al lavoro”.

“È la verità. Ma nessuno mi ha imposto idee e modi d’intendere la politica. La prova? Pochi mesi fa mi sono dimesso dal governo per contrasti sul programma economico e delle riforme”.

“Quali sono le sue idee e i suoi modi?”

“Mi faccio guidare dallo Spirito Santo”.

“Lei pensa che serva lo Spirito Santo in politica?”

“Serve ovunque,  figliolo. Serve per mettersi in ascolto della gente, della povera gente, e agire di conseguenza. Si vede che non ha letto quel che ho scritto nel saggio “L’attesa della povera gente””.

“La politica, professore, è un’altra cosa. Impone di tener conto di tutto. Anche di alleati e avversari”.

“Bisogna dargli una bella regolata, dentro di noi, nella nostra coscienza, per non perdere di vista l’obiettivo primo, principale: quello di governare per risolvere i problemi. Stando dalla parte di chi ha più bisogno, degli ultimi. Un cristiano, un cattolico, non può agire diversamente. Non può predicare bene e razzolare male. Non può dire: ma la politica è la politica, è un’altra cosa. Come se fosse zona franca, dove ognuno può agire in piena libertà, senza valori”.

“Professore, forse è anche per queste sue idee che non tutti sarebbero d’accordo sulla sua candidatura”.

“Ha notizie anche di questo?”

“Non sono notizie certe”.

“Le arrivano da ambienti fiorentini o romani?”

“A dire il vero, m’arrivano da tutti e due”.

“È impossibile che uno ottenga l’unanimità. C’è sempre chi alza una mano per obiettare. Comunque, io sono abituato a rispettare tutti e, nello stesso tempo, a procedere per la mia strada, chiedendo conforto a Dio”.

“Dica la verità, professore, sarebbe disposto a scendere in campo alle prossime amministrative?”

“Non so che risponderle in questo momento. Nessuno m’ha fatto la proposta, ufficialmente”.

“Ipotizziamo che gliela facciano nelle prossime ore o nei prossimi giorni”.

“Ipotizziamo. Certo, fare il sindaco di Firenze, la capitale del Rinascimento, scrigno di tesori incomparabili, non è cosa da poco, fa tremare i polsi. Ma, nello stesso tempo, è allettante. È una bella sfida. Avrei anche delle idee. Ma stiamo ipotizzando, vero?”. Ride divertito.

“Avrebbe come principale avversario l’attuale sindaco Mario Fabiani”.

“Un bel politico. Una brava persona. S’è trovato di fronte a problemi grossi. Non è semplice essere il sindaco della ricostruzione di una città come Firenze. Ma qualche attenzione in più avrebbe potuto averla”.

“Per esempio?”

“C’è molta sofferenza nei quartieri più poveri. Avrebbe dovuto sporcarsi maggiormente le mani. Sì, ci sono piazze, strade e ponti da rifare, c’è da far ripartire la macchina messa fuori uso  dalla presunzione dei podestà e dall’incultura spaventosa del fascismo, ma è l’uomo, l’essere umano, che conta di più, che va messo davanti a tutto. Gente che trovo qui, a San Procolo. E i giovani, che sono come le rondini: annunciano la primavera. Non possiamo ignorarli, non possiamo negargli un futuro”.

“L’operato della giunta Fabiani non mi sembra così negativo. Fabiani ci ha messo cuore e anima”.

“Non l’ho detto. Ho detto che è mancato qualcosa, quel qualcosa che avrebbe potuto strappare l’applauso a tutti. Ci hanno provato con il piano regolatore, ma sono rimasti all’idea”.

“Grazie, professore”.

“Grazie a lei, figliolo. Faccia un buon lavoro”.

 

Riccardo Cardellicchio

 

 

Fine prima puntata


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