Oggi si conclude l'esame del ddl 1083, conversione in legge del decreto 154 sul contenimento della spesa sanitaria, e a sorpresa, direttamente in aula è stato approvato un emendamento (a prima firma Antonio Tomassini) che proroga fino al 2013, in teoria fino a fine legislatura, l'entrata in vigore della legge sull'intramoenia... che dal 1999 non riesce ad essere applicata.
Risale al ministro Rosi Bindi e alla sua riforma sanitaria del 1999 la possibilità, per i medici, di operare privatamente nelle strutture sanitarie pubbliche di appartenenza, percependo un onorario prestabilito (attività intramoenia). L'intenzione del ministro era di evitare che i medici continuassero a dirottare i pazienti verso strutture private (un malcostume antico) per garantirsi più lauti guadagni.
La legge 120 del 2007 del ministro Livia Turco, che prorogava l'entrata in vigore a gennaio 2009, aveva cercato di porre paletti più precisi per i medici che operavano in intramoenia, predisponendo disposizioni relative al monitoraggio dei tempi di attesa, alla prevenzione dei conflitti di interesse, alla riduzione dei tempi di erogazione delle prestazioni rese nell'ambito dell'attività istituzionale. Questo per evitare che mentre si allungano le liste di attese per prestazioni sanitarie negli ospedali, i medici dirottassero i pazienti non più verso le strutture private, ma verso le loro prestazioni in intramoenia. Per il cittadino cambia poco dove avere quella prestazione, cambia molto invece se questa e' garantita dal Sistema Sanitario Nazionale o se deve pagarla.
L'ulteriore proroga servirebbe per consentire alle strutture pubbliche che non si siano attrezzate, di offrire la possibilità ai medici di esercitare la libera professione in spazi messi a disposizione dal sistema sanitario nazionale. Il condizionale è d'obbligo, perché in realtà la proroga -sempre motivata come l'ultima- è un atto che si rinnova periodicamente ogni volta che ci si riavvicina all'entrata in vigore di una legge che già sul piano dei principi è discutibile, ma che sul piano pratico è evidentemente impossibile.
In questi casi, l'unica cosa seria da fare sarebbe assumersi la responsabilità di rimetterla in discussione abrogandola, ma nessun Governo e nessuna maggioranza l'ha fatto con la beffa finale dei 5 anni di proroga.
È ben strano, infatti, il Paese in cui il privato si avvale del pubblico per poter operare e non viceversa, secondo quanto consiglierebbe il condiviso -a parole- principio di sussidiarietà. E ancora più strano è che la sanità pubblica per poter vantare tra le sue fila professionisti di valore, invece di garantirgli remunerazioni dignitose, è costretta ad offrire la possibilità di esercitare la libera professione in locali pubblici.
Nulla di nuovo in un Paese in cui il privato e la libera iniziativa sono tali solo se in qualche modo sussidiate dal pubblico. E la sanità ne è esempio eclatante: quante cliniche e quanti laboratori privati esistono e sopravvivono grazie alle commesse dello Stato?
Donatella Poretti